il Partito del Progresso era sempre stato tenuto fuori da coalizioni di
governo per la sua identità troppo tagliata sulla difesa di
un'originaria purezza culturale costruita su un mix di valori cristiani e
umanitarism anni la retorica di partito è scivolata su
posizii sempre più antimusulmane, finÈ il giorno di Erna, la ragazza dell'Ovest che si avvia a diventare
primo ministro. Ed è il giorno di Siv, la nemesi. La conservatrice Erna
Solberg e la leader del Partito del Progresso Siv Jensen sono i volti
della destra norvegese che ieri ha vinto le prime elezioni politiche
dalle stragi del 22 luglio 2011. Un voto che segna la fine della
coalizione rosso-verde guidata da Jens Stoltenberg e che sdogana
definitivamente la formazione anti-immigrati alla quale nel 1999 aderì
l'autore del doppio attacco di du
lgrado quarant'anni di storia e un ioradicamento territoriale che ne fa una delle magi forze dell'arco politico norvegese,
il Partito del Progresso era sempre stato tenuto fuori da coalizioni di
governo per la sua identità troppo tagliata sulla difesa di
un'originaria purezza culturale costruita su un mix di valori cristiani e
umanitarismo. Negli anni la retorica di partito è scivolata su
posizioni sempre più antimusulmane, fino al celebre discorso del 2009
nel quale la stessa Jensen metteva in guardia da un'islamizzazione
strisciante. Toni che richiamano sinistramente i proclami affidati da
Breivik al suo manifesto pubblicato poche ore prima di stroncare 77 vite
nell'assalto al quartiere governativo di Oslo e al campo estivo della
gioventù laburista sull'isola di Utoya. Un attacco pianificato per anni
con l'obiettivo dichiarato di scuotere la classe dirigente e fermare le
politiche multiculturaliste della sinistra che rischiavano di consegnare
la Norvegia e l'Europa all'onda islamica. La preparazione
dell'attentato cominciò nel 2002. Proprio quell'anno un ramo locale
dell'organizzazione giovanile del Partito del Progresso scelse come
presidente l'allora 23enne Breivik.
Dopo Utoya, il partito ha condannato senz'appello la peggiore strage sul suolo norvegese dalla Seconda guerra mondiale, rimosso
i dirigenti più controversi, abbassato i toni sull'immigrazione e
spostato il focus sulle riforme economiche e sul ridimensionamento del
ruolo dello Stato. «Siamo un partito liberale» ripete Jensen, che ha
sempre respinto l'etichetta di leader «populista», «a meno che populista
non significhi risolvere i problemi quotidiani della popolazione«. Tra
le sue proposte, la revisione della regola d'oro che stabilisce un tetto
del 4% oltre il quale è proibito attingere al Fondo petrolifero sovrano
da 750 miliardi di dollari, un limite per proteggere una ricchezza
destinata alle generazioni future. Anche Erna Solberg ha puntato sul
Fondo, proponendo di modificarne l'assetto amministrativo, curato sin
dal 1996 da un ramo della Banca centrale norvegese: l'idea è assegnare
settori diversi del Fondo a più soggetti, per favorire un management
competitivo. Il nuovo governo sarà chiamato a un ripensamento
complessivo di un sistema economico troppo dipendente dalle pur immense
riserve petrolifere.
In lista con i laburisti, anche 33
sopravvissuti di Utoya che su quell'esperienza hanno fondato un
rinnovato impegno politico, «la generazione 22 luglio».e anni fa, Anders Behring Breivik che
osserva dalla cella del carcere di massima sicurezza di Ila, il suo
ghigno come una condanna su un Paese che vuole dimenticare.
«Ho lavorato duro per dare ai conservatori una nuova piattaforma» dice
Erna, l'inflessibile «Merkel del Nord» che ha incentrato il suo
progetto su taglio delle tasse, innovazione, competitività e ha
accettato il rischio di una pragmatica apertura ai populisti di Siv. Con
tre quarti dei seggi scrutinati, il blocco di centro-destra formato da
conservatori, Partito del Progresso, liberali e cristiano-democratici
conquista una maggioranza di 96 seggi su 169. Nei prossimi giorni
saranno da definire gli equilibri di una coalizione dalla quale,
dichiara Solberg, non sarà più possibile escludere la formazione della
Jensen. Non sarà facile per Erna, decisa a costruire «un ponte» tra il
centro e la destra populista, concordare una strategia di governo con
Siv. L'alleanza necessaria a battere il centro-sinistra dovrà superare
divergenze inconciliabili emerse già prima del voto, ad esempio sui
campi per richiedenti asilo proposti dal Partito del Progresso. L'ultima
speranza per i laburisti, primo partito, è che i rivali non trovino un accordo.
