Un trentenne torturato a morte dai servizi segreti israeliani dello Shin Bet. E la Cisgiordania si infiamma.
di Giovanna FaggionatoSoffia aria calda di Intifada lungo le strade della West bank. A Hebron i giovani palestinesi sono saliti sui tetti con il volto coperto impugnando pietre, tegole e detriti. A Nablus ci sono stati scontri a fuoco; nelle carceri palestinesi 4.500 detenuti sono in sciopero della fame, e l'esercito israeliano ha richiamato le truppe al limite dei Territori occupati.
TORTURATO DALLO SHIN BET. La rabbia palestinese per la fine del 30enne Arafat Jaradat, morto in un carcere israeliano dopo essere stato nelle mani dei servizi segreti dello Shin Bet - la struttura che si occupa degli interrogatori dei terroristi - non si placa.
A metà novembre il ragazzo aveva ferito un israeliano con un lancio di pietre. Gli agenti di Tel Aviv lo hanno prelevato il 18 febbraio, avvertendolo, hanno riferito i vicini, in modo lugubre: «Saluta tua moglie, perché non la rivedrai». Dopo cinque giorni di detenzioni e torture, non l'ha rivista.
LA CISGIORDANIA IN FIAMME. Sabato 23 febbraio l'autopsia sul suo corpo ha rivelato i segni di un pestaggio prolungato. Segni simili a quelli subiti da decine di anonimi prigionieri, come ha raccontato il quotidiano israeliano Haaretz. E quando il suo corpo martoriato è stato restituito alla famiglia, la Cisgiordania si è infiammata, in attesa di scoppiare nel prossimo venerdì di preghiera.
Interrogatori non filmati, nessun controllo medico e infiltrati in cella
Secondo gli standard internazionali i metodi dello Shin Bet sono assimilabili alla tortura. Gli agenti sono addestrati per ottenere dall'interrogato non solo la confessione, ma informazioni su amici e conoscenti coinvolti nei movimenti palestinesi: le richieste che possono fare sono teoricamente illimitate.
Nonostante numerose proteste delle organizzazioni per i diritti umani, e nonostante una proposta di legge all'esame del parlamento di Tel Aviv, non esiste alcun obbligo di filmare gli interrogatori. Capita poi che i sospetti vengano affiancati in cella da infiltrati, pronti a presentarsi come amici per estorcere loro ulteriori informazioni.
BOTTE E STRESS PSICOLOGICO. La via crucis di Jaradat è passata per tutte queste tappe.
Kamil Sabbagh, l'avvocato del ministero per i prigioneri dell'Autorità palestinese (che controlla la West bank), lo ha incontrato mercoledì 20 febbraio. La sua schiena era segnata dalle botte, soffriva di un'ernia al disco per essere stato seduto per lungo tempo e mostrava segni di stress psicologico dovuti ai lunghi giorni di isolamento.
I funzionari dello Shin Bet non hanno dato al legale alcuna spiegazione, riferendo solo che il ragazzo aveva fornito una confessione «parziale». L'avvocato ha chiesto alla corte di prendere in considerazione le condizioni del prigioniero e di sottoporlo a una visita medica. Invece, Jaradat è stato rapidamente spostato nel carcere di Megiddo con un infiltrato come compagno di cella, senza che le autorità palestinesi ne fossero al corrente.
DETENZIONE PROLUNGATA. Il 21 febbraio lo Shin Bet ha chiesto altre due settimane di tempo per interrogarlo e il giudice militare ha prolungato la detenzione di altri 12 giorni. Ma per morire a Jaradat ne sono bastati due.
I palestinesi lo hanno reso un nuovo martire, un altro simbolo dell'oppressione di un popolo.
Il patto tra Tel Aviv e l'Autorità palestinese sotto pressione
Un report della Commissione per i diritti umani dell'Autorità palestinese ha segnalato solo nel gennaio 2013 31 casi di tortura e maltrattamenti ai danni di palestinesi, oltre a 24 arresti immotivati.
Numeri che hanno amplificato la rabbia per la morte di Arafat Jaradat. Dopo l'autopsia sul corpo del giovane, il governo di Israele ha toccato per la prima volta con mano l'incubo di una Terza Intifada.
ISRAELE PAGA LE IMPOSTE. Di fronte alla minaccia dei giovani arabi armati di fionde e sassi per le strade, anche il premier Benjamin Netanyahu ha ordinato di correre ai ripari. Alla sua maniera.
Israele ha dato il via libera a nuove indagini sulla morte del detenuto Jaradat in un centro di Tel Aviv. E soprattutto ha ordinato di avviare i trasferimenti delle imposte che riscuote dai palestinesi per pagare l'occupazione, ma che aveva bloccato negli ultimi mesi. In cambio ha chiesto ad Abu Mazen di riportare l'ordine in Cisgiordania. Ma non è detto che Fatah sia conciliante.
DIALOGO TRA FATAH E HAMAS. Dopo l'attacco israeliano alla Striscia di Gaza e dopo il riconoscimento della Palestina come Stato osservatore alle Nazioni Unite, infatti, al Fatah e Hamas, il governo islamico della Striscia, hanno avviato un significativo, seppure fragile, tentativo di dialogo.
Stando alle indiscrezioni, il 27 è fissato un primo incontro tra le parti a Il Cairo. Finora l'Autorità palestinese si era piegata al ruolo di responsabile dell'ordine pubblico nei Territori, con la speranza di togliere a Tel Aviv giustificazioni per l'occupazione. Ma la strategia è fallita miseramente e la linea di Ramallah potrebbe cambiare. Israele, infatti, ha costretto le forze dell'ordine palestinesi a contenere e punire le proteste del proprio popolo, tenendolo sotto scacco anche economicamente. Lo scoppio della terza Intifada era solo questione di tempo. Prima o poi le fionde e le pietre sarebbero tornate.
Lunedì, 25 Febbraio 2013
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