mercoledì 23 ottobre 2013

pc 23 ottobre - 9° congresso di rifondazione comunista - un po' d'informazione e commento di un compagno di genova - per poterne discutere liberamente

NONO CONGRESSO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA: 

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UN'ANALISI DEL DOCUMENTO PROPOSTO DALLA MAGGIORANZA USCENTE
Dal sei all’otto dicembre si terrà, a Perugia, il nono congresso nazionale di Rifondazione Comunista.
Per questa assise sono stati presentati, ed ammessi, tre documenti contrapposti: il primo della maggioranza uscente, il secondo dei traditori trotzkisti di Falce Martello, ed il terzo come conseguenza di cinquecento firme di iscritti raccolte in tutta Italia.
Oggi mi occuperò del primo scritto, mentre nei prossimi giorni sarà la volta degli altri ad essere passati sotto la lente di ingrandimento.
Questo - che porta, come prima sottoscrizione, quella del responsabile del dipartimento Esteri nazionale, il romano Fabio Amato - è organizzato in una serie di diciannove tesi ed ha come intestazione: “Ricostruire la sinistra, per la rivoluzione democratica e il socialismo del XXI secolo”.
Nelle prime righe del documento si fa un’affermazione tanto impegnativa quanto obiettivamente ridicola, viste le firme che lo accompagnano: “alla generosità di questa nostra comunità politica, alla passione di tante compagne e tanti compagni, dobbiamo lo sforzo di una proposta che restituisca senso all'agire politico e metta le basi per un profondo rinnovamento del Partito e dei suoi gruppi dirigenti”.
Risulta francamente difficile pensare ad un cambiamento reale, visto che l’intero gruppo dirigente nazionale uscente - dal segretario Paolo Ferrero in giù - appone il suo autografo in calce a questo documento.
Lo è ancor di più dove si consideri che, più avanti nel testo, si legge un’affermazione autoassolutoria sinceramente poco o nulla comprensibile: “di fronte a questa sconfitta (“politica, sociale e culturale”, per usare le loro stesse parole, n.d.r.) crediamo non bastino spiegazioni semplicistiche, che riconducono tutto all’incapacità dei gruppi dirigenti, alle loro divisioni o addirittura alle inimicizie personali. Pur non negando elementi e limiti soggettivi, queste narrazioni portano con sé una risposta semplificata, che non fa i conti con le ragioni di fondo della sconfitta e quindi non aiutano a comprenderla”.
Verrebbe da chiedersi di chi possa essere la colpa (o il merito) della débacle subita dalla falsa sinistra riformista, se non di dirigenti nella migliore delle ipotesi incapaci, i “nostri limiti e criticità, (sul)le inadeguatezze soggettive, culturali, politiche e organizzative” di cui si scrive, se non proprio venduti: certamente non la si può addebitare a quegli elementi onesti che, proprio per il fatto di essere tali, hanno subito nel tempo vessazioni di ogni tipo - a tutti i livelli - da personaggi indegni che però avevano la fortuna di trovarsi ai vertici delle varie istanze.
Passando ai contenuti dello scritto, gli estensori partono da una critica allo stato presente non del capitalismo tout court, ma della sua versione definita neoliberismo: essi propugnano la necessità della costruzione di “un progetto politico chiaramente alternativo alle varie proposte di centro destra e centro sinistra di gestione della crisi nel recinto delle politiche neoliberiste”; il tutto per proporne la “messa in discussione, riportando al centro la questione della giustizia sociale, della piena realizzazione del diritto di tutti gli esseri umani alla libertà, alla felicità e all’uguaglianza”.
