15 Ottobre una nuova Piazza Statuto dove la storia si rimette in marcia
Da giorni i media nazionali concorrono nella criminalizzazione della manifestazione del 15 Ottobre, offuscandone il significato di portata storica e svilendone i contenuti in un’operazione di riduzionismo penale che offre un pessimo servizio alla comprensione stessa delle ragioni, oltre che della rabbia espressa da migliaia di persone in quella giornata.
Se fosse vero, come si legge da molti editoriali ed illustri commentari, che poche centinaia di “black block” si sono impadroniti della scena attraverso la violenza, perché continuare a dargli tanto spazio con presunti scoop più o meno veri e non dedicare che poche righe ai motivi che hanno portato milioni di persone in piazza in tutto il mondo contro le politiche di austerity, concertate da governi ed organismi internazionali come la BCE? Perché, invece di scatenare la caccia alla streghe, assumendosi un compito che spetterebbe ad altri, non dare invece conto delle richieste e delle proposte portate in piazza da centinaia di migliaia di lavoratori, disoccupati, studenti immiseriti dalla crisi e sempre più precari, movimenti che resistono alla devastazione ambientale e a difesa dei beni comuni?
La verità, essendoci stati a Roma, è che a respingere la follia di blindati lanciati a carosello nel corteo, cariche dal retro e idranti sulla folla (per ammissione dello stesso Maroni inutilizzati da 20 anni) non erano pochi giovani incappucciati, ma migliaia di manifestanti di tutte le età e di varie appartenenze arrivati a Roma per esprimere una carica di rabbia comune di fronte all’assenza della politica e al peggioramento inarrestabile delle condizioni di vita e di lavoro, non più disposti a subire le politiche economiche ed i divieti di governi che rappresentano solo se stessi e che preparano un futuro senza speranza per le nuove generazioni.
Ecco, forse è questo che scandalizza e mette paura: Piazza S. Giovanni è diventata una nuova Piazza Statuto, la riscossa di generazioni a cui è stato strappato il futuro e che, in un’epoca di crisi dell’intero sistema capitalistico, nessun partito o sindacato può rappresentare e contenere; una piazza che rischia di rompere gli argini e contagiare l’intera società nella necessità, prima ancora che nel desiderio, di un cambio di rotta radicale capace di rimettere al centro i bisogni veri di milioni di persone contro gli interessi ristretti di Banche, finanza, multinazionali e classe politica che si limita, dall’alto dei propri palazzi blindati, a gestirli.
Non potendo rispondere a questa richiesta di cambiamento radicale che viene dalla società, si punta l’indice contro chi discutibilmente, soprattutto per l’incolumità del corteo, infrange simbolicamente le vetrine di qualche banca, individuate ormai da tutti tra le artefici di una crisi che scarica la sua violenza concreta (e ben più grave) fatta di licenziamenti, disoccupazione, lavoro precario e difficoltà di arrivare a fine mese su fette sempre più estese di società.
Per quanto ci riguarda, noi eravamo in migliaia a Roma dopo aver costruito per un mese con altre realtà di base e movimenti, iniziative cittadine di confronto e di pubblica denuncia con presidi alle banche, all’INPS, cortei di migliaia di persone nel consenso generale della gente comune che vive sulla propria pelle la crisi e che rifiuta l’idea di dover ancora fare sacrifici per salvare rendite e profitti di pochi.
Noi c’eravamo e non abbiamo niente da cui prendere le distanze se non da un’intera classe politica che, da destra a sinistra, non ci rappresenta.
A lasciarci perplessi, tuttavia, non è la “casta” impegnata ad arrivare a fine legislatura per rubarsi in pochi anni una pensione d’oro di fronte agli spiccioli che chi lavora a tempo indeterminato vedrà solo dopo 35 anni e chi è precario non vedrà mai; non è chi invoca ordine e punizione nella richiesta scandalosa, tra l’altro avanzata senza vergogna da un rappresentante della presunta opposizione come Di Pietro, di ritorno alla legge Reale, fino al divieto di manifestare se non dietro pagamento di cauzione, a cui speriamo che la FIOM abbia il coraggio di rispondere con un secco NO; o ancora al fermo preventivo di memoria fascista. Piuttosto, ci lascia perplessi l’atteggiamento a geometria variabile, sia di parte della sinistra sia dei media mainstream, che da un lato fanno a gara ad esaltare il valore delle rivolte, certo non pacifiche, della cosiddetta primavera araba o del resto d’Europa, Grecia in testa, dove l’attacco ai simboli del capitalismo è all’ordine del giorno, e dall’altro, quando tutto questo avviene in Italia, si affrettano invece a criminalizzare e cancellare le ragioni profonde che mezzo milione di persone, in contemporanea con mille piazze nel mondo, hanno gridato nelle strade.
Lo ripetiamo, noi a Roma c’eravamo in uno spezzone indipendente e pieno di precari, disoccupati, migranti, insieme a tanti altri centri sociali e gruppi di base, a gridare Reddito Garantito Per tutti - lavoro o non lavoro, crisi o non crisi - che il debito lo paghi chi l’ha provocato.
Abbiamo preso parte alla storia, lo abbiamo fatto anche simbolicamente, invadendo in massa i fori imperiali, ed ora, dopo Piazza S. Giovanni continueremo, a portare avanti nei nostri territori del sud, ulteriormente martoriati e devastati dalla crisi, le ragioni di quella alternativa societaria oltre l’economia di mercato, che la politica ufficiale non rappresenta e di cui c’è tremendamente bisogno prima che la barbarie dell’ingiustizia sociale, del razzismo e della guerra prendano ancora il sopravvento.
Area Antagonista Campana, Laboratorio Occupato SKA, CSOA Officina 99, Collettivo Operatori Sociali, Collettivo Area Vesuviana, CSOA Tempo Rosso
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