lunedì 10 ottobre 2011

pc 10 ottobre - sulla manifestazione del 15 a roma ..NO alla PIATTAFORMA RINALDINI-CASARINI.

MANIFESTAZIONE DEL 15 OTTOBRE A ROMA.
Slai Cobas: NO alla PIATTAFORMA RINALDINI-CASARINI.

L’ulteriore aggravarsi della crisi, a partire dalla scorsa estate, ha rappresentato l’occasione per un nuovo pesante attacco alle condizioni di vita e di lavoro ed ai diritti degli operai e di altri strati di lavoratori. L’obiettivo è quello di scaricare su questi settori sociali, che rappresentano la maggioranza della popolazione, la crisi del capitale al fine di salvaguardare i profitti.

Il capitale finanziario europeo sta sempre più assumendo un ruolo attivo in questo attacco. Questo anche a causa del fatto che la stessa crisi non si traduce tanto in una contrapposizione diretta, commerciale e finanziaria, tra i vari paesi europei, quanto in un’occasione per un ulteriore peggioramento delle condizioni dei lavoratori e per un ulteriore restringimento reazionario dei diritti e degli spazi di democrazia.

Per quanto attiene all’Italia, questo è quello che concretamente significa il cosiddetto problema del debito pubblico. I lavoratori e gli strati sociali popolari in Italia sono sempre più assoggettati ad un doppio sistema di sfruttamento uno ad opera del “proprio” capitale nazionale, l’altro ad opera di quello europeo ed internazionale. Basti pensare a questo proposito a cosa ha rappresentato il passaggio all’Euro: un taglio netto a favore del grande capitale dei salari e dei redditi dei piccoli lavoratori autonomi di almeno il 30%.

Il modello di sviluppo del capitalismo italiano è oggi più che mai quello di un paese marginale nell’ambito delle principali potenze. Il capitale finanziario-industriale ‘italiano’ cerca sempre di migliorare le proprie posizioni ed incrementare i propri profitti, ponendosi dietro il carro del capitale finanziario europeo ed internazionale, incamerandone i diktat e le relative pretese e scaricando il tutto sugli operai, sugli strati popolari e sul meridione e le isole.
Dietro alla fraseologia nazionalista ed a volte alla demagogia protezionista, il tutto per altro ben funzionale allo sviluppo delle guerre tra poveri, alle imprese imperialiste ed alla fomentazione a livello di massa del razzismo e del fascismo, si nasconde la realtà di una borghesia, quella italiana, che nel suo complesso si pone oggi sempre più al servizio del capitale europeo ed internazionale come strada privilegiata per la difesa dei propri interessi e profitti.
Senza rovesciare queste relazioni di dipendenza non potrà esserci, nelle attuali condizioni internazionali, nessuna fuori uscita dalla crisi per l’Italia, con la conseguenza che le ‘contro-riforme’ in atto ed ancor più quelle che si prospettano , invece di garantire una qualche ripresa, approfondiranno sempre più la stessa crisi economica e politica.
Sino a quando sussisterà questo meccanismo strutturale, persino l’uscita dall’Unione Monetaria Europea o un qualche “non pagamento del debito pubblico”, che certo rappresentano strade contorte e poco verosimili, non potrebbero che tradursi in una contrattazione e rinegoziazione dello stesso debito con ulteriore attacchi ai lavoratori ed agli strati popolari e drastico peggioramento delle loro condizioni di vita e lavoro.

E’ anche rispetto a tutto questo che va valutata l’opportunità di un’adesione al fronte di forze promotore alla manifestazione nazionale del 15 a Roma, pur dando per scontata l’importanza di una partecipazione ad una giornata di lotta che aspira ad essere europea e persino internazionale.
Quali sono le forze che in Italia hanno promosso la manifestazione del 15 ? Con quali contenuti, programmi, prospettive, ipotesi di forme di lotta ?
A differenza forse che in altri paesi europei, ed ancor negli USA dove centinaia e centinaia di attivisti sono stati già arrestati dalla polizia di Obama, la manifestazione del 15 in Italia si presenta come promossa e gestita da un arco di forze, certo vasto ed articolato, ma anche in grado imprimere una gestione sul piano organizzativo della giornata di mobilitazione, di convergere su un programma in 5 punti e di condividere una prospettiva ambiziosa, almeno dichiarata, relativa alla costruzione di un polo politico e sociale alternativo al centro-destra ed al centro sinistra.
Il programma in 5 punti, incentrato sull’obiettivo del “non pagare il debito pubblico” è indirizzato in primo luogo contro il grande capitale finanziario europeo individuato oggi come il principale responsabile degli attacchi alle condizioni di lavoro, ai diritti, alla democrazia ed alla sovranità nazionale.