Per realizzare tutto questo, ovviamente, occorre “non solo, dunque, la rottura radicale con lo stalinismo, che è un tratto acquisito e irreversibile della cultura politica di questo partito, ma l’elaborazione di un pensiero comunista con lo sguardo rivolto al futuro, e che abbia il nodo della libertà tra uguali, della piena autodeterminazione di donne e uomini a suo fondamento”.
E’ evidente che, anche volendo evitare la polemica sulla questione di un partito che si definisce ‘comunista’ ma non accetta il marxismo-leninismo - lo stalinismo non esiste, è una categoria antistorica creata dai traditori trotzkisti per calunniare la teoria scientifica del comunismo - preferendogli un’accozzaglia informe, secondo il dettame che “un partito politico non si costituisce su una base ideologica”, ci troviamo di fronte ad un grosso problema: questi signori dovrebbero spiegare (non tanto a chi scrive, quanto ai propri accoliti) come si possa arrivare ad avere tutte queste cose meravigliose per gli sfruttati senza abbattere violentemente, perché di buon grado non lo cederebbero mai, il potere di coloro che vivono del lavoro degli altri: i padroni, la strato superiore della classe borghese.
Mettere in discussione - magari con una “rivoluzione democratica”, più volte evocata per nascondere la propria assoluta contrarietà alla rivoluzione socialista - non significa certamente voler cancellare, ma casomai mitigare; in questo caso si cadrebbe nell’errore che da sempre fanno i socialdemocratici, ossia quello di voler arrivare ad uno stato di benessere per tutti attraverso le riforme di struttura.
Questa cosa è avvenuta una sola volta nella storia, nel Cile del socialista Salvador Allende, e tutti ricorderanno il drammatico epilogo della vicenda: l’11 settembre 1973 quel porco fascista del generale Augusto Pinochet Ugarte rovesciò il Governo democraticamente eletto attraverso un colpo di Stato, orchestrato dagli yanqui della Central Intelligence Agency; dovrebbe bastare questo episodio per far comprendere la natura irriformabile del capitalismo.
In questo senso non si comprende come, al termine di un’attenta (e sostanzialmente condivisibile) analisi delle politiche europee - ed, al loro interno, di quelle portate avanti in Italia dai partiti dell’inciucio permanente - si possa teorizzare che “al contrario di Italia Bene Comune, la coalizione tra Pd e Sel presentatasi alle scorse elezioni, che nel proprio programma indicava come ‘responsabilità’ proprio il rispetto dei trattati, noi sentiamo la responsabilità politica di costruire una sinistra sociale e politica di massa in grado di riconquistare sovranità popolare per determinare un processo più ampio di democratizzazione istituzionale, nei luoghi di lavoro, nella gestione partecipata dei beni comuni, di lotta all’austerità e ai suoi trattati”.
Una simile ‘sinistra’ - che persino lorsignori identificano con “comitati elettorali” che hanno da tempo sostituito precedenti “strutture di partecipazione democratica” - non servirebbe certamente al proletariato, non essendo in grado di cambiare una virgola delle politiche portate avanti dai grandi partiti: sarebbe utile soltanto a questi che si troverebbero una copertura da parte di chi da sempre lavora per spegnere le lotte che, a parole, sostiene di voler mettere in campo.
Genova, 17 ottobre 2013

