A 30 anni dalla strage politico-mafiosa di Capaci nella quale fu ucciso il giudice Falcone, per contrassegnare la lunga giornata di oggi, 23 maggio, giornata dei cortei e delle passerelle “antimafia” delle Istituzioni, a cominciare dal Presidente Mattarella passando per ogni politico che vuole approfittare dell’occasione per mettersi in mostra, basterebbero alcuni titoli dei giornali di questi giorni per mettere nella giusta luce la quantità eccessiva di parole altisonanti e vuote spese dai vari palchi allestiti in tutta la città.
Questi articoli, anche di oggi, parlano di pizzo
pagato da imprenditori di Catania, arresti di politici, sindaci e assessori del
messinese, continue vessazioni a Brancaccio contro il centro Padre Nostro, quello
di Padre Puglisi, condanne di ex presidenti di Confindustria Sicilia insieme a un
colonnello dei carabinieri, retate di decine di mafiosi nei quartieri di
Palermo…
Già solo questo dato di fatto quotidiano dovrebbe
dare il quadro realistico – la cosiddetta mafia è viva e vegeta - che smentisce
e ridicolizza tutte le chiacchiere sulla lotta alla mafia…
A tale proposito è utile leggere ciò che dicono alcuni di
questi responsabili, come il nuovo procuratore di Palermo, Lia Sava, che sugli
imprenditori dice “gli estorti con lo Stato non collaborano e con i boss sì”! Mentre
l’x procuratore generale Scarpinato dice che “Stiamo celebrando il trentennale
con lo smantellamento delle leggi antimafia…” Ma c’è di più, molto di più!
Perché ciò che ha tenuto banco in questi mesi di campagna elettorale, sia per le comunali che si terranno
il 12 giugno, che in vista delle regionali di novembre, proprio prima del fatidico 23 maggio, è stata la discesa in campo a sostegno dei propri candidati, di Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri, due noti politici condannati per mafia, che hanno agito apertamente, mettendo in riga tutto il centrodestra, imponendo il candidato sindaco di Palermo, che per loro è Roberto Lagalla.La scelta dell’ex assessore alla sanità della giunta Cuffaro
(ed ex assessore all’istruzione dell’attuale giunta Musumeci) ha suscitato
naturalmente una forte polemica e duri scontri verbali, tanto che
Lagalla ha rinunciato oggi ad essere presente alle manifestazioni dicendosi “profondamente
addolorato per il clima d’odio che qualcuno sta alimentando strumentalmente”…!!!
Dopo 30 anni dalla strage di Capaci, potremmo dire quindi
che siamo punto e a capo. Altro che fine del fenomeno mafioso! E ci sono tanti
che condividono questa opinione, come per esempio, appunto, Scarpinato, anche ex
componente del pool antimafia, che pensa che “la partita sia perduta”, che
siamo davanti ad una “amnesia collettiva, una normalizzazione culturale sul
tema delle stragi”, intendendo la partita della scoperta della verità, quella
che porta allo Stato, ai mandanti politici. Ci tiene a dire, infatti, Scarpinato
che “La storia della Repubblica nasce con una strage politico-mafiosa, Portella
della Ginestra. Da allora è stata una successione ininterrotta: piazza Fontana
nel 1969, Peteano nel ’72, Italicus e Brescia nel ’74, Bologna nel 1980, l’Italicus
[in realtà Rapido 904, ndr] nel 1984, fino a quelle del ’92-93. E tutte hanno
un unico denominatore: i depistaggi”. Perché? Chiede il giornalista: “Per
evitare che emerga una verità destabilizzante che chiama in causa pezzi di
Stato…”.
Una verità che si cerca di affogare dentro una quantità industriale
di programmi televisivi e radiofonici, documentari, inserti giornalistici, libri
e ricostruzioni, processi senza fine e… i depistaggi. Ma dopo 30 anni, se i processi per le stragi non
sono ancora chiusi, non si tratta di “pezzi di Stato”, ma dello Stato
borghese che non può permettersi di dire pubblicamente che la mafia è uno
dei suoi “bracci armati” di cui si è servito e si serve per impedire in ogni
modo il cambiamento sociale e perpetuare lo sfruttamento di classe.
In questo senso, se la mafia, come ogni fatto umano, avrà
una fine, come diceva Falcone, sarà solo per mano del proletariato organizzato
che dovrà spazzare via lo Stato borghese assassino e tutta la sua m…
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