QUALE FUTURO PER LA FDS?
Tira una brutta aria, in casa Federazione della sinistra; mentre da un lato si assiste alla nascita - dall'unione delle due micro organizzazioni Socialismo 2000 e Lavoro e Solidarietà - del Partito del lavoro (Pl), dall'altro sembra esserci sempre maggiore insofferenza, da parte dello stato maggiore rifondarolo, per la situazione che si sta delineando.
Quando fu creata la Fds, il Pastore Valdese ed i suoi accoliti avevano tutt'altro in testa: creare questa nuova organizzazione con l'intento di, in seguito, annettersi quel che sarebbe restato del Pdci.
L'offerta - immediatamente accettata da Diliberto e soci - di essere ospitati nella medesima sede romana di viale del Policlinico 131, doveva essere il primo passo concreto in questa direzione; sono passati un paio di anni, e nulla si è mosso nel senso che prevedeva la dirigenza rifondarola.
Il Pdci - seppur decimato da alcune defezioni - resiste, ed il Pastore Valdese comincia a dare segni di nervosismo: tanto più che l'ultima scissione, subita da Rifondazione, ha portato al rafforzamento dei 'cugini', con l'entrata nei loro ranghi dell'area dell'Ernesto.
Il problema, sia per gli uni sia per gli altri - trattandosi di due partiti esclusivamente istituzionalisti - è garantirsi le poltrone nelle future assemblee elettive: questo per evitare che qualche dirigente, che mai ha lavorato neppure un'ora in vita sua, sia costretto a subire l'onta di andare a cercare un'occupazione.
Detto questo, occorre distinguere tra i due progetti: da una parte c'è una assurda pretesa di annessione, mentre dall'altra la proposta è quella di riunire i due partiti sedicenti 'comunisti' su base paritaria.
Il susseguirsi degli eventi pare dare ragione a quest'ultima posizione; seguirò attentamente l'evolversi della questione, ma penso che alla fine prevarrà la linea del Pdci: se non altro per motivi di mera sopravvivenza politica.
La pura e semplice annessione sarebbe sicuramente rifiutata dalla stragrande maggioranza dei seguaci del professore cagliaritano di diritto, mentre una soluzione di tipo diverso potrebbe avere conseguenze benefiche sul piano elettorale ed organizzativo.
Genova, 09 ottobre 2011
CONGRESSO PROVINCIALE DEL PdCI GENOVESE
Si tiene sabato otto ottobre, a partire dalle ore 10:00, nei locali della federazione, il congresso provinciale genovese del Pdci; i presenti sono una quindicina, divisi tra iscritti, invitati, ed il segretario regionale, lo spezzino - residente nel Comune di Arcola - Giovanni Vesco detto Enrico.
Nel corso del pomeriggio precedente, ho sentito al telefono un dilibertiano di Torino, che mi ha denunciato la condizione di "sbando totale" in cui versa il suo partito; è difficile dargli torto, ed è un episodio - solo apparentemente poco significativo - accaduto nel capoluogo ligure, a chiarire la questione: la conferma degli orari dell'assise odierna è arrivata soltanto nel tardo pomeriggio di venerdì sette ottobre, via posta elettronica.
D'altra parte, che la situazione sia tutt'altro che rosea lo conferma il segretario provinciale uscente, Carlo Senesi, il quale - nel corso di un colloquio informale con il presidente del congresso, Rocco Cuccaro - definisce azzeccata la scelta, di svolgere i lavori nei locali di piazza De Marini 1/10b, con la seguente battuta riferita alla tramontata possibilità di rivolgersi ad una struttura esterna: "Pensa al deserto dei tartari".
Come afferma il Senesi nella sua relazione introduttiva, la speranza di risollevare le sorti dei sedicenti 'comunisti' è riposta nello sviluppo della Fds: la proposta unitaria, però, viene da questi allargata ulteriormente all'intera coalizione, assumendo che il partito dovrebbe essere in grado di condizionarne le scelte; peccato che storicamente, partendo per condizionare, si finisce per accettare tutti i ricatti dei vari democristiani, in nome del meno peggio.
Ci pensano comunque gli interventi di saluto degli invitati - Paolo Scarabelli, segretario provinciale di Rifondazione, Andrea Sassano, coordinatore provinciale del neonato Partito del Lavoro (formato dall'unione tra Socialismo 2000 e Lavoro e Solidarietà), e Franco Oliveri della seconda componente del Pl - ad affossare questa linea, seppur da posizioni opposte: il rifondarolo si dice persino "non convinto" del percorso di unità tra i due partiti sedicenti 'comunisti', mentre il socialista ritiene imprescindibile e prioritaria l'unità della coalizione (ed infatti, non a caso, si presenta alle elezioni primarie volute dal Partito deficienti).
