Ieri, 4 settembre, è stato proiettato al Festival di Venezia il film-documentario: “La svolta. Le donne contro l'Ilva” di Valentina D'Amico.
“Questo film racconta la battaglia di sei donne in particolare: Francesca e Patrizia, mogli di operai morti all’Ilva; Vita, mamma di un giovane operaio finito ammazzato sotto una gru nello stabilimento; Margherita, ex dipendente sottoposta a soprusi, mobbizzata, licenziata; Anna, finita sulla sedia a rotelle, e Caterina, mamma di un bambino autistico: malattie diverse, entrambe probabili conseguenze dell’inquinamento. In primo piano la loro storia umana, di lavoro, di sofferenza. La loro voglia e necessità di riscatto per sé e per gli altri: nelle aule dei tribunali, nelle manifestazioni di piazza, nelle denunce senza veli alle massime cariche dello Stato... La trama del film affronta da un lato la più grande acciaieria d’Italia, terzo stabilimento in Europa, che con l’aumento annuale dei profitti, vanta il primato nazionale delle morti sul lavoro e quello dell'inquinamento ambientale; dall’altro donne combattive (lavoratrici, mogli, madri) che vogliono spezzare il bastone dell’arroganza, dell’impunità che mortifica la propria dignità, uccide i propri mariti e figli, che mina la propria salute. Donne che si ribellano...”.
Questo documentario è stato costruito a Taranto, ma è nato in particolare nella sede dello slai cobas per il sindacato di classe e dall'incontro, discussione, prima organizzazione del lavoro con le compagne del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, a cui Valentina D'Amico si era rivolta perchè sia poco tempo prima avevano fatto una campagna proprio delle “donne contro l'Ilva”, Franca, Vita, Patrizia, Margherita, ma anche le donne dei Tamburi il quartiere vicino all'Ilva più inquinato; sia perchè anni prima le lavoratrici dell'Mfpr avevano fatto una grossa lotta contro uno dei massimi dirigenti dell'Ilva denunciato per violenza sessuale. In uno dei nostri volantini nel 2008 avevamo scritto:
“Margherita Pillinnini, lavoratrice dell'Ilva il 6 maggio ha tenuto testa agli avvocati dell'azienda e di un sindacalista della Uilm nel processo contro il suo licenziamento e il mobbing che sta subendo da anni, smascherando le vere ragioni della persecuzione nei suoi confronti: far fuori una lavoratrice che con altre sue compagne di lavoro anni fa aveva denunciato un alto dirigente dell'Ilva per molestie sessuali, maltrattamenti, fino ad una violenza sessuale verso un'altra lavoratrice – punta di iceberg di un atteggiamento offensivo, persecutorio più generale tenuto dai capi verso le donne,impiegate in Ilva; in quell'occasione le lavoratrici dello slai cobas e del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario avevano fatto una grossa campagna di mobilitazione che aveva portato ad una vittoria: per la prima volta uno dei massimi capi, vicino a Riva, veniva licenziato, processato e condannato...
Una donna di un quartiere di Taranto, ammalatasi di leucemia nel 2006, ha querelato Riva, perchè l'Ilva con la sua micidiale produzione di diossina, pm 10 e pcb è la causa della sua malattia...
Per la prima volta, una donna sta sfidando l'Ilva... Sono tante le donne di Taranto che pur non lavorando in Ilva si sono ammalate, sono morte nel silenzio per effetto delle micidiali sostanze emesse nell'aria in ogni momento della giornata dalla fabbrica... Queste donne che non esistono neanche nei dati dei morti provocati dall'Ilva, oggi trovano finalmente chi le dà voce, e nei giorni scorsi ha ottenuto una prima vittoria, il processo a padron Riva si fa!
E poi ci sono Franca, Vita, Patrizia, le grandi donne che hanno trasformato il loro dolore per la morte per infortunio del loro marito (Antonino Mingolla, Silvio Murri), del loro figlio (Paolo Franco) in rabbia, forza, combattività. Non hanno accettato che ancora una volta omicidi per il profitto seguissero la routine burocratica di processi silenti... Hanno respinto con sdegno anche offerte di denaro fatte dall'azienda per metterle a tacere. Hanno cambiato la loro vita – e non è stato facile - per mantenere “vivi” sempre i loro mariti, i loro figli, e si sono trasformate, sono diventate forti, coraggiose, per amore e per ribellione, per volontà di giustizia, sono uscite dalle case e ora parlano nelle assemblee, viaggiano, mettono sotto pressione i giudici, ecc...".
Quando Valentina ci ha chiesto di incontrarci le abbiamo subito detto che doveva rappresentare un'altra immagine delle donne dell'Ilva, soprattutto delle mogli, madri degli operai uccisi in fabbrica, una immagine di rottura dei clichè pietosi con cui le rappresentano i giornali, le televisioni; doveva invece raccontare e dare l'immagine delle donne che alzano la testa e sfidano e lottano contro Riva.
Franca, Margherita, Vita, ecc., con la forza data loro dalla lotta dello slai cobas per il sindacato di classe (con la battaglia per la Rete delle sicurezza contro le morti sul lavoro) e dal mfpr, hanno finalmente mostrato la vera e più giusta realtà delle donne; ha dato soprattutto a Franca la forza di “uscire di casa” e impegnarsi a livello nazionale per la Rete, di scrivere il bellissimo ed emozionante racconto “La svolta” che fa da conduttore al film-documentario; come anni prima aveva dato a Margherita e altre lavoratrice dell'Ilva la determinazione di denunciare Riva e i suoi capi e non piegarsi mai ai suoi ricatti.
Valentina D'Amico venne nella nostra sede e incontrò per la prima volta Franca, Vita, Margherita. E incominciò un colloquio con noi, con queste donne, che continuò nei mesi successivi.
Noi cercammo di far sentire a Valentina appunto “la svolta”, e la necessità che questo doveva essere il messaggio del film-documentario perchè servisse ad altre donne, tantissime donne che restano vedove perchè il profitto di padron Riva continua ad uccidere, che muoiono, loro e i loro figli, per l'inquinamento, alle lavoratrici, poche, che lavorano nell'inferno dell'Ilva, perchè si ribellassero.
Non sappiamo se il film-documentario contribuirà a questo; a volte un film può cristallizzare, fissare le parole, le emozioni e fermarle a quel momento facendole perdere di vita.
Per questo pensiamo che è importante dire come è nato questo film-documentario. Come frutto della ribellione, della lotta di queste donne, e di una battaglia che ieri come oggi le compagne del Mfpr, le lavoratrici dello slai cobas continuano, per Franca, Vita, Patrizia, Margherita, e per tutte le altre...
Sarà un caso che Padron Riva agli inizi del 2009 per la prima volta è venuto personalmente al processo da lui chiesto contro Margherita Calderazzi dello slai cobas e del Mfrp, per una scritta “Riva assassino”, per vedere e imporre la sua “autorità”, tornandosene però sonoramente sconfitto?
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