Città del Messico - Incapace di dare risposte serie e credibili alla crisi prodotta dal massacro di Iguala, e in seria difficoltà di fronte alla costanza e alla forza dimostrati dall’imponente movimento che da oltre un mese riempie le piazze messicane per chiedere verità e giustizia per le vittime della strage e la restituzione in vita dei 43 normalisti desaparecidos, il governo pare aver deciso di spostare il conflitto dal piano politico a quello più congeniale dell’ordine pubblico.
Detenzioni arbitrarie, provocazioni poliziesche e di porros (picchiatori prezzolati), falsi allarmi bomba e vere e proprie aggressioni ai danni soprattutto degli studenti in lotta fanno pensare alla volontà di costruire un clima di tensione che possa giustificare future azioni repressive nei confronti di una protesta che gode di un grande consenso all’interno della popolazione.
Il caso più grave si è verificato venerdì all’Universidad Nacional Autonoma de México (UNAM), la più importante istituzione accademica del paese, dove un agente della polizia giudiziaria di Città del Messico (PGJDF) ha fatto fuoco sugli studenti dell’auditorium occupato Che Guevara ferendo due universitari ed uno dei cani degli occupanti.
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai feriti, verso le 11.30 quattro agenti in borghese sono giunti sul posto e, senza identificarsi, hanno iniziato a fotografare i giovani del “Che”, in riunione per decidere le prossime mosse in vista della giornata di lotta del 20 novembre. Di fronte alla provocazione, un gruppo di studenti ha cercato di allontanare i poliziotti, tre dei quali, con il sostegno delle guardie di sicurezza dell’università, sono fuggiti a bordo di un taxi, mentre un quarto, l’ufficiale della PJGDF Rodolfo Lizárraga Rivera, ha sparato a bruciapelo in direzione degli studenti colpendo alla coscia Miguel Ángel Ordaz, della facoltà di Lettere e Filosofia, e ferendo di striscio lo stinco un altro universitario.
In seguito all’intervento di diverse pattuglie della polizia , l’agente è stato portato via e si trova adesso in stato di arresto; mentre Miguel Angel, che poi denuncerà di essere stato minacciato e picchiato dalle forze dell’ordine, è stato accompagnato a dichiarare dal pubblico ministero a Coyoacán, nel sud della città. Qualche ora dopo la sparatoria, avvenuta attorno alle 13, una cinquantina di studenti ha dato fuoco alla macchina abbandonata dai quattro elementi della polizia.
L’azione, presentata come la conclusione di un’aggressione ai danni dei poliziotti e istericamente riprodotta dai mass media come conferma della pericolosità degli occupanti - al centro da mesi di una violenta campagna di criminalizzazione -, verrà utilizzata come pretesto da parte del sindaco Miguel Angel Mancera e delle autorità universitarie per giustificare l’operazione poliziesca con cui, alle 20.30, oltre 500 celerini hanno cercato di sgomberare lo spazio sociale, occupato da ben 15 anni all’interno dell’UNAM. La pronta reazione di un centinaio di occupanti, tuttavia, fatta di lanci di pietre, pali e bottiglie, ha frustrato le intenzioni della polizia costringendo gli agenti a ripiegare verso Avenida Insurgentes, dove sono rimasti nel corso di tutta la nottata accerchiando con un cordone di sicurezza la Ciudad Universitaria.
In un comunicato la PGJDF ha dato la sua versione dei fatti. D’accordo con le autorità accademiche, e quindi senza violare il principio dell’autonomia universitaria, gli agenti si sarebbero trovati all’interno della città universitaria per svolgere delle indagini sul furto di un cellulare denunciato lo scorso 12 novembre (sic). Gli spari, dal loro punto di vista, sarebbero stati giustificati dalla situazione di pericolo che stavano vivendo gli agenti accerchiati dai giovani. Rodolfo Lizárraga Rivera, in particolare, ha dichiarato di essersi sentito minacciato dagli studenti e di aver per questo sparato in aria, cosa difficile da sostenere considerando che i due univesitari sono stati feriti entrambi alle gambe.
È stucchevole, invece, il comunicato ufficiale della massima istituzione universitaria della nazione che, oltre a legittimare ed avallare l’ingresso delle forze dell’ordine, si mantiene equidistante tra aggressori ed aggrediti e, sebbene condanni la violenza “venga da dove venga”, non esprime né indignazione per il ferimento dei suoi studenti, né solidarietà nei loro confronti e si dice in attesa che le autorità individuino i responsabili dei fatti.