Voto choc, la Norvegia vira a destra
Rcd
Malgrado quarant'anni di storia e un radicamento territoriale che ne fa una delle maggiori forze dell'arco politico norvegese,
il Partito del Progresso era sempre stato tenuto fuori da coalizioni di
governo per la sua identità troppo tagliata sulla difesa di
un'originaria purezza culturale costruita su un mix di valori cristiani e
umanitarismo. Negli anni la retorica di partito è scivolata su
posizioni sempre più antimusulmane, fino al celebre discorso del 2009
nel quale la stessa Jensen metteva in guardia da un'islamizzazione
strisciante. Toni che richiamano sinistramente i proclami affidati da
Breivik al suo manifesto pubblicato poche ore prima di stroncare 77 vite
nell'assalto al quartiere governativo di Oslo e al campo estivo della
gioventù laburista sull'isola di Utoya. Un attacco pianificato per anni
con l'obiettivo dichiarato di scuotere la classe dirigente e fermare le
politiche multiculturaliste della sinistra che rischiavano di consegnare
la Norvegia e l'Europa all'onda islamica. La preparazione
dell'attentato cominciò nel 2002. Proprio quell'anno un ramo locale
dell'organizzazione giovanile del Partito del Progresso scelse come
presidente l'allora 23enne Breivik.
Dopo Utoya, il partito ha condannato senz'appello la peggiore strage sul suolo norvegese dalla Seconda guerra mondiale, rimosso
i dirigenti più controversi, abbassato i toni sull'immigrazione e
spostato il focus sulle riforme economiche e sul ridimensionamento del
ruolo dello Stato. «Siamo un partito liberale» ripete Jensen, che ha
sempre respinto l'etichetta di leader «populista», «a meno che populista
non significhi risolvere i problemi quotidiani della popolazione«. Tra
le sue proposte, la revisione della regola d'oro che stabilisce un tetto
del 4% oltre il quale è proibito attingere al Fondo petrolifero sovrano
da 750 miliardi di dollari, un limite per proteggere una ricchezza
destinata alle generazioni future. Anche Erna Solberg ha puntato sul
Fondo, proponendo di modificarne l'assetto amministrativo, curato sin
dal 1996 da un ramo della Banca centrale norvegese: l'idea è assegnare
settori diversi del Fondo a più soggetti, per favorire un management
competitivo. Il nuovo governo sarà chiamato a un ripensamento
complessivo di un sistema economico troppo dipendente dalle pur immense
riserve petrolifere.
In lista con i laburisti, anche 33
sopravvissuti di Utoya che su quell'esperienza hanno fondato un
rinnovato impegno politico, «la generazione 22 luglio».È il giorno di Erna, la ragazza dell'Ovest che si avvia a diventare
primo ministro. Ed è il giorno di Siv, la nemesi. La conservatrice Erna
Solberg e la leader del Partito del Progresso Siv Jensen sono i volti
della destra norvegese che ieri ha vinto le prime elezioni politiche
dalle stragi del 22 luglio 2011. Un voto che segna la fine della
coalizione rosso-verde guidata da Jens Stoltenberg e che sdogana
definitivamente la formazione anti-immigrati alla quale nel 1999 aderì
l'autore del doppio attacco di due anni fa, Anders Behring Breivik che
osserva dalla cella del carcere di massima sicurezza di Ila, il suo
ghigno come una condanna su un Paese che vuole dimenticare.
