sabato 14 gennaio 2012

pc 14 gennaio - AL C.A.R.A. DI BARI: POI NON PIANGETE SE C'E' UNA NUOVA RIVOLTA

Al Centro di "accoglienza" degli immigrati di Bari, la repressione c'è stata e continua, in maniera pesantissima, con prime gravi condanne contro gli immigrati che ad agosto si sono ribellati e hanno fatto una rivolta per essere visibili e chiedere i loro diritti; ma invece nessun intervento vi è stato a difesa delle condizioni degli immigrati e delle loro richieste di permesso di soggiorno.
Questo centro, come altre strutture che dovrebbero essere temporanee per gli immigrati, è un vero e proprio CIE.
In queste condizioni una nuova rivolta non può che essere giusta, legittima e inevitabile!


Riportiamo dalla Gazzetta del Mezzogiorno di oggi:

"la situazione del Cara è invece peggiorata. È il Cara di sempre. Forse peggiore rispetto a quello lasciato prima della rivolta di agosto e prima della circolare-bavaglio di Maroni che ha inibito l’accesso ai giornalisti. I segni della battaglia dei binari che a metà estate paralizzò Bari sono ancora visibili: «moduli abitativi» bruciati e mai più riattati.

Una famiglia camerunense è censita per metà. Manca la bimba di poco più di un anno. Non c’è nell’elenco che ogni giorno, gli operatori del Centro d’accoglienza per richiedenti asilo, i lucani dell’«Auxilium», stilano. La piccola è un fatasma per gli «imprenditori dell’accoglienza» che, pure, ai numeri tengono eccome: non figura tra i 1.199 del Cara che scoppia e che in punta di legge ne dovrebbe ospitare meno della metà. Ma il nuovo appalto di gestione è stato vinto con un ribasso pari a 24 euro e 60 per ogni «ospite» al giorno: più ne sono, più i guadagni sono alti e le spese ammortizzate. Se si scende di numero, i professionisti dell’aiuto non fanno più business.

Faoruk aspetta un po’ prima di raccontare: «Sono del Dafour, conoscono tutti che cosa succede lì, nel Sud Sudan. Sono dovuto andare via e come tanti e mi sono rifugiato in Libia. Ma la vostra Commissione ha dato esito negativo alla mia richiesta di asilo. Non è vero che è stato considerato il Paese di origine, tutti sanno che inferno c’è nel Sud Sudan».

Due nigeriani precedono una donna incinta e s’affrettano a chiamarla: il pancione che una maglietta di cotone rosso leggero copre appena, non sfugge. «Non ha avuto il permesso di soggiorno», dice uno dei due, quello con una busta di plastica riempita di farina doppio zero, latte e polveri piccanti che assicurano la cena in «casa». L’altro nigeriano si toglie la corona del rosario che aveva al collo e alza la voce: «Mi hanno dato esito negativo, ma io non posso tornare da nessuna parte, ho perso la mia famiglia in mare, durante la traversata per Lampedusa».
Un 24enne senegalese esce dal modulo di un amico afgano e invita a entrare: otto persone in neanche quattro metri quadrati. E così ovunque. «È vero, vengo dal Senegal, ma ci sono problemi pure lì, hanno ammazzato tutta la mia famiglia. Se torno sono morto».

Il resto delle voci del Cara tornato «libero» alla stampa è una sequela di storture. Le solite. Menù in cui abbonda solo la pasta, indumenti forniti una volta ogni tre-cinque mesi. Fortuna che il pocket money (2 euro e 50) al giorno è distribuito: il clima si è rasserenato. Difficile andare avanti per mesi interi con l’acqua della docce che non è mai calda, uno shampoo al mese e un kit di indumenti che non viene quasi mai rinnovato..."

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