Si tiene oggi una importante assemblea a Napoli promossa dai movimento dei disoccupati Banchi Nuovi e dai disoccupati organizzati- slai cobas per il sindacato di classe di Taranto.
In vista di questa assemblea sono apparsi su Indymedia campana, diversi pareri e valutazioni, molto attinenti alla situazione napoletana, ma sui quali è comunque necessaria una valutazione e un commento
Una compagna di proletari comunisti, impegnata come dirigente dello slai cobas per il sindacato di classe nella lotta dei disoccupati di Taranto ha affrontato in un suo scritto questi temi.
Sull'Assemblea di Napoli del 21. Punti di dibattito.
1) Calare la lotta dei disoccupati nella fase di scontro economico/politico attuale.
Riteniamo questo necessario a fronte di due posizioni:
una, espressa prevalentemente dalle forze che sono nel in altre realtà degli organismi dei disoccupati di Napoli, che non vedendo la questione delle vertenze e del rapporto con le istituzioni calata nella situazione attuale, attacca chi pone la necessità di una lotta più generale e di fatto esagera sui risultati che si possono ottenere – ma se si abbandona il “grande obiettivo” non è vero che si ottiene più facilmente il piccolo;
l'altra posizione, che pone il discorso generale, ma non facendolo agire in maniera chiara in rapporto alla fase attuale di crisi/risposta repressiva alle lotte, rischia di rendere debole e generalista la critica a chi guarda ai risultati immediati da conseguire e non alla battaglia generale.
La tattica e gli obiettivi devono avere come riferimento l'analisi concreta della situazione concreta e lo scopo di porre il movimento nelle condizioni migliori di lotta, di unità, di coscienza.
Facciamo un piccolo esempio: la questione corsi di formazione. E' evidente la diversità tra Taranto e Napoli; per Napoli in cui già i corsi di formazione sono stati in passato una risposta delle istituzioni alla lotta dei disoccupati, sarebbe un obiettivo inutile e arretrato; per Taranto, dove non ci sono mai stati, sarebbe un passo utile per dare fiducia nella lotta ai disoccupati, avere una condizione oggettiva migliore per l'organizzazione e l'unità dei disoccupati, avere una forma di salario che attutisce l'elemento della disperazione che è un ostacolo alla lotta collettiva.
Dire, come sostengono alcuni disoccupati, che gli attuali rapporti di forza e la fase politica non rendono possibile porre all'ordine del giorno la battaglia per un piano straordinario per il lavoro e il salario garantito, non deve significare porre obiettivi ultraminimalisti (ugualmente poco realizzabili – vedi anche qui esperienza di Taranto) ma elevare la coscienza dello scontro mentre si punta a strappare risultati parziali che migliorano i rapporti di forza.
Noi non disprezziamo i risultati parziali, ma riteniamo importanti almeno due questioni:
Primo, come si ottengono? Anche sulla base della esperienza di Taranto e dei movimenti sul terreno del lavoro degli anni passati, se essi sono il frutto secondario e “obbligato” per lo Stato e il governo per frenare una lotta più generale, non è abbandonando l'obiettivo generale che si ottengono più facilmente.
Secondo, la questione del rapporto con le istituzioni, chiaramente inevitabile nella lotta per il lavoro. Ma queste ti riconoscono e concedono qualcosa sempre come scotto necessario e secondario rispetto al timore di una rivolta e riconoscendoti come rappresentante effettivo di quella rivolta.
Quindi la lotta generale deve essere sempre l'ambito in cui ci si muove nel percorso di lotta, sempre la paura agente per la controparte. A Taranto noi abbiamo un esempio concreto di questo: la cassintegrazione in deroga è stata inventata a Taranto, come soluzione tampone a fronte di una rivolta lunga dei lavoratori precari delle pulizie che aveva bloccato per giorni e giorni mezza città e del timore della sua estensione (per essa è “saltato” un prefetto a Taranto).
