martedì 13 settembre 2016

pc 13 settembre - Il governo Renzi manda 300 militari italiani in Libia con l'operazione Ippocrate. Il pretesto sarebbe la protezione di un ospedale, la verità è il controllo dei terminal petroliferi

Come viene confermato dagli "analisti" al servizio dell'imperialismo:

TRECENTO MILITARI ITALIANI A MISURATA
di Gianandrea Gaiani
13 settembre 2016, pubblicato in Analisi Difesa

La tempistica non è proprio delle più fortunate.
Dopo mesi di esitazioni, da quando nel marzo scorso si è insediato nei pressi di Tripoli il governo di conciliazione nazionale guidato da Fayez a-Sarraj, Roma ha deciso di inviare in Libia un contingente di 300 militari e la notizia è trapelata proprio il giorno stesso in cui il generale Khalifa Haftar ha lanciato l’operazione “Lampo improvviso”.
Offensiva che ha permesso alle sue forze di strappare alle milizie fedeli a Tripoli i terminal petroliferi del Golfo della Sirte con il rischio d infiammare nuovamente, dopo il conflitto contro il regime di Muammar Gheddafi del 2011, tutto il Paese.

La missione italiana
Anticipata dai quotidiani Il Mattino e La Repubblica, ‘Operazione Ippocrate a Misurata avrà un carattere umanitario o, per meglio dire, sanitario.
...“La battaglia che hanno combattuto le forze di Misurata contro i terroristi di Daesh è stata molto impegnativa, con quasi 500 morti e oltre duemila feriti.
Ora hanno bisogno che l’Italia dia loro una mano lì perché dobbiamo poter curare questi valorosi combattenti contro il terrorismo e contro l’Isis” ha detto ieri il ministro della Difesa, Roberta Pinotti che oggi ha illustrato la missione alle commissioni parlamentari di Esteri e Difesa insieme al ministro
degli Esteri Paolo Gentiloni.
Il ministro Pinotti ha precisato che il contingente sarà composto da circa 300 militari così suddivisi: 65 medici e paramedici, 135 addetti alla logistica e un centinaio di fanti addetti alla force protection (difesa della base e scorta ai convogli) provenienti dal 186° reggimento paracadutisti Folgore (nella foto sopra in missione in Afghanistan).
In supporto al contingente verrà mantenuto un aereo da trasporto tattico C-27J sull’aeroporto di Misurata per eventuali evacuazioni mentre una nave del dispositivo Mare Sicuro verrà mantenuta al largo di Misurata.
....Il contingente partirà già nelle prossime ore da Livorno alla volta di Misurata a bordo della nave anfibia San Marco della Marina militare.
Le prime indiscrezioni sulla missione erano trapelate già in agosto quando a Misurata erano stati notati i militari italiani impegnati nella ricognizione tesa a individuare il luogo più idoneo a installare l’ospedale.
Dovrebbe trattarsi dell’ex Accademia Aeronautica libica, dove sarebbero già presenti gli incursori del 9° reggimento Col Moschin schierati da tempo a Misurata nell’ambito delle operazioni classificate gestite dall’intelligence (AISE).
Una base vicina alle principali strade ma esterna all’area urbana, quindi più facilmente difendibile e meno esposta ad azioni terroristiche.
La compagnia di paracadutisti dovrebbe operare su veicoli protetti Lince per la protezione del perimetro della base e la scorta ai convogli, con una probabile componente del genio per il contrasto agli ordigni esplosivi.