Dal punto di vista dei contenuti si tratta però di un programma fuorviante : nasconde il ruolo che, praticamente tutte le componenti politiche, economiche e sociali della borghesia italiana (compresi i sindacati confederali) svolgono nella loro interessata riproduzione delle condizioni di dipendenza dal capitale finanziario europeo e dal FMI. Per non parlare poi della subordinazione dell’Italia all’egemonia politico-militare degli USA e della Nato o dell’enorme quantità di “cultura spazzatura” made in USA propinata alla popolazione del nostro paese.

Questo programma in 5 punti se preso alla lettera è poi illusorio e velleitario e, se mai potrà essere realizzato nel quadro degli attuali assetti capitalistici, si tradurrebbe in ulteriori effetti disastrosi (vedi appunto la prospettiva di un rinegoziazione del debito pubblico).

Resta da dire che, sul piano politico si tratta di un programma tutt’altro che velleitario e non a caso è sostenuto anche dalla FIOM e dal PRC. Infatti di fronte ad una crisi che pone, persino dal punto di vista del sistema monetario, dei rapporti finanziari e della gestione delle banche e dei grandi gruppi industriali-finanaziari (come da noi la Fiat), il problema politico e sindacale della lotta per il superamento del capitalismo, i 5 punti non pongono alcuna discriminante rispetto ad una serie di questioni oggi centrali come quelle della costruzione di un sindacato di classe, di un partito di classe e di un polo su scala nazionale realmente rappresentativo degli interessi degli operai, dei precari, dei lavoratori extracomunitari, dei piccoli lavoratori autonomi ecc.

La fuori-uscita dalla crisi dal punto di vista degli interessi dei lavoratori e degli altri strati popolari, l’effettivo abbattimento del debito pubblico, la reale rottura dei vincoli di dipendenza con il capitale europeo ed internazionale anche attraverso l’uscita dall’Unione Monetaria Europea e senza che il tutto si rovesci in una farsa pagata a caro prezzo dagli stessi lavoratori, il rilancio dell’industria nazionale e della ricerca, la ricostruzione e l’espansione dello stato sociale, la fuori-uscita dalla Nato, l’instaurazione di una democrazia di nuovo tipo capace di aprire la strada a misure di gestione pianificata, su base pubblica, dell’economia in funzione delle necessità sociali e della salvaguardia dell’ambiente, ecc., tutto questo è ormai del tutto incompatibile con il capitale e la borghesia ‘italiani’ e con quel miserabile aborto di democrazia rappresentativa in cui si sono irreversibilmente trasformate le istituzioni statali “repubblicane”.
Senza evidenziare questa incompatibilità, senza scavare un profondo fossato tra, da un lato la classe operaia e gli strati popolari e, dall’altro gli assetti economici, politici, sindacali, militari dominanti ed egemoni, non c’è via d’uscita dal massacro sociale e dalla prospettiva di un moderno fascismo.

Ecco perché, almeno in Italia, la scadenza del 15, pur con tutti i suoi meriti, minaccia di tradursi in un’ennesima occasione persa ed in un relativo nuovo tentativo di reperire linfa per rivitalizzare una ‘sinistra’ che, giustamente, è andata in crisi, sia nelle sue forme istituzionali, sia in quelle movimentiste.
E’ facile prevedere che la crisi metterà a dura prova questo tentativo e che il fronte che oggi converge tornerà a dividersi sull’essenziale.

Però tutto questo vuol dire che si sta perdendo tempo e che si suscitano volontà di lotta e di mobilitazione che finiranno per venire dissipate in quello che si presenta come il tentativo di suscitare un movimento di opposizione senza poter o voler assumerne tutte le conseguenze sul piano della necessità di portare a fondo la discriminante nei confronti del sindacalismo confederale, di chi non vuole rompere con la CGIL e di chi vuole riproporre, magari in forma apparentemente più radicale, le stesse logiche e gli stessi programmi reazionari di una sinistra (come quella rappresentata dal PdCI o dal PRC) sempre più in decomposizione.
La conseguenza di tutto questo è che ancora una volta una grande giornata di mobilitazione potenzialmente anticapitalistica rischia di tirare la volata alla prospettiva di una “nuova” sinistra istituzionale e/o alla ripresa del centro-sinistra.

10 ottobre 2011 Slai Cobas – coordinamento nazionale

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