Rifiuti
tossici, il pentito Vassallo: “Pagavamo tutti, mai avuto un controllo”
"Quando aprimmo la cisterna il
liquido bruciava ogni cosa, al contatto le plastiche friggevano". Così
inizia il racconto del "ministro" della monnezza per i Casalesi. Il
grande accusatore dell'ex viceministro Cosentino ricorda gli incontri con
Craxi, accusa grandi imprese pubbliche come Enel e Italsider. E rivela una
trattativa con gli 007 per arrestare Iovine e Zagaria. Andata a vuoto
Quando aprimmo la cisterna il liquido bruciava ogni cosa,
al contatto le plastiche friggevano. Abbiamo scaricato milioni di tonnellate di
rifiuti tossici ovunque possibile. Non ho mai messo un telo di
protezione, non ho mai avuto un controllo, pagavamo e vincevamo
sempre noi”. Un racconto freddo, tanto chirurgico quanto inquietante. Poche
parole: la fotografia del disastro di una terra. A parlare al Fatto Quotidiano
è il pentito Gaetano Vassallo, ministro dei rifiuti del clan dei
Casalesi, protagonista di quei traffici illeciti che, per anni, hanno
trasformato aree della Campania in pattumiera del Paese. C’è un primo
equivoco da chiarire e Vassallo aiuta a farlo: “Quando è arrivato il
commissariato di governo per gestire l’emergenza rifiuti, nel 1994, la musica
non è cambiata”. E ricorda: “Venne a parlarmi il boss Feliciano Mallardo e mi
disse: ‘Cumpariè dobbiamo fare i lavori presso la discarica di Giugliano,
volete lavorare?’; io rifiutai e scelsero un’altra ditta del clan”. Di
imprenditoria criminale in imprenditoria criminale, una linea di continuità
anche quando lo Stato si commissaria per escludere la camorra dal ciclo. Da
metà anni 80 al 2005, vent’anni di veleni tossici disseminati ovunque e di
gestione criminale del ciclo dei rifiuti urbani e industriali. Il ventre della
terra ha digerito ogni cosa: fanghi industriali, ceneri degli inceneritori,
residui farmaceutici, acidi, calce spenta, scarti di bonifica, veleni a
milioni di tonnellate. In due decenni un fiume di pattume si è riversato nel
cuore fertile della terra campana. Ma questa è la storia criminale di un ex
agente dello Stato, ritrovatosi imprenditore in una terra senza legge, in un
settore senza controllo, dove i soldi tracimavano a valle. Dal nulla diventato
referente dell’imprenditoria affaristica per abbattere i costi di smaltimento
degli scarti industriali del nord produttivo. Vassallo, con le sue
dichiarazioni, consegnate ai pm della Direzione distrettuale antimafia di
Napoli, Giovanni Conzo, Maria Cristina Ribera, Alessandro Milita – il pool
coordinato dall’aggiunto Giuseppe Borrelli – descrive l’inferno, le coperture
politiche, i rapporti con la massoneria di una cricca di imprenditori al soldo
della camorra. Vassallo è
il grande accusatore di Nicola Cosentino, l’ex sottosegretario
all’Economia di Forza Italia, finito sotto processo per camorra, e di Luigi
Cesaro,
deputato di Forza Italia, destinatario di una misura cautelare, annullata dal
Riesame.
Incontriamo il pentito in carcere, accompagnato dall’avvocato Sabina Esposito.
Il collaboratore sta scontando una condanna per l’affare Ce4, il consorzio di
bacino che aveva come braccio imprenditoriale i fratelli Orsi, legati ai
Casalesi, e referente politico Nicola Cosentino. E la politica piaceva
tanto anche a Vassallo. “Io negli anni ottanta ero del partito socialista,
facevo le riunioni con Giulio Di Donato, organizzavamo le campagne
elettorali. Io, quando potevo finanziavo il Psi. Come imprenditore vicino
al partito ho fatto anche incontri a Roma alla presenza di Bettino Craxi.
Furono gli anni in cui conobbi Luigi Cesaro, Giggino ‘a purpetta. Eravamo della
stessa corrente”. Finito il sogno socialista, Vassallo cambia bandiera: “Passo
a Forza Italia, sono stato anche iscritto al partito, ho fatto tessere,
sostenuto campagne elettorali, ma noi facevamo affari con tutti, destra e
sinistra”. I partiti a Vassallo son sempre piaciuti, perché questa storia è
anche e soprattutto la fotografia di un intreccio tra clan, impresa,
professioni e mondo politico. Ma è un racconto che inizia da lontano.