Ambedue antepongono gli interessi della propria bottega a quelli di un soggetto unitario: l'esatto opposto di quanto portato avanti dalla dirigenza dilibertiana, che ritiene che si debba "apparire seri ed affidabili" sia nel percorso interno alla 'sinistra', sia nei rapporti con il resto della coalizione, quella accozzaglia informe che - per dirla con le parole di Vesco - "ha il terrore di andare a governare".
Genova, 08 ottobre 2011
Stefano Ghio - Proletari Comunisti
RIFONDAZIONE 'COMUNISTA' O UMANISTA?
La sera di mercoledì cinque ottobre ricevo, sulla mia casella di posta elettronica, una mail dal sito di Claudio Grassi - http://www.claudiograssi.org - il responsabile del dipartimento nazionale Organizzazione del Partito della Rifondazione Comunista, contenente la versione finale dei tre documenti sui quali verterà la discussione del prossimo Congresso nazionale, l’ottavo, che si terrà nei prossimi mesi.
Il primo - firmato dall’area della maggioranza ferreriana - è intitolato “Unire la sinistra di alternativa, uscire dal capitalismo in crisi”; il secondo, quello riconducibile ai trotzkisti dichiarati di Falcemartello e di Controcorrente-sinistra del Prc, ha per titolo “Per il partito di classe”; il terzo infine, firmato dall’area degli ex Ernesto rimasti nel partito, ha come titolo “Comunisti/e per l’opposizione di classe e l’alternativa di sistema”.
Inoltre, allegato ai documenti congressuali, si trova il saggio dell’(in)Fausto Bertinotti - quello del “comunismo parola indicibile” - intitolato “Far saltare il recinto neoautoritario. La rivolta come opportunità”, che appare messo lì apposta per dare il senso dell’operazione attuata dalla maggioranza ferreriana.
Il documento presentato da questa, nella sostanza - al di là delle vuote parole sulla necessità di rifondare il pensiero comunista superando lo ‘stalinismo’ insito nel potere delle democrazie a socialismo reale, che nella sostanza significa superare il concetto di Partito Comunista, che o ha una matrice marxista-leninista oppure semplicemente non può essere - dà ragione a chi, nel dibattito della precedente assise nazionale, denunciava come le due tesi preponderanti, quella ferreriana e quella vendoliana, fossero molto simili: ambedue proponevano, seppur con modi e tempi diversi, il superamento del concetto di partito avanguardia della classe operaia.
Quello che i critici non potevano immaginare è che la furia demolitrice del Pastore Valdese potesse superare in virulenza quella del rinnegato Nichi (s)Vendola; chi allora si pose sulle posizioni del nativo di Pomaretto, lo fece essenzialmente per due motivi: o conservare la poltrona - per quanto di insignificante valore essa potesse apparire - oppure per evitare che Rifondazione concludesse la sua storia in qualcosa di indefinito, come si è rivelata essere Sinistra Ecologia e Libertà.
Ebbene, leggendo la parte iniziale del documento, il cui primo firmatario è il nativo della Val Germanasca, non penso ci possa più essere alcun dubbio di sorta: al di là di alcune giuste analisi di ciò che è stato, e di altrettanto condivisibili proposte per futuri programmi elettorali (elencate, queste, nell’ultima parte del lungo scritto), appare a chiare lettere l’intenzione di trasformare Rifondazione in una formazione politica ecumenica e democratica in senso borghese - lontanissima, quindi, dalla tradizione comunista, che da sempre è antidemocratica, essendo per la dittatura del proletariato in contrapposizione a quella della borghesia, erroneamente definita democrazia - che contenga al suo interno la maggior parte possibile dei soggetti anticapitalisti.
La prospettiva dichiarata è quella di formare un partito umanista che si ponga alla testa dei vari movimenti di protesta, sorti in Italia nell’ultimo decennio, che fanno dell’antipartitismo - inteso come contrarietà ai partiti così come sono attualmente strutturati - la loro bandiera; solo così si comprende perché il Pastore Valdese richiami questa necessità.
Certo che è curioso: nel caso il Pastore Valdese non lo sapesse, esiste già un gruppo di cotal guisa - http://www.partitoumanista.it - ed è facile ottenere l’iscrizione ad esso, bastando contattare una qualche sede, sono parecchie in tutta Italia, e chiedere la tessera; non c’è bisogno di distruggere una formazione politica, peraltro di diverso orientamento dichiarato, per poterne entrare a far parte.