«Ho lavorato duro per dare ai conservatori una nuova piattaforma» dice
Erna, l'inflessibile «Merkel del Nord» che ha incentrato il suo
progetto su taglio delle tasse, innovazione, competitività e ha
accettato il rischio di una pragmatica apertura ai populisti di Siv. Con
tre quarti dei seggi scrutinati, il blocco di centro-destra formato da
conservatori, Partito del Progresso, liberali e cristiano-democratici
conquista una maggioranza di 96 seggi su 169. Nei prossimi giorni
saranno da definire gli equilibri di una coalizione dalla quale,
dichiara Solberg, non sarà più possibile escludere la formazione della
Jensen. Non sarà facile per Erna, decisa a costruire «un ponte» tra il
centro e la destra populista, concordare una strategia di governo con
Siv. L'alleanza necessaria a battere il centro-sinistra dovrà superare
divergenze inconciliabili emerse già prima del voto, ad esempio sui
campi per richiedenti asilo proposti dal Partito del Progresso. L'ultima
speranza per i laburisti, primo partito, è che i rivali non trovino un accordo.
Voto choc, la Norvegia vira a destra
Rcd
Malgrado quarant'anni di storia e un radicamento territoriale che ne fa una delle maggiori forze dell'arco politico norvegese,
il Partito del Progresso era sempre stato tenuto fuori da coalizioni di
governo per la sua identità troppo tagliata sulla difesa di
un'originaria purezza culturale costruita su un mix di valori cristiani e
umanitarismo. Negli anni la retorica di partito è scivolata su
posizioni sempre più antimusulmane, fino al celebre discorso del 2009
nel quale la stessa Jensen metteva in guardia da un'islamizzazione
strisciante. Toni che richiamano sinistramente i proclami affidati da
Breivik al suo manifesto pubblicato poche ore prima di stroncare 77 vite
nell'assalto al quartiere governativo di Oslo e al campo estivo della
gioventù laburista sull'isola di Utoya. Un attacco pianificato per anni
con l'obiettivo dichiarato di scuotere la classe dirigente e fermare le
politiche multiculturaliste della sinistra che rischiavano di consegnare
la Norvegia e l'Europa all'onda islamica. La preparazione
dell'attentato cominciò nel 2002. Proprio quell'anno un ramo locale
dell'organizzazione giovanile del Partito del Progresso scelse come
presidente l'allora 23enne Breivik.
Dopo Utoya, il partito ha condannato senz'appello la peggiore strage sul suolo norvegese dalla Seconda guerra mondiale, rimosso
i dirigenti più controversi, abbassato i toni sull'immigrazione e
spostato il focus sulle riforme economiche e sul ridimensionamento del
ruolo dello Stato. «Siamo un partito liberale» ripete Jensen, che ha
sempre respinto l'etichetta di leader «populista», «a meno che populista
non significhi risolvere i problemi quotidiani della popolazione«. Tra
le sue proposte, la revisione della regola d'oro che stabilisce un tetto
del 4% oltre il quale è proibito attingere al Fondo petrolifero sovrano
da 750 miliardi di dollari, un limite per proteggere una ricchezza
destinata alle generazioni future. Anche Erna Solberg ha puntato sul
Fondo, proponendo di modificarne l'assetto amministrativo, curato sin
dal 1996 da un ramo della Banca centrale norvegese: l'idea è assegnare
settori diversi del Fondo a più soggetti, per favorire un management
competitivo. Il nuovo governo sarà chiamato a un ripensamento
complessivo di un sistema economico troppo dipendente dalle pur immense
riserve petrolifere.
In lista con i laburisti, anche 33
sopravvissuti di Utoya che su quell'esperienza hanno fondato un
rinnovato impegno politico, «la generazione 22 luglio».o al celebre discorso del 2009
nel quale la stessa Jensen metteva in guardia da un'islamizzazione
strisciante. Toni che richiamano sinistramente i proclami affidati da
Breivik al suo manifesto pubblicato poche ore prima di stroncare 77 vite
nell'assalto al quartiere governativo di Oslo e al campo estivo della
gioventù laburista sull'isola di Utoya. Un attacco pianificato per anni
con l'obiettivo dichiarato di scuotere la classe dirigente e fermare le
politiche multiculturaliste della sinistra che rischiavano di consegnare
la Norvegia e l'Europa all'onda islamica. La preparazione
dell'attentato cominciò nel 2002. Proprio quell'anno un ramo locale
dell'organizzazione giovanile del Partito del Progresso scelse come
presidente l'allora 23enne Breivik.
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