venerdì 14 ottobre 2011

Sosteniamo la lotta dei prigionieri politici palestinesi!

Mentre ancora non è chiaro chi, tra i 6/7 mila palestinesi prigionieri, dovrà uscire dalle carceri dello stato terrorista israeliano, c'è grande attesa e gioia immensa nel riabbracciare i propri cari e compagni nei campi profughi, a Gaza e in Cisgiordania.
L'accordo tra Hamas e Isaele, con la mediazione dell'Egitto, prevede la liberazione del caporale dell'esercito d'occupazione sionista, Shalit, in cambio della liberazione in varie fasi di migliaia di prigionieri palestinesi. Il portavoce di al-Qassam (Hamas) ha precisato che "Shalit non verrà rilasciato prima dell'implementazione della prima fase della liberazione dei prigionieri palestinesi, quella nella quale ne saranno liberati 450. Per essere precisi, Shalit sarà liberato nel corso del rilascio dei 450 prigionieri palestinesi condannati a lunghe pene; dopo due mesi si avvierà il rilascio di altri 550 detenuti palestinesi.
In base all'accordo, 203 prigionieri della Cisgiordania saranno deportati verso la Striscia di Gaza.
96 prigionieri palestinesi faranno ritorno in Cisgiordania e 130 prigionieri nella Striscia di Gaza".
Hamas pare l’abbia spuntata sui nomi dei primi 450 prigionieri, mentre il restante sembra essere a scelta di Israele. Fra i liberati non ci saranno Marwan Barghouti nè Ahmad Saadat, i due noti dirigenti rispettivamente di Fatah e del Fronte Popolare. Proprio Saadat è stato uno dei 50 detenuti ad aver dato inizio allo sciopero il 27 settembre ed ora le sue condizioni fisiche sono peggiorate. L’organizzazione palestinese per il supporto e i diritti dei prigionieri “Addameer” ha lanciato un appello in favore di Saadat perché venga ricoverato subito in ospedale e la Croce rossa internazionale possa visitarlo in prigione.
Il capo dei servizi segreti (Shin Bet), Yoram Cohen, ha preciato che 203 detenuti palestinesi non torneranno alle loro case: una quarantina andranno in esilio in vari paesi, gli altri verranno confinati a Gaza e, ha aggiunto, che, comunque, Israele non si asterrà dagli assassinii mirati.
Intanto più di 400 detenuti palestinesi stanno facendo uno sciopero della fame da sedici giorni.
Saleh Al-Aroury, ex prigioniero politico Movimento di Hamas: "l'accordo con Israele, con la mediazione egiziana, comprende anche l'implementazione di tutte le richieste dei prigionieri attualmente in sciopero della fame".
Traduzione della dichiarazione di Ahed AbuGhulma dal carcere di Askalan.
Ahed Abughulma è uno dei leader delle proteste in carcere, è stato imprigionato in un carcere controllato da inglesi ed americani (lo stesso dove si trovava Saadat) fino a quando il carcere è stato preso dai sionisti e da allora si trova a scontare l'ergastolo nelle carceri israeliane.

"Tutti i prigionieri stanno bene, in buona salute, e conservano la loro grande dignità. Essi sono in grado di continuare lo sciopero della fame iniziato 2 settimane fa, e sono abbastanza forti per farlo. Continueremo fino a che non raggiungeremo i nostri obiettivi.

Anche la settimana scorsa, quando un altro avvocato di Addameer è venuto a farci visita, abbiamo insistito sul fatto che la violenza che gli israeliani usano contro di noi non ci farà desistere dal richiedere condizioni umane di detenzione.
Sono molto contento di come si stanno comportando questi prigionieri e prigioniere, sono convinto che essi stiano creando una nuova situazione in prigione e che segnino l'alba di un nuovo movimento dei prigionieri. Mi auguro che tengano duro e non cambino posizione fino a che non otterrano ciò che chiedono.
Assicuro ai miei compatriotti che presto innalzeremo la bandiera della vittoria sotto il nome dell'unità dei prigionieri palestinesi.

