Intervista a un redattore di Mucadele
pc – Vorrei che
iniziassimo presentando la situazione del movimento operaio in
Turchia e all’estero, che Atik organizza in questo momento e del
passaggio che rappresentano per esso le elezioni presidenziali di
questi giorni.
Mucadele – La situazione della
Turchia non può essere separata de quella della regione del Medio
Oriente. Per comprendere le contraddizioni che muovono la situazione
in Turchia occorre inquadrarle nel contesto delle contraddizioni che
attraversano la regione.
Dalla parte della reazione, nel breve e
medio termine il contesto è determinato dal progetto di grande MO
degli imperialisti USA.
In funzione di questo piano, è stato
necessario realizzare in Turchia il passaggio dalla tradizione
kemalista, che esercitavano un potere dittatoriale dagli anni 70, a
un modello di “democrazia islamica” esportabile in tutta la
regione, come alternativa alle “primavere arabe”.
Le classi dominanti turche, legate
all’imperialismo, che fino a 20 anni fa si riconoscevano e facevano
blocco intorno ideologia laico-sciovinista kemalista e alla forze, in
primis l’esercito, che l’incarnavano, oggi hanno scelto la
“democrazia islamica” di Erdogan.
La chiave del successo del progetto USA
e di Erdogan sta nel perdurare dell’egemonia nel paese di
un’ideologia reazionaria e tradizionalista che, pur cambiando
forma, ha mantenuto la sua essenza. A questo cambiamento. Pur
restando la sostanza, le relazioni di dipendenza dall’imperialismo,
il cambiamento di forma politica ha reso necessario anche un drastico
avvicendamento di uomini, Via via, tutti i vertici delle istituzioni,
la burocrazia e, in particolare, le gerarchie militari sono state
epurate degli elementi reazionari laici e kemalisti che
tradizionalmente le dominavano. La Operazione “Ergonica” del
2005-2006, che ha decapitato l’esercito col pretesto di prevenire
un colpo di stato militare, è la punta più evidente di un processo
durato due decenni che ha rimosso chiunque fosse di ostacolo al nuovo
corso.
Un processo che ha preso il via
all’epoca della prima guerra all’Iraq, quando, per trarre il
massimo vantaggio dalle contraddizioni nella regione, le gerarchie
militari laiche negarono l’uso della basi in Turchia per
l’invasione da terra delle truppe alleate, che passarono dal Qatar.
Fu allora che iniziò il processo oggi sancito dall’elezione di
Erdogan.
Sul piano sociale, tutto questo periodo
di affermazione della “democrazia islamica” è segnato
dall’applicazione di politiche neoliberiste e dall’avvio dei
“colloqui di pace” col movimento indipendentista curdo.
Nei 12 anni di governo AKP ci sono
state pesanti privatizzazioni, deregolamentazioni selvagge che hanno
imposto in tutti settori dell’economia il regime di appalti, che
hanno profondamente minato la posizione dei sindacati in Turchia,
che, pur essendo sindacati “gialli” sono stati travolti dalla
polverizzazione del sistema dell’appalto.
Questo ha reso ancora più difficile la
situazione per il movimento dei lavoratori, ma si sbaglia chi vede
tutto nero. In questi anni durissimi ci sono state tantissime lotte
prolungate, con scioperi durissimi che alla fine hanno anche vinto.
Tuttavia è innegabile che queste non si sono estese né hanno avuto
impatto a livello nazionale generale.
pc – In questi
contesto si colloca anche la grande esplosione della rivolta di Gezi
Park. Che cosa resta oggi di quel grande rivolgimento?
Mucadele – Quello è stato il
più grandioso movimento di opposizione dai tempi del colpo di stato
militare. Milioni di persone in centinaia di città grandi e piccole
attraverso tutto il paese sono scese nelle strade, hanno fatto
blocchi, si sono scontrati con la polizia. Durante gli anni della
dittatura e da ultimo del dominio dell’AKP tra le masse si sono
andate accumulando paura e rabbia. La scintilla di Gezi Park ha dato
fuoco alla rabbia e bruciato la paura. E questo dato, la fine della
paura, rimane e la vittoria di oggi di Erdogan non riporta indietro
la situazione.
