La
visita del presidente turco avrà luogo nel momento culminante
dell’attacco militare contro Afrin, cantone della Siria del nord in cui è
in atto da sette anni una “rivoluzione confederale” che ha come
carburante l’autodeterminazione popolare, il protagonismo delle donne e
l’impegno dei giovani, in maggioranza curdi, che vivono in quella zona.
Altrettante caratteristiche insostenibili per il Sultano, che ha
iniziato ad attaccare qualche settimana fa il cantone con bombardamenti e operazioni di terra
nell’obiettivo dichiarato di occuparlo e portare avanti in questa zona
frontaliera una pulizia etnica attraverso la sostituzione delle
popolazioni curde con rifugiati siriani e turcomanni scappati dalla
Siria in Turchia durante la guerra civile.
Una
visita vergognosa che ha il solo obiettivo di rassicurare sulla
rispettabilità democratica del presidente turco, visibilmente malconcia,
anche agli occhi più ipocriti, dopo la repressione post-
golpe.
golpe.
Poteva
l’Italia sottrarsi a questa operazione politica? Poteva, potrebbe se la
priorità del nostro paese fosse, ad esempio, combattere lo Stato
islamico in Medio oriente di cui la Turchia è il principale
appoggio finanziario e logistico oppure favorire davvero progetti di autonomia democratica per le popolazioni mediorientali. Ma ovviamente, a dispetto, delle roboanti dichiarazioni le necessità sono altre. D’altronde l’Italia porta avanti una linea chiara da anni: in Medio oriente la democrazia si può solo esportare. È arrivato quindi oggi l’annuncio che, a dispetto di quanto inizialmente annunciato, durante il suo soggiorno Erdogan non incontrerà soltanto il pontefice ma anche le massime autorità del nostro paese, il presidente della repubblica Mattarella e il presidente del consiglio Paolo Gentiloni, facendo così dell’Italia il primo paese europeo a stringere la mano insanguinata di Erdogan dall’inizio dell’attacco su Afrin
appoggio finanziario e logistico oppure favorire davvero progetti di autonomia democratica per le popolazioni mediorientali. Ma ovviamente, a dispetto, delle roboanti dichiarazioni le necessità sono altre. D’altronde l’Italia porta avanti una linea chiara da anni: in Medio oriente la democrazia si può solo esportare. È arrivato quindi oggi l’annuncio che, a dispetto di quanto inizialmente annunciato, durante il suo soggiorno Erdogan non incontrerà soltanto il pontefice ma anche le massime autorità del nostro paese, il presidente della repubblica Mattarella e il presidente del consiglio Paolo Gentiloni, facendo così dell’Italia il primo paese europeo a stringere la mano insanguinata di Erdogan dall’inizio dell’attacco su Afrin
D’altronde,
il ruolo del nostro paese è noto da tempo, un predellino per levar
dall’imbarazzo l’Unione europea e permettere di mettere un comodo piede
nel consesso delle “nazioni civili” ai i vari presidenti impegnati a
reprimere le popolazioni che vivono sul proprio territorio. Un ruolo
riempito in questi ultimi anni, con competenza e passione, per
riprendere due feticci della campagna elettorale, dal Partito
democratico. Nel 2011 Matteo Renzi era il primo tra i capi di stato
europeo che ha osato rompere gli indugi e invitare con tutti gli onori
Abdel Fattah al Sisi. Il generale, fresco di colpo di Stato, arrivò a
Roma nel novembre di quell’anno accompagnato da uno stuolo di
imprenditori egiziani impegnati a stringere accordi commerciali con i
loro omologhi italiani. Una parabola finita ieri a Port Said, con Al
Sisi a tagliare il nastro al maxi-giacimento di gas Zohr alla presenza
del di Claudio Descalzi: "Non dimenticherò mai la posizione dell'Italia
che ci ha sostenuto tanto nonostante il caso Regeni" ha detto il
generale.
L’Italia è il terzo
partner commerciale turco, un legame rafforzato dalla Joint Economic and
Trade Commission (JETCO), la conferenza economica italo-turca che si è
svolta meno di un anno fa alla presenza del ministro per lo sviluppo
economico Carlo Calenda. Gli interessi del grande capitale italiano
spaziano dal mondo della finanza (una delle principali banche del paese,
Yapikredi, è una partecipata Unicredit) al settore delle costruzioni
(il terzo ponte sul Bosforo l’ha costruita l’azienda italiana, la
Astaldi) senza contare il settore militare. È con gli elicotteri A-129
Agusta Mangusta prodotti su licenza Leonardo che l’esercito turco sta mitragliando in questi giorni Afrin e solo qualche giorno fa si è chiusa l’asta per una commessa da 500 milioni di dollari per nove aerei militari: tra le favorite di nuovo l’italiana Leonardo con i velivoli C-27J Spartan.
Nel
silenzio assordante della società civile e della politica (ma
d’altronde chi dovrebbe prendere parola? Luigi di Maio di ritorno dalla
city di Londra per rassicurare i mercati? La sinistra PD capitanata da
chi ha venduto Abdullah Ocalan alle autorità turche?) monta la
mobilitazione dal basso contro la visita di Erdogan. Nonostante i 3’500
agenti schierati a difesa del presidente turco e i salamelecchi delle
nostre autorità, il 5 febbraio c’è chi sfiderà il sultano…
(foto Rete Kurdistan Roma)
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