Durante il fine settimana nella capitale turca c’è stato un vero e proprio pellegrinaggio di esponenti europei e statunitensi all’insegna della ricucitura. “Apprezziamo gli sforzi crescenti della Turchia nella lotta contro Daesh. La Turchia ha il diritto di difendersi. Ci sono stati molti attacchi terroristici provenienti dal lato siriano" ha detto alla tv privata Ntv il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al suo arrivo in Turchia. Dello stesso tono la dichiarazione dell’Alto Rappresentante dell’UE, Federica Mogherini: "Abbiamo espresso solidarietà e il massimo rispetto per come il popolo e le istituzioni turche hanno difeso la democrazia durante il colpo di stato in Turchia. Per l'Unione europea non c'è spazio per alcun tentativo di colpo di stato militare”. “Sosteniamo le legittime istituzioni turche e nel pomeriggio visiteremo il Parlamento" bombardato durante il tentativo di colpo di stato, ha annunciato venerdì Mogherini, sorvolando sul fatto che da quel 15 luglio sono passati praticamente due mesi.
Intanto, mentre centinaia di carri armati e di membri delle forze speciali turche restano nel nord della Siria dopo l’invasione iniziata il 24 agosto, all’interno continua il contro-golpe scatenato dal governo approfittando del fallimento dei militari che hanno maldestramente tentato di impossessarsi del potere.
I numeri e la ‘qualità’ della repressione sono impressionanti. Nel mirino del regime islamo-nazionalista sono finiti recentemente ancora i curdi, gli insegnanti, gli intellettuali critici o indipendenti.
Anche se il presidente Erdogan ha definito giovedì quella in corso “la più vasta operazione contro il Pkk” in realtà a subirne le conseguenze non sono stati i guerriglieri curdi. Mentre in altri 13 villaggi della provincia di Diyarbakir è stato imposto il coprifuoco vari esponenti del Partito Democratico dei Popoli (curdi più alcune organizzazioni della sinistra turca) sono finiti in manette. Tra questi Alp Antinors, vicesegretario della formazione politica che il regime sta perseguitando e riducendo all’impotenza, anche se per ora evita di ricorrere alla messa fuori legge per non creare un ulteriore motivo di attrito con Ue e Usa.
Contemporaneamente il regime ha deciso di destituire i governatori e i sindaci curdi di ben 28 tra comuni e province – da Sur a Silvan, da Batman ad Hakkari, da Nusaybin a Suruc, da Cizre a Silopi – accusati di aver incitato alla ribellione attraverso le ‘dichiarazioni di auto-governo’ e di sostenere il Pkk. Poliziotti, militari e funzionari inviati dal ministro degli Interni Suleyman Soylu hanno letteralmente invaso e occupato le sedi delle diverse amministrazioni pubbliche interessate dal provvedimento che cancella la democrazia formale nel Kurdistan turco, sostituendo gli amministratori eletti democraticamente alle ultime elezioni (con percentuali andate all’Hdp che vanno dal 65 al 95%) con dei fedeli esponenti del regime. Qualche giorno prima otto deputati statali dell’Hdp sono stati raggiunti da un mandato di comparizione e rischiano l’arresto per ‘appartenenza ad un gruppo terroristico’ dopo che una legge votata dal blindatissimo parlamento di Ankara ha cancellato mesi fa l’immunità parlamentare.
Nel frattempo la polizia in assetto antisommossa ha attaccato un corteo di alcune centinaia di persone che a Diyarbakir protestava davanti alla locale sede del Ministero dell’Istruzione contro la sospensione – di fatto un licenziamento – decisa dal governo di 11.700 insegnanti considerati vicini ai ‘separatisti curdi’. I manifestanti, per lo più membri del sindacato della scuola Egitim-Sen, al quale appartengono molti degli epurati, sono stati aggrediti con lacrimogeni e cannoni ad acqua, e alla fine 40 di loro sono finiti in cella.
estratti da marco santopadre contropiano
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