Inoltre, alla luce degli ultimi eventi, vi sono buone probabilità che le milizie di Misurata si trovino presto a combattere contro le truppe del generale Khalifa Haftar che ha conquistato i terminal petroliferi del Golfo della Sirte.
Vale la pena ricordare che al momento non sono stati chiariti nè quali regole d’ingaggio siano state attribuite al contingente nè quale sia il suo status giuridico nè se verrà applicato ai militari il codice militare di pace o di guerra.
...Un contesto che trasformerebbe nuovamente la crisi libica in una guerra civile e che vedrebbe l’ospedale da campo e i paracadutisti a Misurata ricoprire giocoforza un ruolo di “belligeranti” al fianco di Tripoli e Misurata nel momento in cui il governo di Tobruk preme per stringere relazioni di spessore con Roma.
L’ulteriore deteriorarsi della situazione libica, in prospettiva potrebbe quindi rendere necessario rafforzare il contingente a Misurata, anche con elicotteri (NH-90 e A-129D Mangusta come a Erbil ed Herat?) e mezzi pesanti o prevedere un dispositivo di pronto intervento dal mare a bordo di una unità tuttoponte (Garibaldi o Cavour) aumentando così non solo il coinvolgimento italiano in Libia ma anche i costi di una missione che, a spanne, dovrebbe assorbire una 50ina di milioni di euro all’anno tra mantenimento, supporto logistico e retribuzioni dei  300 militari a Misurata.
Per l’Italia l’intervento a Misurata (che fa seguito al via libera del mese scorso all’utilizzo delle nostre basi per i raid statunitensi contro lo Stato Islamico in Libia) rappresenta un notevole rovesciamento delle posizioni rispetto al categorico rifiuto con cui il governo Renzi aveva risposto alle richieste di Washington di un maggior coinvolgimento militare in Libia.
Sul piano strategico resta poi da chiedersi se l’Italia abbia davvero interesse a schierarsi con Tripoli e Misurata invece di mantenere una posizione equidistante o di sostenere Tobruk e il generale Haftar, come faceva prima della nascita del governo di conciliazione nazionale di al-Sarraj.
E’ vero che in Tripolitania abbiamo gran parte dei nostri interessi energetici a partire dal terminal del gas di Melitha, ma al-Sarraj non ha neppure il controllo della capitale e non è mai venuto incontro a nessuna richiesta di Roma per fermare o quanto meno ridurre i flussi migratori illegali verso l’Italia con i quali si arricchiscono tribù e milizie che lo sostengono.
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L’offensiva di Haftar
“Le forze armate libiche hanno preso il controllo dei porti petroliferi di Zueitina, Sidra e Ras Lanuf”. Il comunicato dell’esercito della Cirenaica guidato dal generale Khalifa Haftar, che risponde al governo e al parlamento di Tobruk, conferma il successo dell’offensiva lanciata all’alba dell’11 settembre nella cosiddetta “Mezzaluna petrolifera” del Golfo della Sirte che ha permesso di sottrarre i terminal del greggio alle Guardie delle Installazioni Petrolifere (PFG) di Ibrahim Jadhran che in giugno avevano dichiarato fedeltà al governo di conciliazione nazionale di Fayez al-Sarraj con sede a Tripoli, varato e sostenuto dall’Onu e da gran parte della comunità internazionale.....
I militari di Tobruk sostengono che anche Brega sia caduta completamente nelle loro mani. “I porti sono ora sotto il controllo totale dell’esercito libico che li hanno messi in sicurezza” ha reso noto il comando dell’Esercito Nazionale Libico.
“Per proteggere le persone e la loro ricchezza contro la corruzione, il vostro esercito ha condotto un’operazione grandiosa e ha imposto il suo controllo totale ai porti petroliferi di Zueitina, Ras Lanuf, Sidra e Brega. Il funzionamento e la gestione di questi porti tornerà alla compagnia nazionale del petrolio, e non ci sarà alcun intervento sulle esportazioni o la conclusione di accordi commerciali da parte dell’esercito che si occuperà solamente della protezione” dei porti.
Il portavoce dell’Esercito Nazionale Libico, Ahmed al-Mismari, ha chiesto alla compagnia petrolifera nazionale National Oil Company (Noc) di prendere il controllo dei terminal per riprendere le operazioni di esportazione del greggio, assicurando che le forze armate non interferiranno con le operazioni di vendita del petrolio.
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Il successo dell’offensiva lampo di Haftar sembra puntare a sfruttare il momento di debolezza delle milizie legate al governo di Tripoli (soprattutto quelle di Misurata), impegnate da quattro mesi nell’estenuante assedio di Sirte dove ancora combattono i miliziani dello Stato Islamico, per mettere le mani sui terminal e gestire per conto del governo di Tobruk l’export di greggio.
Un colpo durissimo per il debole esecutivo di Tripoli, varato e sostenuto dall’Onu ma osteggiato da molte milizie islamiste nella stessa capitale.
Il controllo dei terminal della “Mezzaluna petrolifera” rappresenta infatti l’unica speranza per al-Sarraj di recuperare risorse finanziarie tramite l’export di greggio, forse l’unica chanche di tenere in piedi il suo governo.
La produzione petrolifera libica è crollata negli ultimi anni e oggi arriva a stento ai 200mila barili al giorno, un decimo di quella registrata prima della guerra del 2011.....Più duri ed espliciti i governi di Francia, Germania, Italia, Spagna, Stati Uniti e Regno Unito che hanno condannato l’offensiva di Haftar chiedendo l’immediato ritiro delle sue truppe.
“Facciamo appello a tutte le forze militari che sono entrate nella Mezzaluna petrolifera a ritirarsi immediatamente, senza precondizioni” si legge in una dichiarazione congiunta che ribadisce la volontà di “applicare la Risoluzione 2259 del Consiglio di Sicurezza.
Incluse misure contro l’illecita esportazione di greggio” la cui “produzione ed esportazione devono rimanere sotto l’esclusivo controllo della National Oil Corporation (NOC) che agisce sotto l’autorità del Governo di accordo nazionale”.