Questo può permettere di strappare dei risultati senza cadere nelle grinfie del minimalismo, oggettivamente riformista; come nel rischio di fare una grande lotta ma per piccoli risultati, ora sempre più irraggiungibili.
In questo senso la linea degli “obiettivi possibili, realisticamente conseguibili, alla portata delle nostre lotte”, ecc.”, non ci vede in contrasto rispetto al risultato concreto, ma rispetto alla concezione che guida questa linea.
Nella fase attuale gli obiettivi “possibili” si riducono sempre più; in un certo senso, con padroni e governo che scaricano la crisi sul proletariato, in cui la Grecia è già in Italia, in cui è nei prossimi obiettivi c'è anche il taglio dell'indennità di disoccupazione e di altre misure di sostegno, non solo non è possibile per lo Stato e il governo dare lavoro e salario garantito, ma neanche soluzioni parziali come qualche anno fa.
Solo il timore di una rivolta generale, il rischio della estensione ed esplosioni della rivolte dei disoccupati, dell'unità pericolosa tra lotte dei disoccupati e lotte dei lavoratori, possono costringere istituzioni e governo ad attenuare e “derogare” ai loro programmi di “lacrime e sangue”.
Altro punto è l'interpretazione di parte, sia nostra che delle istituzioni, degli stessi obiettivi parziali. Vediamo ad esempio l'Agenzia Sociale a Napoli o i lavori temporanei e corsi di formazione a Taranto. Benchè trattasi comunque di obiettivi minimi, l'interpretazione e l'applicazione concreta delle istituzioni li vanifica ulteriormente, puntando anche ad usarli come strumento di divisione e controllo ammosciante della lotta dei disoccupati.
Questo pone il fatto che non basta dire che occorre perseguire nel corso della lotta dei disoccupati dei risultati concreti, ma la necessità di non perdere la rotta, altrimenti si consegna alle controparti anche la gestione di questi risultati.
Tornando alla fase attuale. I movimenti dei disoccupati, che piaccia o no, si dovranno interessare all'aumento delle ore di cassintegrazione, ai licenziamenti nella fabbriche e negli altri posti di lavoro, al venir meno dei diritti dei lavoratori, ed altro, perchè tutto questo incide eccome sulla loro lotta. Non possono pensare che mentre centinaia di migliaia di operai, lavoratori perdono il lavoro, vengono messi fuori dal ciclo produttivo, dai servizi, come scuola, sanità, vedono tagliate le loro ore di lavoro e il salario, i disoccupati possono entrarvi senza essere una controtendenza all'andazzo generale che vede ogni lotta muoversi per sè, senza porsi con le loro lotte dure e violente anche come esempio e riferimento di altri settori in lotta.
Diversamente si fa un elogio della disperazione: da disperazione individuale a disperazione collettiva, ma il concetto non cambia; diversamente, come storicamente è sempre accaduto, il bisogno di lavoro dei disoccupati viene usato dalla borghesia per abbassare il salario di tutti, e rendere sempre più privo di diritti il lavoro.
Diversamente si alimenta uno stupido e improduttivo spirito corporativo, addirittura di divisione con altri movimenti di disoccupati in lotta di altre città.
Non si capisce che proprio quando lo Stato non ti dà niente e ti toglie ciò che avevi, non devi abbassare e ridurre la lotta ma elevarla e ampliarla.
2) Qualcuno pensa che aver convocato questa assemblea del 21 a Napoli sia un'alternativa di fatto alla lotta.
Ma noi chiediamo: compagni, qual'è la novità? La lotta? Ogni giorno soprattutto a Napoli, e da alcuni mesi anche a Taranto, si scende in lotta. La novità non è questa.