2
 ANALISI DEL DOCUMENTO PROPOSTO DAI TRADITORI TROTZKISTI DI FALCE MARTELLO E DI QUELLO DEI 'TERZISTI'
Il secondo documento, presentato al Comitato politico nazionale di Rifondazione Comunista e propedeutico al nono congresso, è quello dei traditori trotzkisti di Falce Martello (http://www.marxismo.net); essendo questo lungo circa la metà dell’altro, ha l’indubbio vantaggio di essere più diretto e chiaro rispetto all’altro.
Particolarmente interessante è l’incipit dello scritto, dove si riconosce che: “la serie di sconfitte subìte dal Prc a partire dal 2008 determina un processo di liquidazione di fatto. Rifondazione comunista ha perso la rappresentanza parlamentare nazionale e buona parte di quella nelle istituzioni locali, due terzi dei propri iscritti e gran parte del proprio elettorato; il radicamento nel mondo del lavoro e fra i giovani è ridotto ai minimi termini, quello territoriale continua a contrarsi con intere zone del paese dove ormai il partito non è presente in forma organizzata. La struttura nazionale è un guscio vuoto senza reali radici, un apparato centrale sempre più ridotto continua a dibattersi alla ricerca di una base sulla quale sostenersi, senza produrre alcuna iniziativa coerente capace di dare all’insieme del partito un orientamento politico e un terreno di costruzione sul quale impegnarsi in modo sistematico”.
E’ bello rendersi conto che, finalmente, qualcuno mette nero su bianco quanto chi scrive va sostenendo da tempo: il partito del Pastore Valdese è in via di totale disfacimento; è sicuramente già tardi per porvi rimedio, ma almeno si incomincia a vedere la realtà.
Come accade sempre, l’analisi proposta dai trotzkisti è totalmente condivisibile, anche e soprattutto nella parte in cui si addebita all’istituzionalismo “una delle cause delle sconfitte passate”, unitamente alla balcanizzazione della maggioranza di una formazione i cui ‘rappresentanti istituzionali’ fanno a gara a lasciare il partito per approdare in lidi ben più sicuri, in vista del rinnovo delle assemblee elettive locali.
Quello che invece non è assolutamente appoggiabile è il cosiddetto “programma di transizione” che si trova nelle righe centrali del documento, e che viene riproposto in maniera similare anche nell’altro testo alternativo; sia chiaro, non perché siano sbagliate le misure proposte per trasformare la società capitalista, ma proprio perché è un errore esiziale pensare che la borghesia, così come ancor di più il clero, possa accondiscendere ad un simile “programma operaio di risposta alla crisi” - che in sostanza prevede il graduale esproprio delle ricchezze accumulate dai padroni, e l’azzeramento di qualunque possibilità per loro di accumulare future fortune sulla pelle dei lavoratori - senza cercare, con tutte le proprie forze, di opporvisi: se è necessario anche attraverso un colpo di stato apertamente fascista.
Dal canto suo, il terzo documento propone anch’esso un’analisi di fase dai tratti condivisibili; come quello di cui mi sono occupato sopra, finisce con l’affermare che “l’unica via d’uscita a sinistra da questa crisi capitalistica è l’uscita dal capitalismo stesso e l’adozione di un nuovo modello sociale e di produzione” sottolineando “che il tema riformista della redistribuzione della ricchezza non rappresenta in questo contesto una reale possibilità di fuoriuscita dalla crisi del capitalismo” per attuare la quale serve “un partito ispirato alla teoria di Marx, Lenin e Gramsci”; se non fosse per il fatto che circoscrive il discorso a ‘questo contesto’ - ed elude clamorosamente la questione del compagno Giuseppe Stalin, che è il reale spartiacque tra chi è comunista e chi afferma soltanto di esserlo - sembrerebbe essere il testo più vicino a quello che è il pensiero comunista.
D’altra parte però la vera natura di questi ‘terzisti’ la svela il seguente paragrafo: “per uscire definitivamente dalla subalternità politica e dalle oscillazioni tatticistiche che ci hanno portato a continue sconfitte, occorre capire che l'attuale collocazione delle forze del centrosinistra, non solo ha antiche radici, ma non avviene affatto per caso: esse, nel pieno dell'aggravarsi della crisi capitalistica, riconoscono ormai una devota obbedienza ai ‘poteri forti’ italiani, europei e internazionali, a cui rispondono e di cui fanno parte organicamente. È necessario che Rifondazione Comunista tragga da ciò le dovute conseguenze”.
Verrebbe da chiedersi in quale mondo vivessero fino a pochi mesi fa questi ‘signori’: se - come affermano loro stessi - “l’attuale collocazione delle forze del centrosinistra ha radici antiche”, ci si potrebbe chiedere perché solo adesso se ne siano accorti.
O, se invece hanno realizzato - come parrebbe leggendo il paragrafo in cui si esplicita che “per troppo tempo abbiamo delegato a forme mediatiche e ‘sentimentali’ la ricerca di consenso, affidandoci al carisma dei capi. Questo meccanismo debole e labile si è rivelato non solo insufficiente, ma persino dannoso: le scelte sbagliate prima e l’autoconservazione poi, hanno screditato in un colpo solo tanto i capi quanto l’intero Partito” - questa cosa già da lunga pezza, perché non ne hanno tratto per tempo le dovute conseguenze, prendendo pubblicamente le distanze da coloro che, pervicacemente, ricercavano un accordo a tutti i costi con le forze della destra moderata per ottenere qualche posticino nelle assemblee elettive nazionali e locali.
Lo fanno adesso - “per dare credibilità a questa scelta di fondo (dare vita ad una ‘sinistra’ anticapitalista, n.d.r.) e non contraddire il nostro impegno nei conflitti sociali, poniamo di conseguenza all'ordine del giorno la necessità di rompere le alleanze politico-istituzionali col PD e col centrosinistra anche a livello locale, laddove siano incompatibili con la possibilità di praticare un programma di alternativa, anche alla luce dei vincoli posti dal Patto di Stabilità (privatizzazioni, tagli alla spesa sociale, ...). Altrimenti non ha senso parlare di ‘autonomia ed alterità’ rispetto al centrosinistra” - ed è già qualcosa: il problema, per loro, è che sono decisamente fuori tempo massimo.
Genova, 21 ottobre 2013