Voglio mandare i miei apprezzamenti ai palestinesi che ci sono vicini in questa lotta. Le diverse attività con cui ci supportano ci danno la forza di continuare, e gli infondono la caparbietà necessaria con Israele. Chiedo loro, d'altronde, di continuare ed aumentare le attività di supporto ai prigionieri.

Saluto e ringrazio il mondo arabo ed il movimento internazionale di solidarietà, perchè sono con noi e mostrano sostegno alla giusta causa palestinese, in particolare coloro che sono in sciopero della fame in solidarietà con i prigionieri in sciopero della fame. Questa presa di posizione da parte degli attivisti in altri paesi è molto importante ed è simbolo di chiarezza di vedute e limpidezza delle posizioni. Essi fanno davvero un grande sforzo per essere parte di questo sciopero della fame.

Apprezzo anche le associazioni internazionali per i diritti umani, attive nell'intento di mostrare le situazioni in cui i prigionieri versano e che li supportano. Mi auguro che continuino fino a che il diritto al ritorno, all'indipendenza ed autodeterminazione non saranno garantiti".

Le richieste dei prigionieri:
-Porre fine alla pratica dell'isolamento
-Terminare il divieto di istruzione universitaria per i detenuti
-Terminare la prassi di punizione collettiva, compresa la negazione delle visite, e imposizione di sanzioni pecuniarie sui prigionieri
-Porre fine alle incursioni provocatorie e invasioni delle celle prigionieri
-Fermare la pratica di ammanettare le mani e le gambe dei prigionieri durante le visite di familiari e avvocati
-Migliorare le condizioni di salute di centinaia di prigionieri malati e feriti e fornire loro le cure necessarie
-Permettere a libri, giornali e vestiti di entrare nelle prigioni
-Permettere la trasmissione di canali televisivi satellitari che sono stati banditi dal servizio penitenziario israeliano (IPS)
-Porre fine al limitare di 30 minuti ogni mese per le visite, e al rifiuto arbitrario di visite

Sull'accordo per lo scambio di prigionieri, riportiamo un'intervista pubblicata dalla rivista Limes.

limesonline
Intervista a Umberto De Giovannangeli
‘L’accordo su Shalit è una vittoria di Hamas’
di Niccolò Locatelli
L'esperto di Limes per Israele e Palestina commenta l'intesa per la liberazione del soldato israeliano e di prigionieri politici palestinesi. Il ruolo dell'Egitto, l'asse Cairo-Ankara, la tentazione centrista di Netanyahu. All'Onu non cambia nulla.