L’agente che diventa imprenditore
Vassallo si è deciso a parlare dopo aver ascoltato ex
collaboratori e altre figure, raccontare questa storia per sentito dire
infarcita di strafalcioni e false piste. “Io ho visto tutta la schifezza che
abbiamo sputato nella terra. Una volta scaricammo fanghi, liquidi che erano
scarti di lavorazione di un’industria farmaceutica. Poco dopo i ratti si sono
estinti, sono spariti”. Immagini dall’orrore. Un’organizzazione criminale
che ha risolto la crisi rifiuti toscana prima, della provincia di Roma
poi e offerto soluzioni economiche alle imprese del nord, agli impianti
che dovevano smaltire. Il capitalismo aveva trovato nell’imprenditoria di
camorra lo sbocco per ridurre i costi di smaltimento del pattume industriale. A
prezzo della salute di un popolo, in un’area quella di Giugliano, in provincia
di Napoli, dove una perizia consegnata alla Procura, fissa per il 2064 la morte
di ogni forma di vita. “Mi vergogno, avrei dovuto pentirmi prima”. Lo fa
nell’aprile del 2008. “Avevo paura. Quando il killer Giuseppe Setola è
uscito su Castel Volturno ha cominciato a fare i morti. Un componente del clan
mi disse che non era controllabile. Così mi sono pentito. Non ce la facevo più.
Ho cambiato vita, allo Stato ho consegnato tutte le mie ricchezze”. In
quell’anno Setola e il suo gruppo di fuoco hanno ammazzato anche Michele Orsi,
imprenditore che aveva iniziato a fare dichiarazioni ai pubblici ministeri, ma
non era un pentito. “Sergio e Michele Orsi erano legati al clan. Prima
dell’ omicidio di Michele avevo detto agli inquirenti che sia Sergio che
Michele erano stati designati perché non avevano mantenuto gli accordi con la
camorra. Il clan gli aveva fatto la cartella (aveva stabilito di doverli
ammazzare, ndr). Dovevano morire e il clan mantiene gli impegni. Gli Orsi avevano
tanti amici, funzionari, imprenditori, erano in rapporti anche con un
magistrato”. Vassallo ricorda l’inizio di questo horror
didistruzione,morteeterrastuprata. “Ha iniziato mio padre, non sapeva neanche
scrivere. Le carte le compilavano gli amici sul comune. Teneva la cava di
pozzolana, rimanevano grosse buche. Un conoscente gli ha suggerito di buttarci
i rifiuti. In quel periodo io facevo l’agente di polizia penitenziaria,
l’ausiliare, mi sono congedato nel 1980, l’anno della strage di Bologna. Tornai
a casa”.
L’inizio della grande mattanza
“Dopo due anni fondai la prima società. Fino ad
allora, abbiamo gestito appalti con gli enti pubblici per svariati milioni al
mese senza partita iva, senza ditta, senza niente”. Le discariche, non solo la
sua, venivano gestite così: “Non abbiamo mai messo un telo di protezione, il
percolato finiva in falda, non c’era neanche una vasca di raccolta, bruciavamo
i rifiuti per liberare spazio, facevamo quello che volevamo”. Il percolato,
liquido inquinante, risultato della decomposizione dei rifiuti organici,
inquina le falde, stupra la carne viva della terra. “Presto cominciammo
anche con gli speciali, la Regione mi autorizzò allo smaltimento anche di
quelli”. È l’inizio dell’eldorado quando la consorteria criminale scopre il
business dei rifiuti dal nord, prima quelli dei Comuni, poi quelli industriali.
La discarica di Vassallo, a Giugliano, Comune in provincia di
Napoli,sitrasforma in un girone dell’inferno così come gli altri buchi, nei
dintorni, sotto l’egida assoluta dei clan. E i controlli? “Ci davano tutte le
autorizzazioni di cui avevamo bisogno, chi doveva controllare era a nostro
libro paga”.
L’assenza totale di verifiche e
monitoraggi
“In provincia le autorizzazioni le dava l’assessore
Raffaele Perrone Capano dei liberali (arrestato nel 1993, condannato in
primo grado, poi assolto per falso e prescritto per corruzione e abuso
d’ufficio, dal 2001 è stato reintegrato come professore alla Federico II). Ci
dava indicazioni che non rispettavamo mai. Io davo i soldi a Perrone Capano, i
contributi per il suo partito. A volte li davo a lui, altre volte al suo
autista”.