3
 IL 'NON DOCUMENTO' DEI TRADITORI TROTZKISTI DI CONTROCORRENTE
Fino ad oggi ho sempre scritto che i documenti per il congresso di Rifondazione Comunista sono tre, quelli esaminati e criticati nei giorni scorsi: ma non è esatto, perché quello è soltanto il numero degli scritti che verranno votati all’interno dell’assise.
In realtà ve ne è un quarto, a firma del portavoce nazionale dei traditori trotzkisti dell’associazione ControCorrente-Sinistra dei Lavoratori (http://lnx.associazionecontrocorrente.org/site), che prende le distanze da tutti gli altri testi, avendo maturato la convinzione che l’esperienza rifondarola sia arrivata alla fine della propria parabola, a causa “delle proprie contraddizioni e delle decisioni di gruppi dirigenti che per anni hanno predicato bene la loro alterità rispetto al PD e ai partiti del centrosinistra, ma hanno razzolato male continuando ad allearvisi ovunque fosse possibile”.
Il maggiore esponente di questo gruppo è il genovese Marco Veruggio, ex portavoce per la Liguria dell’associazione marxista rivoluzionaria (così si autodefiniscono i trotzkisti) Proposta - successivamente denominata Progetto Comunista - la frazione trotzkista che fu interna a Rifondazione Comunista fino al 2006.
In occasione delle elezioni politiche di quell’anno, vi fu un vero sconquasso all’interno della suddetta associazione: si assistette alla scissione della maggioranza che faceva capo al cremonese Francesco Ricci - che diede vita a Progetto Comunista-Rifondare l’Opposizione dei Lavoratori, l’attuale Partito d’Alternativa Comunista - a cui fece seguito, poco dopo, l’allontanamento volontario dell’altro spezzone, quello che aveva, come ‘menti illuminate’, i genovesi Marco Ferrando e Franco Grisolia.
Un terzo tronco restò in Rifondazione Comunista, volendo continuare - almeno ufficialmente - la battaglia interna; i maligni sostengono che questa volontà sia stata il frutto della promessa, fatta dall’allora maggioranza del partito al Veruggio, di ottenere un seggio nella segreteria politica regionale ed un posto di lavoro al gruppo consiliare corrispondente: non so quanto ci sia di vero, ma è un fatto che in via Fieschi ci sia questo ‘signore’ a sbrigare le pratiche per il consigliere tigullino, sestrino per la precisione, Giacomo Conti.
Questi probabilmente non tarderà a passare a miglior vita politica, confluendo nel Partito (sedicente) Democratico - come già anticipato in occasione delle primarie per la scelta del candidato alla presidenza del Consiglio dei ministri, quando si schierò per Fra Pierluigi da Bettola, in contrasto con la dirigenza nazionale che aveva dato indicazione di far confluire i propri voti sulla candidatura di Nichi (s)Vendola - facendo così sparire il gruppo consiliare della Federazione della Sinistra.
Il sospetto è che il Veruggio abbia capito che, in questo modo, perderebbe quanto ottenuto in cambio della sua resa politica, e si prepari a trasmigrare altrove: magari andando a rimpolpare le file di quello che diventerebbe sempre più il ‘partito dei genovesi’; o forse per costruire un altro micro partitino personale, visto che la sua associazione fa parte, a livello internazionale, del Comitato per un’Internazionale dei Lavoratori (http://www.socialistworld.net).
Genova, 22 ottobre 2013

Stefano Ghio - Proletari Comunisti Genova

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