Siria, Obama: "Dobbiamo agire" - Lavoriamo a soluzione diplomatica
Barack Obama prende la parola alle 21 precise, ora di Washington, e l’atteso discorso alla nazione dura solo 17 minuti. E’ la spiegazione più chiara, concisa, efficace che il presidente abbia mai fornito: della necessità di intervenire militarmente in Siria “per ragioni di principio, e per la nostra sicurezza”. Fa appello a una nazione “stanca di guerre, come me, nauseata dopo i conflitti decennali in Iraq e Afghanistan”.
Lui fa una promessa solenne: “Niente soldati americani sul terreno come in Iraq e Afghanistan, ma neppure un bombardamento aereo prolungato come in Kosovo e Libia”. L’operazione chirurgica non sarebbe però “una puntura di spillo”, perché la potenza militare americana “non fa punture di spillo”. Resta tuttavia che Obama ha deciso di “rinviare il voto del Congresso”: adesso la parola passa alla diplomazia, per verificare che le recentissime aperture della Russia e della Siria non siano fallaci.
Io, dice Obama, ho raggiunto “dopo un attento esame” la conclusione che occorre intervenire militarmente per castigare Assad, e dissuaderlo per sempre dall’usare armi chimiche. E tuttavia “come presidente della più antica democrazia, so che l’America è più efficace se è unita, perciò ho chiesto l’approvazione del Congresso”.
Obama passa in rassegna tutte le domande e obiezioni che si è sentito rivolgere negli ultimi giorni, dai cittadini o dai parlamentari. C’è chi teme un “piano inclinato” che conduce verso una guerra vera e propria, e Obama è tassativo nell’escluderlo. C’è chi, al contrario, considera che l’intervento militare sarebbe inutile se non rovescia Assad, si ridurrebbe a una “puntura di spillo”, e invece il presidente è certo che la formidabile potenza Usa lo costringerebbe a “pensarci due volte prima di riptere quelle atrocità”. Per la stessa ragione non c’è da temere in una reazione della Siria, un’escalation che porterebbe alla “rovina di Assad”.
A questo punto però, Obama affronta la novità delle ultime ore. Grazie alla minaccia stessa del suo intervento militare, oltre che al “dialogo costruttivo che ho avuto con il presidente Putin”, è affiorata la possibilità che la Siria rinunci agli arsenali chimici, li metta a disposizione di una forza Onu incaricata di sequestrarli e distruggerli. Perciò “ho chiesto al Congresso di rinviare il suo voto”.
Mentre “il dispositivo militare resta invariato”, la parola passa alla diplomazia. Manca nel discorso di Obama un ultimatum, una scadenza precisa entro la quale verificare se le promesse russe e siriane siano credibili. Per ora la partita diplomatica è alle prime mosse. Se fallirà, Obama tornerà a puntare sulla forza delle armi, perché “da quasi 70 anni gli Stati Uniti sono il fulcro della sicurezza globale, insieme con la leadership hanno accettato un onere”.
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