domenica 8 luglio 2012

pc 8 luglio: “CHI NON USA LA FORZA QUANDO GLI SAREBBE UTILE E NECESSARIO, SEMBRA STUPIDO, MA CHI VI HA RINUNCIATO A PRIORI, LO DIVENTA REALMENTE"

E' uscito poco tempo fa un pamphlet di Luisa Muraro "Dio è violent" che - finalmente - pone la questione della violenza giusta, della necessità della violenza "rivoluzionaria" contro la violenza sistemica di questo potere.  

Noi che negli anni passati abbiamo fortemente criticato le derive reazionarie, e anche razziste che hanno assunto certe teorie e posizioni politiche di questa filosofa femminista, oggi non possiamo che valutare positivamente che anche da questo fronte vengano affermazioni che dicano una verità: che "la violenza non è in sè cattiva", ma dipende, noi diciamo, da quale classe la usa e per quale fine; una verità semplice che dovrebbe essere scontata per i rivoluzionari, per coloro che si dicono comunisti, ma anche per i proletari d'avanguardia e i movimenti reali di opposizione, a cui la pratica sempre più con i fatti ne dà conferma. Purtroppo così non è, e non lo è soprattutto per buona parte dei rivoluzionari e dei comunisti "a parole".
Questo pamphlet della Muraro viene ora fortemente attaccato da alcune "femministe" borghesi (si rifà sentire, ed evidentemente non poteva non farlo, Anna Bravo che anni fa prese posizioni antiabortiste e di attacco alle compagne rivoluzionarie). Ma questo ne dà più valore...

Riportiamo alcuni brevi stralci del saggio della Muraro:

"...La misura da cercare è nella coincidenza fra la giustezza e la giustizia dell’agire, coincidenza che va cercata non dico a tentoni, ma quasi... La giustezza (che è parente dell’efficacia) è soprattutto dei mezzi, la giustizia è soprattutto dei fini... La loro rispondenza, sempre da ri-cercare, si oppone al cinismo del fine che giustificherebbe i mezzi, ma anche alla paralisi di un agire tutto conforme alle regole stabilite. Ed è un nome della politica...
...Dosare l’uso della forza di cui si dispone fa parte della strategia dell’agire politico non come un’opzione qualsiasi ma come un sapere necessario
...in base a quello che capita di fatto tra gli umani, si crede che la violenza sia in sé cattiva. E si prepara il terreno per sostenere che essa si giustifica unicamente se il suo uso viene regolato per legge… il diritto vigente rispecchia lo stato dei rapporti di forza e la violenza non gli è certo estranea.

...La forza, date certe circostanze, può giustamente ed efficacemente esercitarsi arrivando ai limiti della violenza e perfino oltrepassarli… La predicazione antiviolenza, nella misura in cui esclude a priori l’idea di una violenza giusta, favorisce l’abdicazione ad agire, se necessario, con tutta la forza necessaria. E ciò si ripercuote sull’intelligenza delle persone: chi non usa la sua forza quando gli sarebbe utile e necessario, sembra stupido, ma chi vi ha rinunciato a priori, lo diventa realmente. Nessuno lo dice ma, secondo me, nell’appannarsi dell’intelligenza collettiva in questo nostro paese, non c’entra solo il consumismo e cose simili, ma anche la fine della sfida comunista che veicolava un’idea di violenza giusta, quella rivoluzionaria.
...Dicendo “tutta la forza necessaria”, intendo la duplice forza della consapevolezza (non il recriminare e lamentarsi ma vedere e rendersi conto fino in fondo) e del tirare le conseguenze pratiche e logiche....

…I filosofi lamentano che confondiamo tra loro concetti diversi come potere, dominio, forza, violenza. D’accordo. Ma quando, per tutta risposta, si mettono a darci le loro accurate definizioni, vorrei dirgli: prima di ciò, dovreste indagare dove e come nasca la confusione. E chiedervi se per caso quella che appare una confusione non sia la manifestazione di qualcosa che fareste bene a guardare più da vicino. Rileggete quel capolavoro racchiuso in poche pagine che è L’Iliade poema della forza di Simone Weil. Sebbene forza e violenza siano fra loro ben diverse, separarle per definizione non fa che occultare un aspetto ineliminabile della realtà umana. Ci sono distanze e prossimità che non si stabiliscono verbalmente ma attivamente: la definizione giusta la troveremo alla luce di questo agire. Insomma, meno filosofia e più pratica.
 la predicazione antiviolenza è “fatta per stendere un velo su quelle che sono le effettive cause e le espressioni di violenza nazionale, internazionale e globale, mentre allo stesso tempo ci vieta di immaginare una violenza giusta, che poi significa semplicemente non negarci a priori di poter agire con tutta la forza necessaria. E’ una provocazione, d’accordo. Ma la ritengo utile, quando vedo che il ricorso alla violenza in funzione dell’ordine globale è una minaccia che noi prepariamo per i nostri discendenti: non possiamo pensare che i popoli sui quali si interviene con la violenza ci perdonino”.

... Quella provocazione, dice ancora Luisa Muraro, “ho deciso di potermela permettere perché sono una donna, esponente di un’umanità mal tutelata dal contratto sociale, che ha spesso patito le violenze sia di guerra sia private e maschili e che ha titolo per parlare di violenza…

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