Sfruttava manodopera cinese, condannato il nuovo proprietario
dell’Omsa
Secondo l'accusa i lavoratori venivano sottoposti a turni
di 18-20 ore al giorno senza sicurezza né tutele. Il tutto arriva mentre per
l'exstabilimento di Faenza ancora molti aspetti sono in alto mare.
È stato condannato in primo grado Franco Tartagni,
presidente della Atl Group di Forlì, che poi sarebbe il nuovo proprietario
dell’Omsa. La“sentenza storica”, come l’hanno definita Elena Ciocca e
Manuela Amadori, le piccole imprenditrici che denunciarono gli illeciti, è
stata emessa dal giudice Giorgio Di Giorgio nei confronti di 4 imprenditori
cinesi e 4 italiani, implicati nell’inchiesta sulla Divanopoli
forlivese.
Nella lista dei condannati italiani, 1 anno a testa, spicca oltre
a Silvano Billi, Luciano Garoia ed Ezio Petrini (delle ditte Polaris e
Cosmosalotto) il nome di Tartagni, titolare della Tre Erre, un grande
mobilificio
confluito nella Atl Group che ha recentemente acquisito il sito
produttivo dell’Omsa di Faenza.
L’indagine degli inquirenti prese il via
nel 2009 e iniziò a far luce su diverse irregolarità compiute ai danni di
piccoli imprenditori contoterzisti, i cui diritti venivano violati, favorendo
la manodopera cinese a basso costo, per abbattere i costi di produzione dei
mobili.
È l’ennesima doccia fredda per le 140 ex operaie dell’Omsa che in
questi mesi sono impegnate in un periodo di formazione professionale con la
Atl Group. L’azienda con l’aiuto delle istituzioni (dal Ministero dello
sviluppo economico, alla Regione Emilia Romagna, al Comune di Faenza) ha
potuto
rilevare i due grandi capannoni di via Pana, appartenuti per decenni
alla multinazionale Golden Lady. Ora che le donne dell’Omsa iniziavano
cautamente a tirare il fiato si sentono finite dalla padella alla brace: il
fatto che l’azienda sia stata comprata da un condannato è tutto meno che un
buon biglietto da
visita.
“Secondo me questa è una sentenza
importantissima, dal punto di vista del diritto – ha commentato il pubblico
ministero Fabio Di Vizio che da tre anni segue la vicenda. Lo è per la tutela
della garanzie dei lavoratori. Il profilo etico-sociale è importante, ma qui
oggi ha vinto il diritto”.
La condanna è arrivata in seguito all’accertamento
di una strutturale violazione delle norme della sicurezza sul lavoro.
Nell’intesa criminale tra imprenditori forlivesi e cinesi l’imperativo
categorico era abbattere i
costi di produzione, bypassando le disposizioni
più elementari sui diritti degli operai in fabbrica: ciò significa turni di
lavoro da Inghilterra del ‘700: gli operai, perlopiù cinesi, erano costretti
a lavorare per 18-20 ore,
in ambienti spesso inadeguati, senza servizi
igienici, né tutele di alcun tipo. La pausa pranzo ovviamente era un
optional.
Tra le condanne comminate ai cinesi quelle di 2 artigiani: un anno
e nove mesi per loro. Altri 2 se la sono cavata con un anno e mezzo e 9 mesi.
I quattro uomini sono stati riconosciuti colpevoli di rimozione e
omissionedolosa delle cautele atte a prevenire infortuni sul lavoro.
Il
giudice Di Giorgio ha disposto anche, per i soli imputati forlivesi,
che rifondano le spese legali: 1800 euro per ciascuna delle parti
civili costituitesi a processo: si tratta dei Comuni di Forlì, Bertinoro
e
Castrocaro e della Camera di Commercio. Il valore economico del danno
da loro subito verrà stabilito in un secondo tempo dal giudice di parte
civile.
“Per noi
questa sentenza è la vittoria più importante” dichiarano le imprenditrici
Ciocca e Amadori, due donne che hanno aperto gli occhi a un’intera città,
costringendola a guardare. “Ci serve a dare uno schiaffo a chi non ci ha
creduto e si è permesso di dire che davamo la caccia alla streghe”.
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