LIMES: Secondo le prime notizie, Israele libererà un migliaio di prigionieri politici palestinesi (ma non alcuni dei più in vista), e Hamas libererà Gilad Shalit, il soldato fatto prigioniero nel 2006. L'accordo è ragionevolemente vantaggioso per entrambi, o una parte esce chiaramente vittoriosa?
DE GIOVANNANGELI: Sul piano della tempistica, prima ancora che del contenuto dello scambio, direi che a trarne maggiore giovamento sia Hamas. Spiazzato dall'"intifada diplomatica" di Abu Mazen, Hamas aveva bisogno di riconquistare visibilità e consensi, soprattutto sul piano interno. Lo ha fatto toccando una delle "corde" più sensibili per l'opionione pubblica palestinese: quella dei prigionieri. Inoltre Hamas ha dimostrato che quando occorre negoziare davvero Israele mette da parte le sue posizioni pregiudiziali e riconosce un interlocutore che non è riuscito a cancellare militarmente.
LIMES: La tempistica è quantomeno interessante. Shalit è in mano di Hamas da cinque anni. Attualmente è in discussione all'Onu la domanda di riconoscimento della statualità della Palestina, posta da Fatah ma non supportata da Hamas. Quest'accordo potrebbe avere qualche ripercussione al Palazzo di Vetro?
DE GIOVANNANGELI: Non credo che vi sia una ricaduta sostanziale, in particolare rispetto all'orientamente negativo sul riconoscimento dello Stato palestinese annunciato dal presidente Usa Barack Obama. Di certo però il negoziato - sia pur indiretto - tra Israele e Hamas indebolisce uno degli argomenti polemici utilizzati da Netanyahu contro la leadership dell'Anp: essere "ostaggio" di Hamas. Lo indebolisce perchè lo stesso Netanyahu è stato costretto a fare i conti con Hamas.
LIMES: Oltre alla Germania, l'Egitto è stato un mediatore importante nella trattativa su Shalit. Qual è lo stato attuale dei suoi rapporti con Israele?
DE GIOVANNANGELI: L'Egitto del "post-Mubarak" intende avere un ruolo di primo piano negli equilibri regionali, perciò gioca la carta palestinese e, al tempo stesso, dimostra a Israele di essere un "vicino" che, al di là di alcune uscite ad uso interno, non intende venir meno a un rapporto di cooperazione. In questo, i militari al potere nel paese delle Piramidi si muovono in continuità con la linea praticata dall'ultimo "faraone" Hosni Mubarak. Questa vicenda inoltre rafforza l'asse destinato a plasmare il volto del "nuovo Medio Oriente": l'asse turco-egiziano.
LIMES: Perchè? Che ruolo vuole avere la Turchia nella regione?
DE GIOVANNANGELI: Il premier turco Erdogan non ha nascosto le mire di potenza della Turchia, in particolare su aree ritenute cruciali per i suoi interessi: il Medio Oriente e il Nord Africa. Per portare avanti la sua strategia di penetrazione, Erdogan sa di dover stringere alleanze regionali con paesi e leadership ritenuti più affidabili, come appunto l’Egitto. Un’alleanza necessaria per far fronte ai concorrenti più agguerriti sullo scacchiere mediorientale: l’Iran, da un lato, l’Arabia Saudita e i ricchi Emirati (in primis il Qatar) dall’altro.
Per acquisire centralità, il premier turco ha toccato tutte le corde più sensibili nel mondo arabo, inteso sia come opinioni pubbliche sia come élite vecchie e nuove al potere: dalla polemica con Israele al sostegno attivo alla ”intifada diplomatica” palestinese, dalle dure critiche al regime siriano di Bashar al-Assad per la sanguinosa repressione delle rivolte interne alle suggestioni evocate nei paesi - Tunisia, Egitto, Libia - teatro della cosiddetta “primavera araba”, sulla possibilità, di cui Ankara è esempio concreto e modello di riferimento, di coniugare Islam e modernità. La Turchia come espressione avanzata di “democrazia islamica”. Il tutto senza chiudere le porte a una nuova stagione di collaborazione con Israele, e di interlocuzione attiva con l’Europa.

LIMES: Che conseguenze avrà l'intesa annunciata ieri sui rapporti tra Hamas e Fatah, incapaci di dar seguito all'accordo di riconciliazione del maggio scorso?
DE GIOVANNANGELI: Sul piano interno palestinese, l'accordo-Shalit ridefinisce i rapporti di forza tra Hamas e Fatah, nel senso che dimostra il permanere, a livello politico e del controllo territoriale, di "due Palestine". Quanto al dialogo nazionale e alla formazione di un governo ad esso legato, gli ostacoli da superare non riguardano solo le linee programmatiche e i posti di potere reclamati dalle due formazioni, ma anche le divisioni interne tra le diverse "anime" di Hamas e di Fatah.
LIMES: Il ministro degli Esteri israeliano Avidgor Lieberman è stato tra i 3 membri del governo (contro 26) ad opporsi all'accordo con Hamas. La sua è da considerarsi una presa di posizione simbolica o è la spia del malessere della destra nazionalista, componente importante dell'esecutivo?
DE GIOVANNANGELI: Il "falco" Lieberman esce indubbiamente indebolito dalla prova di forza voluta da Netanyahu. Indebolito ma non cancellato. Sul piano interno, la scelta di Netanyahu può essere letta anche come un voler spostare al centro l'asse del suo governo, bilanciando le chiusure e l'oltranzismo - vedi la questione degli insediamenti - che hanno fin qui marcato l'azione di un esecutivo fortemente condizionato dalla destra nazionalista. Il tempo dirà se la mossa di Netanyahu è anche un segnale all'opposizione centrista di Kadima, guidata dall'ex responsabile degli Esteri Tzipi Livni, per avviare un confronto che possa portare a un governo Likud-Kadima, di certo più gradito dagli Usa e più rispondente agli orientamenti "centristi" della maggioranza dell'opinione pubblica israeliana.

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