Su MilanoFinanza del 27 settembre c’è una sintesi
dell’attuale stato di crisi mondiale dell’economia e che viene definita stagnazione
secolare.
Questa crisi mondiale che dura oramai da decenni è la base
che produce gli effetti che sono visibili alla superficie della società: dallo
scontro economico globale sui mercati da conquistare, a quello sulle materie
prime, al ricorso al protezionismo, (con le “delocalizzazioni” all’interno
della cosiddetta de-globalizzazione) per finire alla guerra in Ucraina; e la
guerra, infatti, è il precipitato finale di tutte le contraddizioni tra paesi
imperialisti in lotta per la spartizione del mondo e tra questi e i paesi
oppressi, in genere fonti di materie prime e manodopera a basso costo,
contraddizioni che la borghesia scarica sul proletariato e le masse popolari di tutto il mondo.
Questi scossoni mondiali sono così potenti che rendono
difficile alla borghesia trovare “soluzioni” e mostrano un altro degli effetti
visibili: i governi non durano!
“La stagnazione secolare” dice il quotidiano finanziario, “è
un periodo prolungato di sotto investimento cronico nelle imprese
produttive (investimenti in impianti attrezzature e nuove tecnologie) in
rapporto a livello dei risparmi nell'economia.”
E cioè i profitti in questi decenni (grazie al “denaro
facile” regalato dai vari governi attraverso le banche centrali ai padroni)
sono stati così alti che hanno gonfiato all’inverosimile i “portafogli” creando
un “eccesso di liquidità” (la stima è 250.000 miliardi di dollari) che a causa
della crisi da sovrapproduzione non si possono investire nella produzione
perché il capitale investito non può essere “valorizzato”.
La quantità di profitti in aumento, la parte che tocca ai
padroni, riduce i salari, la parte che tocca alle classi lavoratrici, e ciò
provoca “una carenza di domanda”. La produzione quindi rallenta e “Di
conseguenza, l'economia tende a produrre sottoccupazione, bassa
inflazione… Se la stagnazione secolare rimane la chiave di lettura di lungo
periodo dell'economia mondiale, la crescita globale rallenterà fino a
segnare un tasso di crescita tendenziale più debole.”
“I fattori chiave della crescita tendenziale -
l'espansione della forza lavoro, il tasso di investimento delle imprese, il
ritmo del cambiamento tecnologico - appaiono tutte in affanno.” E ciò viene
confermato anche negli Stati Uniti che in genere sono “esempio” di un’economia
che “tira”: “Da qualche decennio, per esempio, la crescita della manodopera
statunitense segna un rallentamento poiché lo sprint positivo derivante
dalla partecipazione femminile e dalla generazione dei baby boomer si attenua e
talvolta inverte la sua tendenza. Le spese in conto capitale e
l'innovazione non riescono a colmare il divario.”
La crisi generale che porta, secondo gli economisti, al “rallentamento
e la possibile inversione del processo di globalizzazione” viene accelerata
ancora di più.
“Ora che le catene di approvvigionamento vengono accorciate
e in alcuni casi re-internalizzate – continua il giornalista - l'attività
economica globale ne risentirà negativamente.”
“Lo stesso – dice - vale per l'immigrazione.” E questo è un altro tasto dolente per i
governi, che da un lato fanno politica e propaganda razzista nella ricerca
disperata di un obbiettivo facile da indicare come responsabile della crisi,
dall’altro però devono incentivare la disponibilità di manodopera allargando
quanto più è possibile l’esercito industriale di riserva che in Italia si
verifica con i “decreti flussi” dei vari governi. L’economista esprime così
questo concetto: “Quando le frontiere sono sigillate e la mobilità dei
lavoratori è limitata l'attività economica viene danneggiata nel tempo.”
L’altro problema evidenziato dall’autore dell’articolo è
quello dell’inflazione, che non è dovuta in questo frangente all’aumento dei
salari ma all’aumento dei costi delle materie prime (gas, petrolio innanzi
tutto con la relativa speculazione che la fa da padrone!). Ma anche
questa riposta esprime una delle contraddizioni irrisolvibili di questo sistema
capitalista-imperialista, perché se aumenti i tassi di interesse, come stanno
facendo adesso tutte le banche come la Federale Reserve americana [gli
interessi, cioè, che le imprese devono pagare per avere soldi in prestito dalle
banche per pagare i salari e continuare la produzione, ndr] “per ridurre gli
attuali alti tassi di inflazione” questo significa appunto ridurre ancora di
più la produzione… insomma, dice il giornalista “Rallentare la domanda e
contenere l'impennata dell'inflazione oggi è necessario, ma una correzione
eccessiva potrebbe produrre gravi danni.”
Nessuna illusione, quindi: queste ripetute analisi della
crisi in corso confermano l’attuale “stagnazione secolare” alla quale i governi
cercano, senza trovarle, “soluzioni”, anzi, in genere spingono sempre
verso una “soluzione”, come abbiamo detto: scaricare ancora di più e in tutti i
modi, cioè con l’abbassamento dei salari, la cassa integrazione, i licenziamenti,
le delocalizzazioni ecc. ecc.
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