Prospettive
Difficile però ritenere che Haftar abbia scatenato l’offensiva lampo “al buio” senza tenere conto dell’inevitabile condanna di gran parte della comunità internazionale.
Nei prossimi giorni sarà forse possibile comprendere se le milizie di Misurata e altre che riconoscono al-Sarraj sono davvero pronte a combattere contro le truppe di Haftar nella “Mezzaluna petrolifera” o se attenderanno invece la fine della lunga battaglia di Sirte contro l’Isis.
Occorrerà inoltre valutare le reali intenzioni di al-Sarraj e dello stesso Haftar, che potrebbe attendere la fine della resistenza dell’Isis a Sirte per cercare di conquistare la città che diede i natali a Gheddafi.
Un’ipotesi non certo remota evidenziata anche da Mattia Toaldo, analista dell’ European Council on Foreign Relations (Ecfr), che in una intervista all’ANSA ha sottolineato che “se è cruciale per le forze di al-Sarraj riconquistare i terminal petroliferi in Cirenaica, dove viene stoccata la gran parte dell’oro nero destinata all’export, altrettanto importante per Haftar sarebbe mettere i piedi a Sirte che è “la porta della Tripolitania”.
Il generale oltretutto appartiene alla tribù Ferjani, la seconda più importante di Sirte e tra le sue truppe ci sono molti ex-gheddafiani: per loro prendere Sirte significherebbe “tornare a casa”.
Il rischio di un conflitto allargato è condiviso dagli analisti britannici del Jane’s che a valutazioni militari uniscono però riflessioni più ampie che investono gli equilibri relativi al mercato del greggio e alle sue quotazioni.
Il generale Haftar ha preso il controllo di tre porti petroliferi per “poterli utilizzare come strumento per trattare con il governo di unità nazionale di Tripoli” ma “il controllo del settore petrolifero libico orientale riduce l’incentivo delle fazioni che si combattono in Libia a raggiungere un accordo.
Anzi, la conquista dei terminali e l’eliminazione dello Stato islamico da Sirte, se da una parte riducono la minaccia immediata alle risorse petrolifere, dall’altra aumentano la probabilità di nuovi combattimenti fra le fazioni dell’Est e dell’Ovest”.
Le strutture conquistate, soprattutto i porti di Ras Lanuf e  Sidra, hanno un potenziale enorme nella distribuzione del greggio libico, con una capacità di traffico pari a 700 mila barili al giorno.
Secondo il Jane’s l’incognita libica sul fronte produttivo appare sempre più cruciale nelle strategia dell’Opec poichè un eventuale ritorno della produzione ai livelli precedenti la guerra del 2011 non farebbe che rendere più difficile l’adozione di quei tagli invocati da alcuni membri per riportare in alto i prezzi del greggio.
Al di là dei complessi interessi in gioco il dilagare di una guerra aperta tra i due governi libici nell’area tra Sirte e i terminal petroliferi riaprirebbe anche il fronte di Tripoli dove le milizie di Zintan (alleate di Haftar nell’ovest della Tripolitania) potrebbero puntare a conquistare la capitale.
Opzioni che farebbero inevitabilmente sprofondare tutta la Libia in un lungo conflitto mandando a monte ogni speranza di stabilizzare, almeno parzialmente, l’ex colonia italiana.

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