All'avvio di questo nuovo ciclo il 23 novembre avevamo scritto: "Chiediamo a tutti coloro che ci leggono di commentare il passo pubblicato - integrarlo con propri interventi - pubblicheremo il giovedì su questo blog tutto quello che perviene e se il caso risponderemo - pcro.red@gmail.com wattsapp 351-9575628. Per questo oggi cominciamo con uno dei commenti pervenuto dopo il primo testo pubblicato
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Cari compagni, come sempre ho letto con attenzione il documento da voi licenziato, e non posso che dichiararmi completamente concorde con quanto sostenuto dall'autore; certamente è importante mettersi bene in testa il principio secondo il quale il primo compito delle avanguardie operaie e delle loro organizzazioni è quello di sviluppare gli scioperi.
Non vi è dubbio che per far crescere la coscienza della classe operaia occorra cercare di aggregarla, su una serie di concetti chiari e precisi, in funzione di combattere quella guerra di classe che noi, purtroppo, non siamo ancora in grado di organizzare, ma i padroni combattono da sempre e in particolare ossessivamente da almeno trent'anni, dal crollo del "socialismo reale".
Non c'è dubbio che d'allora l'offensiva padronale sia andata via via intensificandosi ed "incattivendosi": ora, approfittando dell'estrema debolezza del movimento comunista in Occidente, dove i partiti revisionisti si sono trasformati nei peggiori liberisti, vogliono dare la spallata definitiva ai diritti della classe lavoratrice.
Per evitare che il padronato, con l'ausilio del proprio comitato d'affari dominato dai loro oggi servi fascisti, riesca nel proprio intento è fondamentale che si sviluppi la coscienza di classe e perché questa possa raggiungere il livello auspicato occorre spendersi in prima persona per realizzare un lavoro paziente e continuo, anche alle portinerie delle fabbriche. Saluti militanti.
Un compagno di Genova
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In questa seconda puntata scegliamo come metodo di pubblicare il paragrafo del testo del "Che fare?" di Lenin che commenteremo giovedì prossimo per permettere ai compagni operai e militanti che ci leggono di meglio seguire le nostre argomentazioni - Appuntamento quindi a giovedì prossimo e buona lettura
Lenin scrive:
Abbiamo detto che gli operai non potevano ancora possedere
una coscienza socialdemocratica. Essa poteva essere loro
apportata soltanto dall'esterno. La storia di tutti i paesi
attesta che la classe operaia colle sue sole forze è in grado
di elaborare soltanto una coscienza tradunionista, cioè
la convinzione della necessità di unirsi in sindacati, di
condurre la lotta contro i padroni, di reclamare dal governo
questa o quella legge necessaria agli operai, ecc. [2*] La
dottrina del socialismo è sorta da quelle teorie
filosofiche, storiche, economiche che furono elaborate dai
rappresentanti colti delle classi possidenti, gli intellettuali.
Per la loro posizione sociale, gli stessi fondatori del
socialismo scientifico contemporaneo, Marx ed Engels, erano
degli intellettuali borghesi. Anche in Russia la dottrina
teorica della socialdemocrazia sorse del tutto indipendentemente
dallo sviluppo spontaneo del movimento operaio; sorse come
risultato naturale e inevitabile dello sviluppo del pensiero fra
gli intellettuali socialisti rivoluzionari. Nell'epoca della
quale ci occupiamo, cioè intorno al 1895, non soltanto questa
dottrina ispirava completamente di sé il programma del gruppo
"Emancipazione del lavoro", ma aveva conquistato la
maggioranza della gioventù rivoluzionaria della
Russia.
Avevamo, dunque, contemporaneamente, un risveglio
spontaneo delle masse operaie,
edizione, il Raboceie Dielo non poté vedere la luce. L'editoriale di quel giornale [3] (che, forse, fra una trentina di anni, una rivista del tipo della Russkaia Sfarina riesumerà dagli archivi della polizia) tracciava i compiti storici della classe operaia in Russia, e il primo di essi era la conquista della libertà politica. Seguiva un articolo, A che cosa pensano i nostri ministri?[4] dedicato alla devastazione poliziesca dei comitati per l'istruzione elementare, ed una serie di corrispondenze non solo da Pietroburgo, ma da altre località della Russia (per esempio, su un massacro di operai nella provincia di Iaroslavl). Dunque, questo, se non erro, «primo saggio» dei socialdemocratici russi della fine del secolo scorso, non era un giornale strettamente locale, e ancor meno un giornale di carattere «economico», poiché si studiava di unire gli scioperi del movimento rivoluzionario contro l'autocrazia e di spingere tutti gli oppressi, vittime della politica di oscurantismo reazionario, a sostenere la socialdemocrazia.
Per
coloro che più o meno conoscono lo stato del movimento in
quell'epoca è indubbio che un simile giornale sarebbe
stato favorevolmente accolto dagli operai della capitale e dagli
intellettuali rivoluzionari ed avrebbe avuto la massima
diffusione. L'insuccesso dell'iniziativa provò unicamente che i
socialdemocratici di allora erano incapaci di rispondere alle
esigenze del momento soprattutto per mancanza di esperienza
rivoluzionaria e di preparazione pratica. Lo stesso si può dire per
il Raboci Listok e specialmente per la Rabociaia Gazieta e per
il Manifesto del Partito operaio socialdemocratico russo,
costituitosi nella primavera del 1898.
È chiaro che non è
affatto nelle nostre intenzioni di rimproverare ai militanti di
quel tempo la loro impreparazione; ma per trarre profitto
dall'esperienza del movimento e ricavarne delle lezioni pratiche
bisogna rendersi ben conto delle cause e del significato di
questa o quella deficienza. Perciò è estremamente importante
stabilire che una parte (forse anche la
maggioranza) dei
socialdemocratici attivi negli anni 1895-98 riteneva possibile
presentare, proprio allora, agli inizi stessi del
movimento «spontaneo », un vasto programma ed una tattica di
combattimento [4*].
L'impreparazione della maggior parte dei
rivoluzionari, essendo un fenomeno del tutto naturale, non
poteva suscitare particolari timori. Poiché i compiti erano
giustamente determinati, poiché si possedeva l'energia necessaria
per ripetere i tentativi di adempierli, i momentanei insuccessi
non erano che un mezzo male. L'esperienza rivoluzionaria e la
capacità organizzativa sono cose che si acquistano. Basta voler
sviluppare in sé le qualità necessarie! Basta aver coscienza
dei propri errori, coscienza che, nelle questioni
rivoluzionarie, equivale già ad una mezza correzione!
Ma il mezzo male
diventa un male effettivo quando questa coscienza comincia ad
oscurarsi (ed essa era vivissima nei militanti dei
gruppi menzionati), quando c'è della gente — e persino dei
giornali socialdemocratici — che è pronta a presentare le
deficienze come virtù e persino a tentar di giustificare
teoricamente la propria sottomissione servile alla spontaneità.
È tempo di fare il bilancio di questa tendenza, molto
inesattamente definita col
termine di «economismo», che è
troppo ristretto per esprimerne tutto il contenuto.'
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