I boss benedicono l’affare. L’ombra
della P2
“Io sono stato l’imprenditore
dei rifiuti per conto di Francesco Bidognetti”. Gaetano Vassallo era il ministro
dei rifiuti dei Casalesi, il responsabile degli scarichi tossici agli ordini di
Bidognetti, Cicciotto ’e mezzanotte, il capo assoluto del clan, oggi rinchiuso
al 41 bis. L’ex agente, diventato imprenditore, conosce la camorra in quegli
anni di gloria. “La faccia della camorra l’ho conosciuta con Santo Flagiello,
che faceva la latitanza a casa mia. Poi il primo incontro con il boss Francesco
Bidognetti. Mi disse: ‘Tu mi rappresenti in questo affare’”. La struttura
organizzativa era molto semplice. “C’erano le società commerciali che si
occupavano dell’intermediazione e del trasporto tutte controllate da Gaetano
Cerci, camorrista, nipote del boss Francesco Bidognetti, che aveva la società
Ecologia 89. Poi c’erano tre imprenditori, io, Luca Avolio e Cipriano
Chianese che avevamo le discariche”. I colletti bianchi dei Casalesi,
proprio Gaetano Cerci è stato nuovamente arrestato qualche giorno fa con
l’accusa di estorsione. Vassallo continua: “Utilizzavamo le certificazioni che
avevamo, anche se le discariche erano esaurite. I rifiuti ufficialmente
venivamo smaltiti nei nostri impianti, ma finivano nei campi, sotto la Nola-Villa
Literno, nei terreni incolti, in altre cave. Tutto senza controllo”. La
rete era estesa. Vassallo ricorda un’altra presenza costante in questo affare:
la massoneria. “Gaetano Cerci andava a casa di Licio Gelli, mi spiegò
che Gelli era un procacciatore di imprenditori del nord che potevano inviarci i
rifiuti”. Nel 2006 la procura di Napoli chiese addirittura l’arresto di Licio
Gelli, il gip Umberto Antico negò la misura. I pm scrivevano: “I rapporti
preferenziali tra Gaetano Cerci e Licio Gelli appaiono poi assolutamente certi,
essendo riferiti da Schiavone, De Simone, la Torre, Quadrano, Di Dona, sia de
relato che per scienza diretta”. Ora arrivarono anche le parole di Vassallo, ma
Gelli da quella indagine ne è uscito pulito. Un altro che conta era Cipriano
Chianese, avvocato, imprenditore, sotto processo per disastro ambientale e
collusione con i clan. Chianese, nel 1994, si candidò con Forza Italia,
ma non fu eletto. “Chianese è stato l’ideatore dell’organizzazione. Aveva
conoscenze importanti, era amico di un generale dei carabinieri. A Chianese lo
stato ha preso solo una parte dei beni, molti soldi li ha macchiati (nascosti,
ndr)”. Il sistema rodato era soldi in cambio dell’appalto. A Vassallo chiediamo
se negli anni di rapporto con i politici, tra mazzette e collusioni, ne ha mai
trovato uno che si è opposto. “No, non ho visto nessuno opporsi”.
Milioni e veleni anche dal Nord
E dal nord produttivo, dalle aziende del Paese
arrivava di tutto. “Abbiamo scaricato le ceneri degli inceneritori del nord,
gli scarti dell’Italsider di Taranto, la calce spenta dell’Enel di
Brindisi e di Napoli, i fanghi industriali, gli scarti tossici
proveniente dalla bonifica dell’Acna di Cengio, gli acidi, tonnellate di
rifiuti dalle aziende del settentrione. Di certo posso dire: non abbiamo
scaricato i rifiuti nucleari”. E cita le aziende come “i Bruscino che
trasportavano gli scarti di lavorazione dell’Enel, la ditta Perna Ecologia”, un
lungo elenco di aziende che hanno scaricato veleni per anni. Le imprese
produttrici non si preoccupavano di dove andava, a prezzo stracciato, il loro
pattume tossico. Contattavano gli intermediari, i trasportatori, e i carichi
partivano. Quando gli chiedi l’ammontare dei rifiuti scaricati, Vassallo
allarga le braccia e scuote la testa. Il principio ispiratore era
uno soltanto: non si rischiavano niente in un Paese, l’Italia, dove a
distanza di anni la maggior parte dei processi per delitti contro l’ambiente
finisce in prescrizione. Basso rischio e palate di soldi. Vassallo spiega: “Io
solo per il trasporto dei rifiuti dalla Toscana, andavo a prendere 700
milioni di lire al mese. In Campania guadagnavo 10 miliardi di lire ogni anno
solo per l’affare dei rifiuti solidi urbani, raccolti nei comuni
dell’hinterland”. Poi c’era il traffico dei rifiuti tossici, occultati sotto
quelli domestici. “Un pozzo senza fine. Guadagnavo 5 milioni di lire a carico,
al clan davo 10 lire al kg, ma li fottevo sul peso e sugli arrivi. Ogni giorno
arrivavano anche 30 camion. Una cosa come 150 milioni di lire ogni santo
giorno. Si iniziava a scaricare alle 4 del mattino, c’era una fila di
camion dalla discarica fino alla strada”. Fotteva i clan Vassallo e, quando
occorreva, usava le buche di Stato grazie a buoni amici. Vassallo ricorda
quello che poteva diventare lo spartiacque, il momento di cesura di questo
orrendo spartito criminale: il 1993. “Fummo arrestati tutti nell’inchiesta
Adelphi proprio per i traffici di rifiuti . Io fui prosciolto, ma ero
colpevole. Se fosse andato diversamente quel processo, la Campania si sarebbe
risparmiata altri 15 anni di veleni”. E ricorda un particolare. “Venne un
magistrato per chiedermi di collaborare. Il nostro accusatore era Nunzio
Perrella, un boss di Napoli che si era pentito. Io ci pensai, ma poi in carcere
ebbi un colloquio con mio padre”. E il padre gli portò i saluti dei Casalesi.
