Una
riforma del lavoro che ha come scopo solo la difesa dei profitti
padronali nella crisi, portata avanti con stile moderno fascista
I
padroni hanno necessità di “fare cassa” e di avere un mercato
della forza-lavoro e del suo uso ultraflessibile per mantenere i
profitti, che per buona parte di loro sono continuati nella crisi;
sono preoccupati di stare in Europa e nel mondo dove la contesa è
forte e, nonostante tutto, una certa ripresa c'è. E, quindi, avere
un fronte interno efficiente e “veloce” è importante.
Quindi,
sono gli industriali i veri azionisti di maggioranza del governo
Renzi, quelli
della grande industria ma anche della media e piccola industria,
dell'industria privata come dell'industria “pubblica”,
dell'industria operante sul mercato mondiale ma anche piccola
industria “schiacciata, come dicono loro, da tasse e sindacati”.
Renzi, sta lì per fare fatti concreti, immediati, liberandosi in una
certa misura da mediazioni parlamentari e da mediazioni sindacali.
Non
si possono capire i provvedimenti in corso e l'azione del governo se
non si coglie qual'è l'azionista di maggioranza effettivo di questo
governo,
fuori dai Palazzi della politica e in una certa misura fuori
dall'entourage tecnocratico che imbriglia.
Renzi
con il jobs act e la cancellazione dlel'art. 18 e di buona parte
dello Statuto dei Lavoratori vuole dare un segnale forte al padronato
europeo, italiano, concentrando l'attacco sulla classe operaia e sui
lavoratori. Lo fa con stile moderno fascista chiamando a raccolta
innanzitutto tutta la destra e l'estrema destra attorno a sé,
convinto com'è che l'attuale PD, incancrenito e senza alcuna
possibilità di cambiamento di campo, non possa impedire tale
disegno.
Il
riferimento alla Thatcher e al Reaganismo sono corretti sul piano
storico, ma è bene restare su quello che noi chiamiamo moderno
fascismo, perchè nel nostro paese ogni svolta autoritaria e
reazionaria assume questo carattere, come già Berlusconi ci aveva
abituati.
In
questo quadro l'attacco all'art. 18 è innanzitutto un attacco
ideologico e politico, i suoi effetti economici sono relativi (perchè
già ampiamente svuotati dalla riforma Fornero e dagli stessi padroni
che quando non sono a loro misura se ne fregano delle leggi), e
quindi la reazione deve essere anche ideologica e politica da parte
della classe operaia e del movimento sociale di lotta.
Ideologico,
perchè si vuole affermare il primato assoluto del capitale e la sua
dittatura di classe sui posti di lavoro e nella società, facendo
leva sulla crisi ideologica del movimento operaio. Politico perchè
vuole creare un nuovo stato consolidato alla marcia del governo dei
padroni.
La
parte più insidiosa però dell'azione del governo, che fa leva
sull'utilizzazione spregiudicata dei mass media come e peggio di
Berlusconi – ad esempio, anche la 7 è allineata col governo – è
quella di cercare di mettere masse contro masse, usando pienamente la
demagogia antisindacale, che nella situazione attuale è antioperaia
essenzialmente, chiamando a raccolta la gioventù intellettuale
disoccupata, il mondo della precarietà, ecc.
Quindi
se è giusto essere realisti e pessimisti sull'esito della battaglia
concreta e non farsi quindi trascinare nei deliri autoreferenziali
della sinistra riformista e della ex sinistra parlamentare, noi
dobbiamo pensare alla nostra classe, e all'opportunità che questa
battaglia offre per mobilitare, conquistare e far giocare un ruolo
d'avanguardia a settori della classe operaia, ai settori proletari
assimilabili (cioè quelli organizzati dal sindacalismo di base e di
classe).
PUNTI
DEL PIANO RENZI
"Tutele
crescenti" e sconto per i padroni
Ci
sono solo due forme di lavoro: autonomo e dipendente. Quella
dipendente, a sua volta, si suddivide in tempo determinato e tempo
indeterminato a tutele crescenti. Se l'azienda assume a Tempo
indeterminato avrà incentivi, una sorta di sconto, che dovrebbe
restituire se il licenziamento avvenisse nei primi tre anni. Le ditte
non pagherebbero i contributi nei primi tre anni, e i neoassunti
verrebbero esclusi dall'applicazione dell'articolo 18 per cui i
padroni in questi tre anni possono tranquillamente e in ogni momento
licenziare. La flessibilità "in entrata", come dice Renzi,
è in realtà tutta in "uscita";
Essendo
i contratti a progetto e le altre forme di precariato cancellate, i
lavoratori avrebbero tutti gli stessi diritti (minimi di
retribuzione, maternità, ferie, ammortizzatori sociali) secondo il
tipo di contratto (a termine o a tutele crescenti). Il nuovo
contratto a tutele crescenti si applicherebbe solo alle assunzioni
successive all’entrata in vigore della legge.