La sparatoria all’UNAM rappresenta senz’altro un fatto grave e preoccupa, anche se non è una novità, la complicità ai fini della repressione tra il governo progressista della capitale, quello di Peña Nieto e le autorità universitarie, le quali, lungi dal tutelare i propri studenti sembrano più intenzionate a lavorare in funzione della smobilitazione del movimento e in difesa del presidente, tanto è vero che il Rettore José Narro, vicino al Partido de la Revolución Institucional (PRI), ha pubblicamente dichiarato che quella di Iguala non è stata una strage di stato ma un caso isolato di cui è responsabile solo l’amministrazione locale, e che sono in tanti in queste ore a chiederne le dimissioni con l’hashtag #FueraNarrodelaUNAM.
Domenica, in risposta all’attacco agli studenti da poco avvenuto, un corteo partecipato ha attraversato le strade limitrofe alla città universitaria per concludersi di fronte al Rettorato chiedendo le dimissioni del rettore e del presidente considerato di fatto il mandante di questa strategia della tensione. E dalle 16 l’ennesima manifestazione in sostegno ai normalisti e ai familiari delle vittime di Ayotzinapa ha fatto propria l’indignazione per l’aggressione poliziesca ai danni degli universitari.
Va segnalato, inoltre, l’arresto nel pomeriggio di venerdì di Bryan Reyes e Jaqueline Santana, due studenti universitari noti per la loro partecipazione alle lotte, i quali sono stati detenuti nei loro domicili dalla polizia cittadina che li accusa di aver assalito degli agenti con delle armi bianche e di averli derubati di 500 pesos (più o meno 30 euro). Gli avvocati denunciano che l’arresto è di carattere politico e potrebbe essere stato l’esito fallito di un tentativo di rapimento.
Questa specie di strategia della tensione che mira a creare un’immagine negativa del movimento e a ridurre la partecipazione alle proteste attraverso la precipitazione violenta del conflitto si sta mettendo in pratica nella capitale da almeno un paio di settimane. A partire dai tre giorni di sciopero studentesco del 5, 6 e 7 novembre, sono state segnalate provocazioni poliziesche e non solo. Le più significative si sono verificate lo scorso 7 novembre: all’Universidad Autonoma Metropolitana (UAM), dove una ventina tra universitari e studenti della Scuola Superiore n° 5 sono stati arrestati illegalmente; e in seguito all’assalto al portone di Palacio Nacional, stranamente lasciato senza protezione poliziesca in un contesto nel quale la rabbia popolare è spesso sfociata negli assalti ai simboli del potere, quando i gruppi antisommossa dell’Estado Mayor Presidencial (la Guardia Presidenziale) hanno portato avanti una vera e propria caccia al manifestante fermando arbitrariamente 23 persone. Fortunatamente, la forza delle proteste e la sfacciataggine degli arresti hanno fatto sì che i detenuti siano stati successivamente rilasciati.
A questo contesto vanno aggiunti il battage mediatico teso a criminalizzare le proteste soprattutto nello stato del Guerrero, dove queste assumono sempre più spesso una connotazione radicale che porta i manifestanti a bloccare vie di comunicazione e centri commerciali oltreché a prendere di mira i palazzi del governo e le sedi dei partiti di potere. Significativo il comunicato del Consejo Coordinador Empresarial (la confidustria messicana) che si dice stanco dei disagi prodotti dalle proteste e chiede al governo di iniziare ad usare la mano dura contro “i violenti”; e le parole di Peña Nieto, il quale, appena rientrato dal suo tour in Cina ed Australia, ha stigmatizzato coloro che “pretendono di avere giustizia utilizzando la violenza” dichiarando di essere disposto ad utilizzare la forza per ristabilire l’ordine nel paese.
Per quanto riguarda le indagini sugli studenti desaparecidos, inizia a fare acqua da tutte le parti la versione ufficiale del procuratore della repubblica Murillo Karam. La tesi che i normalisti sarebbero stati uccisi e poi cremati in un falò gigantesco durato oltre 15 ore viene seriamente messa in discussione non solo dalle parole di molti esperti che smentiscono la possibilità stessa di poter incenerire i 43 corpi in una situazione come quella descritta dai sicari della banda dei Guerreros Unidos ma anche dal fatto che ad Iguala, nella notte tra il 26 e il 27 settembre, è piovuto in maniera costante.
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