Ma se si guarda questo suo riferimento all’umanesimo alla luce del progetto di trasformazione di un soggetto sedicente ‘comunista’ in qualcos’altro, senza che la base si accorga dello strisciante cambiamento di prospettiva, ecco che tutto acquista un senso: l’allontanamento dell’area dell’Ernesto - o quanto meno il suo incoraggiamento, palese o velato, attraverso la non opposizione al progetto dell’unità dei sedicenti comunisti a prescindere da Rifondazione - sembra dare una risposta accettabile in questo senso.
D’altro canto, lo stesso richiamo al “socialismo del XXI secolo” non è altro che un modo per nascondere la vera natura della trasformazione in senso a-‘comunista’ che si vuole imprimere.
Nessuno dei leader dei Paesi, che costituiscono il fulcro del progetto sopra citato, si dichiara comunista: Hugo Chàvez Frìas (Venezuela) è un socialista, Evo Morales (Bolivia) un tradizionalista indio, Rafael Correa (Ecuador) è addirittura un cristiano di sinistra; rimane un mistero come si possa pensare che il progetto di questi signori sia quello di avanzare verso una società comunista.
Il secondo scritto - riconducibile all’area orgogliosamente trotzkista, che rappresenta circa il dieci per cento di un partito dove più della metà degli iscritti ha simpatie per questi traditori, agenti della borghesia in seno alla classe operaia, ma non osa fare coming out - è molto più snello: consta di ‘appena’ tredici cartelle, meno della metà rispetto alle trenta del documento presentato della maggioranza uscente.
Qui, come già nella precedente esposizione, si assiste alla presenza di ragionamenti condivisibli su quella che è la situazione odierna; peraltro è noto che le analisi effettuate dai trotzkisti normalmente sono inconfutabili, al contrario delle proposte che ne derivano (spesso opinabili) e alla prassi che le deve supportare, quasi sempre sbagliata concettualmente.
Scorrendo le diverse parti del documento, non sono pochi i riferimenti a situazioni di rivolta avvenute in Europa - così come in Africa - che potenzialmente sono in grado di estendersi al resto del continente, e che in quel caso (a parere di Claudio Bellotti e gli altri firmatari della mozione) dovrebbero vedere Rifondazione presente nelle lotte.
Non è chiaro cosa farebbero, questi signori, qualora il resto del partito decidesse di disinteressarsi di questa questione, o addirittura di avversare alcune di queste lotte perché non limitate al recinto della legalità borghese; il timore, giustificato dal loro atteggiamento pregresso, è che tutti questi bei discorsi - unitamente a quelli che concernono il programma di azione, politica e sindacale, della compagine guidata dal Pastore Valdese - vengano rinchiusi in un cassetto: almeno fino al prossimo Congresso.
Infine, preme parlare della terza posizione congressuale, quella esposta - con un documento snello di sette pagine - dai componenti dell’area dell’Ernesto che non hanno abbandonato il partito, preferendo restare a fare battaglia interna invece di confluire nell’Associazione Marx XXI, e quindi nel Pdci.
Costoro, come anche i loro ex amici che hanno operato una scelta diversa in merito al posizionamento in questa o quella organizzazione, chiamano i rifondaroli ad aderire al processo di unità dei sedicenti comunisti; non lesinano, altresì, di bacchettare la maggioranza di Rifondazione sulla questione della sua palese contiguità con il progetto, riformista e governista, vendoliano: il rischio, a loro modo di vedere, è quello di finire in una posizione di subalternità al partito sedicente democratico (ed anche per questo non hanno seguito i loro ex accoliti).
Con queste premesse ci si chiede cosa faranno, questi signori, all’indomani della sicura sconfitta alla conta dei voti: la reazione più scontata sarebbe quella di abbandonare il partito del Pastore Valdese - ormai nelle mani, a tutti gli effetti, dei trotzkisti - ed approdare agli stessi lidi dei loro accoliti che li hanno preceduti, portandosi magari appresso nuovi adepti.
Siccome però la politica è l’arte del compromesso, magari rinunceranno per avere un posto in qualche segreteria regionale: esattamente come insegna il comportamento di un dirigente genovese - firmatario della seconda mozione - ex ferrandiano, che è rimasto in Rifondazione proprio dopo aver ottenuto il cadreghino tanto desiderato.
Alessandria, 07 ottobre 2011
Stefano Ghio - Proletari Comunisti
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