Ma
l'introduzione di un "contratto unico", per - si dice -
eliminare i vari contratti attuali, in realtà è l'unificazione al
livello più basso (anche a livello di inquadramento contrattuale e
quindi retributivo), di tutte le forme di precarietà in una sola,
senza più limiti e rischio di vertenze per i padroni.
L’articolo 18
Nel
nuovo sistema il diritto al reintegro resterebbe solo sui
licenziamenti discriminatori (fede religiosa, politica, appartenenza
sindacale, razza, ecc.) mentre in tutti gli altri casi l’azienda
potrebbe licenziare liberamente il lavoratore dietro pagamento di
un’indennità economica crescente in rapporto agli anni di servizio
prestati (le ipotesi variano da uno a tre mesi di stipendio per anno
di lavoro).
Nei primi tre anni i padroni possono liberamente licenziare senza neanche dare l'indennizzo.
Nei primi tre anni i padroni possono liberamente licenziare senza neanche dare l'indennizzo.
I nuovi ammortizzatori
Una volta licenziato il lavoratore, in aggiunta all’indennizzo dall’azienda, avrebbe l’indennità di disoccupazione dallo Stato. Si tratterebbe in pratica dell’Aspi (assicurazione sociale per l’impiego) già prevista dalla riforma Fornero, ed estesa a tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli a contratti a progetto, collaborazioni varie e altre forme di precariato.
Ma su questa indennità di disoccupazione il governo è ancora alla ricerca di un miliardo e mezzo di euro da mettere nella legge di Stabilità per il 2015. L’indennità avrebbe un tetto (per l’Aspi nel 2014 è di 1.165 euro) e una durata massima (potrebbe essere allungata da 18 a 24 mesi). I disoccupati però devono partecipare a corsi di formazione e accettare proposte di lavoro, altrimenti perderebbero l’assegno; formazione che, come alcune esperienze già mostrano, si tratta solo di ore di tempo sprecate, inutili, senza effettive prospettive di nuovo lavoro, e usate di fatto in forme ricattatorie.
Sparirebbero
prima del previsto la cassa integrazione in deroga e l’indennità
di mobilità. Via anche la cassa integrazione per chiusura di
aziende. Resterebbe solo la cig ordinaria per momentanei cali di
produzione e quella straordinaria per ristrutturazioni aziendali, che
però potrebbe essere attivata solo dopo aver attuato riduzioni
dell’orario.
Gli
operai ci perderebbero due volte, per l'entità e la durata del
sussidio, ma soprattutto perchè, con l'abolizione della cig per
crisi o in deroga, verrebbe immediatamente interrotto ogni rapporto
con l'azienda, senza alcuna possibilità, come ora, di rientro.
LE
NORME GIA' APPROVATE A MAGGIO
Contratti
a termine: Il
contratto a termine ha una durata complessiva di 36 mesi, senza il
requisito della "causalità", per lo svolgimento di
qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo
determinato, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a
tempo determinato. Le proroghe possono essere 5 (ma i rinnovi dei
contratti possono superare di molto questo limite). Il numero di
contratti a tempo determinato non può eccedere il limite del 20 per
cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato, ma se viene
superato è prevista solo una piccola multa!
Apprendistato
e Formazione: ancora più vantaggiosi per i padroni. Al
lavoratore è riconosciuta una retribuzione che tenga conto delle ore
di lavoro effettivamente prestate. Mentre le ore di formazione
vengono retribuite al 35%. Gli obblighi formativi sono svuotati
e senza una comunicazione dalla Regione, il datore di lavoro non è
tenuto ad integrare la formazione di tipo professionalizzante e di
mestiere con quella finalizzata all'acquisizione di competenze di
base e trasversali.
Contratti
di solidarietà: anche questi ancora più vantaggiosi per i
padroni. I
datori di lavoro che stipulino il contratto di solidarietà, hanno
diritto per un periodo non superiore ai 24 mesi, a una riduzione
dell'ammontare della contribuzione previdenziale ed assistenziale per
i lavoratori con riduzione dell'orario di lavoro maggiore del 20 per
cento. La misura della riduzione è fissata dal decreto emendato al
35%
Nessun commento:
Posta un commento