Una partecipazione sotto tono alla manifestazione Fiom del gruppo Fiat e Fincantieri ha riempito solo a metà Piazza del Popolo a Roma (10, forse 20.000).
Tanto orgoglio di organizzazione e perfino di classe (a parole), ma poca rabbia, poco spirito di lotta si leggeva nelle facce e nei cori degli operai che arrivavano in piazza.
Lungi dal corrispondere a quella che oggi è la principale esigenza degli operai e dei movimenti di lotta di massa, cioè far pesare con forza la propria lotta e respingere i diktat del Ministero degli Interni, la manifestazione ha nei fatti accettato il divieto di Maroni e tutti gli interventi hanno nella sostanza condiviso l’isteria da “emergenza democratica” rilanciata in questi giorni da tutte le forze politiche parlamentari ed ex parlamentari, alcune perfino extra-parlamentari, di governo, come di opposizione.
A parole tutti gli interventi hanno gridato contro la democrazia negata del diktat Maroni, affiancandola alla democrazia negata in fabbrica, dagli accordi separati al referendum sotto ricatto di Pomigliano e Mirafiori. Nei fatti, però, si è cercato fantasiosamente di spacciare come “corteo
ambientalmente sostenibile” quei pochi passi da Villa Borghese a Piazza del popolo (50 m circa) che gli operai hanno percorso incolonnati dietro i loro striscioni. Così la decisione di rinunciare di fatto al corteo trasformandolo in presidio è stata presentata come una forma di difesa della democrazia.
Peggio ancora, si e voluto contrapporre “gli operai che oggi manifestano a volto scoperto e a testa alta” a difesa della democrazia tanto ai divieti del governo, quanto alla “violenza di pochi che devono mascherarsi per esercitarla e finiscono per negare la parola a tutti gli altri, come avvenuto sabato scorso”, mettendo così ribelli, violenza istituzionale poliziesca, tutti sullo stesso piano.
Solo un paio di interventi, di operai della Fincantieri e della Irisbus, pur non sottraendosi al rituale di esecrazione della “violenza incappucciata”, hanno rivendicato non la nonviolenza ma la durezza e determinazione delle lotte messe in campo per fermare le dismissioni e indicato la necessità di proseguirle con “passione e coraggio”.
Dopo le testimonianze dei delegati dei vari stabilimenti presenti, alcuni dei quali hanno comunque restituito i tratti della condizione operaia nelle fabbriche di oggi e l’aspirazione a tornare a pesare, in fabbrica e fuori, l’intervento di Landini ha confermato che la linea attuale della Fiom è … dettare con fermezza le condizioni della sua resa: “il principale della nostra piattaforma di Cervia è il passaggio sulla democrazia sui posti di lavoro. Significa che pretendiamo e lotteremo per avere regole democratiche, che siamo pronti a rispettare e sfidiamo tutti a fare altrettanto. Votiamo ogni accordo, ogni piattaforma, se viene respinto si torna a trattare, se viene accettato un accordo che non ci piace, siamo pronti a firmarlo insieme agli altri”.
Chi conosce che cosa significhi nei fatti quella che i sindacati confederali tutti chiamano pomposamente “democrazia di fabbrica” e anche il più “onesto” dei loro referendum, sa bene di che cosa si sta parlando.
Ha chiuso la manifestazione l’intervento di Susanna Camusso. Se un anno fa la grande manifestazione e sciopero nazionale Fiom fu conclusa dalla contestazione della segretaria Cgil che dall’inizio alla fine del suo discorso dovette ascoltare il grido “sciopero, sciopero generale”, oggi a salutare la Camusso tanti fischi all’inizio del suo comizio, dopo qualche minuto, in tanti hanno preferito semplicemente avviarsi in anticipo verso i mezzi, lasciando ad ascoltarla una piazza ancor più vuota, un passo indietro anche questo.
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