Perché questo non ha prodotto un
cambio di governo come, ad esempio, era accaduto prima in Egitto? La
risposta ci riporta ai piani USA e al progetto di grande MO. A
differenza che in Egitto, dove l’esercito non è intervenuto per
soffocare la rivolta, In Turchia, dove come detto, le gerarchie
militari erano già state pesantemente epurate, l’esercito non ha
voluto pilotare un cambio di governo per poi assumere il potere con
un colpo di stato per sbarazzarsi di Erdogan, ma anzi già il secondo
giorno di rivolta è intervenuto per proteggerlo. Gli imperialisti
non avevano interesse a un cambio di governo, come in Egitto, ma ad
affermare un nuovo modello da esportare nella regione. D’altra
parte, in Turchia, l’esercito non è un mero strumento di dominio
nelle mani delle classi dominanti ma è esso stesso un pezzo del
sistema di potere di quelle classi, che oggi sono in maggior parte
dalla parte di Erdogan.
Come già detto, ciò non toglie che la
fine della paura nel popolo resta uno degli effetti a lungo termine e
irreversibili di quel grande movimento e resistenza. Il 55% per l’AKP
non dimostra affatto il contrario.
Prima della rivolta, solo i
rivoluzionari osavano scendere in piazza in Turchia. Oggi tanti,
tutti, lo fanno, ognuno con le proprie rivendicazioni e forme di
organizzazioni, non voglio dire che sono tutti per il socialismo o
rivoluzionari. Ma la paura è finita ed finito l’isolamento e la
diffidenza verso i rivoluzionari. Indietro, su questo, non si può
più tornare. Ciò è stato possibile grazie al ruolo che i
rivoluzionari hanno saputo svolgere in quei giorni, combattendo in
prima linea, insegnando e guidando le masse nello scontro con la
polizia e l’esercito e conquistandosi il diritto a prendere la
parola. Da allora, ogni volta che la polizia attacca le
manifestazioni, non trova più solo gente scappa, ma gruppi
organizzati e attrezzati per resistere. Assieme alla dimensione del
movimento di massa, sono cresciute molto anche la capacità di
mobilitazione delle organizzazioni rivoluzionarie e la loro base di
massa.
pc – Vogliamo
passare a un’analisi più in dettaglio delle elezioni.
Mucadele – È ancora troppo
presto per esprimere una valutazione generale a nome di ATIK.
Certamente possiamo dire che il fatto nuovo presentato da queste
elezioni è che per la prima volta vi hanno potuto partecipare quelli
che fino a ieri erano banditi da ogni forma di presenza politica, i
curdi. Se in parte questo è un risultato di anni di lotte
rivoluzionarie dei curdi, non la si può considerare certo una
vittoria, essa più frutto di un cambio di posizione, il passaggio
dall’opposizione senza quartiere al sistema alla “speranza” che
il sistema riconosca l’autonomia in seno allo Stato turco e la
conseguente entrata nella competizione politica. Di questo è frutto,
non della lotta armata del popolo. I tanti voti raccolti dal
candidato curdo, circa il 10% su base nazionale, sono una vittoria
per il regime, non per i curdi, per noi la situazione del movimento
di liberazione oggi non è affatto migliore di ieri grazie a questo
risultato, anzi.
Circa la campagna di boicottaggio
lanciata da alcune forze rivoluzionarie, non si deve valutarne il
successo contando il dato dell’astensione. Non era una campagna
volta ad avere impatto del voto delle voto delle masse. Erano
elezioni presidenziali, volte a sancire il predominio sullo stato tra
le varie fazioni della classe dominante, non avevano un impatto
diretto sulla vita quotidiana delle masse. La campagna per il
boicottaggio era piuttosto una campagna ideologica e politica contro
il riformismo e le forze che puntavano a integrare la lotta popolo
curdo nel sistema politico riconosciuto, per combattere l’influenza
del riformismo tra le masse e approfondire la lotta in seno a forze
che una volta erano rivoluzionarie. Il loro risultato elettorale
oltre a confermarne l’insipienza, conferma che sempre più perdono
influenza.
In prospettiva si può dire che la
vittoria di Erdogan è tuttora illusoria. Le contraddizioni con i
laici kemalisti e l’estrema destra fascista restano, la loro forza
relativa anche e resta difficile continuare a governare senza di
loro, anche per problemi di leadership interna che il cambio di ruolo
di Erdogan apre. Sono fattori di crisi, in prospettiva.
Anche il 10% raccolto dal candidato
curdo è un successo illusorio, non si vede quale prospettiva possa
aprire per il popolo curdo. Anche questa contraddizione è destinata
a crescere, in prospettiva.
Quel che è certo è che il dominio AKP
e il progetto imperialista di cui è parte vanno avanti, ma con essi
anche la rabbia del popolo crescerà e senza più paura.
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