“Mi disse che lo aveva avvicinato Francesco Bidognetti per rassicurarlo sulla
copertura economica”. Tutto ricominciò. Dopo gli arresti arrivò lo Stato. “Noi
ci dedicammo solo ai traffici di rifiuti industriali. Nel 1994 la gestione
dei rifiuti solidi urbani viene affidata al commissariato di governo. Aveva
l’obiettivo di avviare un ciclo di gestione ed estromettere la camorra dal
pattume”. Non cambiò nulla, l’imprenditoria dei clan era l’unica a lavorare.
“Il commissariato mi ha dato un paio di milioni di euro, loro ci lasciarono una
parte della cava, dovevamo fare la messa in sicurezza, ma noi facevamo finta e
continuavamo a scaricare”. Il business era redditizio. “Arrivavano le motrici
con i fanghi che fintamente venivano trattati negli impianti di compostaggio
dei fratelli Roma. Facemmo un macello, li abbiamo scaricati nei terreni dei
contadini . A Lusciano, a Villa Literno, a Parete, a Casal di Principe.
Poi dopo aver scaricato passavamo con il trattore per muovere la terra”. Con
l’arrivo del commissariato, la camorra raddoppia. In particolare Vassallo
ricorda: “Giuseppe Carandente Tartaglia, era emanazione, prima dei Mallardo e
poi del boss Michele Zagaria. Me lo disse Raffaele ’o puffo, il figlio
di Francesco Bidognetti. L’azienda di Carandente Tartaglia ha lavorato prima in
sub-appalto per il consorzio Napoli 1 e dopo per Fibe (la società
del gruppo Impregilo che aveva vinto l’appalto per la gestione dei rifiuti in
Campania, ndr). Carandente Tartaglia si vantava di avere un rapporto da anni
anche con un ingegnere importante di Fibe, al quale garantiva la copertura
della camorra, ma non ricordo il nome”. Nel 2008 quelle sigle societarie, già
operative nel ’95, realizzeranno la discarica di Chiaiano per conto del
commissariato di governo. Cattura di Zagaria e Iovine: l’incontro con gli 007
Sul ruolo nell’emergenza rifiuti di Antonio Iovine
e Michele Zagaria, per 15 anni latitanti, e poi catturati, Vassallo non ha
dubbi. “I terreni dove sono stoccate le balle di rifiuti (dalla Fibe
grazie a un’ordinanza commissariale, ndr), sono di soggetti legati al boss
Zagaria”. In questo cammino criminale, Vassallo è sempre stato in prima linea,
prima come protagonista della mattanza ambientale, poi offrendo il supporto
quando necessario ai fratelli Orsi nell’affare Ce4. Era nella cabina di regia
con i boss di primo ordine. Così gli chiediamo di eventuali rapporti di Zagaria
e Iovine con pezzi dello Stato. E lui racconta un particolare inedito
che apre interrogativi. “Ho incontrato agenti dei servizi segreti nel periodo
2006-2007. Mi hanno contattato perché volevano arrestare Iovine e Zagaria. Un
mio amico carabiniere di Roma venne da me insieme a due persone che
presentò come agenti dei servizi. Ci sono stati tre incontri, due in un
albergo e un altro all’uscita autostradale di Cassino. Potevo incontrare
Iovine, ’o ninno, e Zagaria in qualsiasi momento. Li conoscevo, io ero
imprenditore del clan. Il patto era di fargli arrestare i due latitanti in cambio
di mezzo milione di euro, 200 mila euro per Iovine, 300 mila per Zagaria. Io
chiesi anche la garanzia della libertà per me, ma non accettarono. L’accordo
saltò”. Iovine, oggi collaboratore di giustizia, viene arrestato nel 2010, dopo
14 anni di latitanza, e Zagaria nel 2011, dopo 16 anni. Il racconto del pentito
pone una domanda: si potevano arrestare prima? Gaetano Vassallo aspetta
di uscire dal carcere per tornare alla sua nuova vita: dipendente di un
supermercato. Mentre si alza ripensa alla mattanza ambientale. “Non si può fare
niente. Io parlo dell’area dove smaltivamo io e Chianese. È impossibile
bonificare”. È una peste, un inferno senza fine.
Da Il Fatto Quotidiano del 23 settembre 2014
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