sabato 28 maggio 2022

pc 29 maggio - Meno lavoro PIU' INQUINAMENTO

Un articolo pubblicato ieri su Il Manifesto: "Deindustrializzazione nociva, meno lavoro più inquinamento" (di cui di seguito riportiamo degli stralci), al di là delle conclusioni che cercano in modo illusorio le soluzioni all'interno stesso, migliorando questo sistema capitalista, mostra una verità che tanti cercano di nascondere; mostra che la contraddizione tra "ambiente e lavoro" va nettamente rovesciata, che meno lavoro non vuol dire affatto nel modo di produzione capitalista più tutela ambientale, ma esattamente il contrario.

In parte l'articolo lo spiega: la corsa al profitto nella crisi spinge i capitalisti, nella concorrenza a livello mondiale, a tagliare i costi, sia della forza-lavoro sia per le tecnologie meno inquinanti, ad impiegare meno operai nella manutenzione degli impianti, e più impianti sfruttati al massimo che producono più emissioni nocive; quindi meno lavoro è più inquinamento; 

La chiusura di fabbriche, la perdita di esperienze operaie, i rapporti di lavoro in percentuale

sempre più precari con operai usa e getta, non professionalizzanti, impossibilitati a conoscere e intervenire sulla sicurezza degli impianti, anche questo fenomeno ormai di massa favorisce più inquinamento. 

Quindi, ogni fabbrica che chiude non vuol dire meno fonte di inquinamento, ma vuol dire meno investimenti in generale e sicuramente meno investimenti sui "costi inutili e improduttivi" da parte delle altre fabbriche.  

La "transizione ecologica" da un lato non risolve affatto la "legge inquinante" del capitale; dall'altro essa stessa produce distruzione ambientale. 

Come scrive l'articolo: "nemmeno la strategia degli incentivi «verdi» all’investimento privato risolverà i nostri problemi... (dato) il circolo vizioso di precarietà e degrado ambientale nel tentativo di rivitalizzare gli investimenti..."; gli "incentivi" per i capitalisti sono una goccia nel mare della difesa dei profitti, si prendono ma dove investire e per cosa lo decide sempre la legge del profitto.

Ma, come dicevamo, la "transizione ecologica" è essa stessa distruttrice di ambiente, di ampi pezzi di territori, di "soffocamento di spazi", ma anche di sfruttamento al massimo della principale "forza della natura", gli uomini - pensiamo alle condizioni di lavoro e contrattuali a livelli spesso schiavisti, con un nuovo uso del caporalato, dei lavoratori impegnati negli appalti, a volte immigrati, in tante zone di costruzione di parchi eolici.

La chiusura delle fabbriche. la cancellazione di migliaia di posti di lavoro, ha già portato e porta ad una perdita di quella ricchezza lavorativa, quella forza operaia che sola può opporre barriere alla distruzione dell'ambiente (pensiamo alla grande esperienza positiva delle lotte e unità operai/tecnici/medici realizzata negli anni '70), e, in prospettiva, essere la forza dirigente del rovesciamento di questo "sistema nocivo".

L'ARTICOLO DE IL MANIFESTO 

"La grande industria è considerata una fonte sia di lavoro relativamente sicuro sia di inquinamento: il dilemma ambiente-lavoro. La narrazione di un gioco a somma zero tra ambiente e lavoro è stata però criticata come eccessivamente pessimista dalla prospettiva della «transizione giusta», che propone un gioco a somma positiva in cui l’industria viene trasformata per garantire al contempo la sostenibilità ecologica e la qualità dell’impiego. Sotto un altro profilo, tuttavia, la narrazione del gioco a somma zero è troppo ottimista, perché ignora la «deindustrializzazione nociva»: il gioco a somma negativa in cui la perdita di posti di lavoro nelle fabbriche e il degrado ambientale avanzano di pari passo...

Al livello mondiale, secondo le stime Ilostat, il tasso globale d’occupazione nel manifatturiero è lentamente declinato dal 16.4% nel 1991 al 13% nel 2020. Nello stesso periodo, per esempio, le emissioni totali di anidride carbonica sono aumentate da 23 a 36 miliardi di tonnellate annuali secondo il Global Carbon Project. Inoltre, tra il 1991 e il 2018, le emissioni generate dall’industria sono passate da 4,4 a 7,6 miliardi di tonnellate annuali secondo il Climate Analysis Indicators Tool...

In un’economia a crescita lenta, l’erosione dei posti di lavoro colpiti dal cambiamento tecnologico avanza più rapidamente della creazione di nuovi posti di lavoro a simili condizioni contrattuali e salari relativi. Ma siccome la maggior parte delle persone deve comunque lavorare per vivere, il risultato non è la disoccupazione di massa ma un declino della proporzione di posti di lavoro sicuri e la crescita della precarietà in paesi e settori dove esistevano determinate garanzie...

la crescita di output necessaria per reindustrializzare il lavoro agli attuali livelli tecnologici sarebbe incompatibile con la riproduzione sostenibile della vita sul pianeta. Ma nemmeno la strategia degli incentivi «verdi» all’investimento privato risolverà i nostri problemi. Come hanno notato Alexis Moraitis e Jack Copley, l’automazione capitalista e la stagnazione economica sono interrelate, perché la corsa alla produzione di più beni in meno tempo finisce per abbassare i prezzi ed esercitare quindi una pressione sui tassi di profitto. Questo indebolisce gli investimenti e porta alla stagnazione. Ne deriva un circolo vizioso di precarietà e degrado ambientale nel tentativo di rivitalizzare gli investimenti..."

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