La novità è che si pone la possibilità di unire movimenti di disoccupati oltre Napoli. Questo è un passo significativo. Per far sì che anche una manifestazione a Roma non sia solo un'altra iniziativa della vertenza Napoli - perchè se è così fosse non costituirebbe un salto di qualità di un movimento dei disoccupati che vuole porsi come movimento nazionale. La novità è che nell'ambito delle varie lotte e vertenze il movimento dei disoccupati pone il problema dell'unità.
Questo ostacola o aiuta le singole lotte e vertenze? Le aiuta perchè le rende più forti, più pericolose per la borghesia.
In questo senso l'assemblea non è alternativa alle lotte.
Noi sempre riteniamo che la lotta educa. Ma non la lotta per la lotta, ma una lotta che, per esempio, nel suo percorso sappia portare i disoccupati a riflettere, a confrontarsi, a fare un bilancio. Se non è durante la lotta che si fanno le assemblee, quando si devono fare? Quando la lotta finisce?
A Taranto il movimento Disoccupati Organizzati organizzato all'interno dello Slai cobas per il sindacato di classe ha posto fin dall'inizio il rapporto tra orizzontalità e verticalità del movimento. Ciò ha fatto sì che i Disoccupati Organizzati di Taranto si siano messi subito in relazione con Napoli e si sono posti come riferimento della lotta per il lavoro a Taranto. Questa posizione e concezione e pratica conseguente è un fattore di forza per la lotta dei disoccupati di Taranto.
Abbiamo letto alcune espressioni dispregiative verso il movimento dei disoccupati di Taranto. Ma Taranto è l'unica città, al di fuori di Napoli, in cui, con una popolazione di 230 mila abitanti, ci sia un'organizzazione dei disoccupati che raccoglie più di 200 disoccupati. I numeri sono quelli giusti.
3) Sugli obiettivi. Riprendere i punti delle piattaforme di lotta dei movimenti organizzati che hanno valenza nazionale, in primis la raccolta differenziata e i lavori legati all'ambiente.
Riprendere l'obiettivo del “salario garantito”, che lega la questione dei disoccupati alla questione del lavoro e della mancanza di lavoro – abbandonando la linea del “reddito sociale” che prescinde da questo legame, il “salario garantito” è una battaglia storica del movimento proletario, che pone la questione dei disoccupati interna alla battaglia generale di classe tra borghesia e proletariato.
Nella crisi il “salario garantito” è interesse di tutti, disoccupati e operai – in questo senso deve essere sostenuta anche dagli operai.
In parlamento in questi anni sono stati agitati dei progetti di legge, ma senza movimento di lotta non c'è alcun futuro di realizzazione.
Rispetto al percorso della lotta unitaria dopo Napoli dobbiamo organizzare la manifestazione a Roma, evitando, però, che come a volte accade Roma sia caricata eccessivamente e diventa l'ultimo “canto del cigno” della lotta. Roma è una tappa di una lotta che è lunga.
4) Ma non vogliamo eludere alcun problema.
E' stato detto, sempre con tono dispregiativo che lo Slai cobas per il sindacato di classe è diretto dai “maoisti”.
Sì, in effetti i dirigenti dello slai cobas per il sindacato di classe sono maoisti, e come maoisti sono al 'servizio del popolo' e lo dimostrano ogni giorno.
Ma i Disoccupati Organizzati non sono maoisti. E le loro lotte, piattaforme vengono decise quotidianamente in assemblee autorganizzate.
Saremmo contenti se ovunque, qualunque fosse la posizione politica di chi dirige, le cose andassero come a Taranto in materia di autorganizzazione e rifiuto della politica parlamentare, mentre inevitabilmente si hanno rapporti anche “autorevoli” durante la lotta con politici, istituzioni che spesso si mostrano pavidi, impotenti di fronte alla determinazione ma anche alla coscienza indipendente dei Disoccupati Organizzati. A volte chi strilla contro le lotte dirette dai maoisti, sono i primi che fanno condizionare la loro lotta dal ruolo dell'assessore.
Ci hanno attaccato come “economicisti”. Certo, ci occupiamo di lotte economiche, ma siamo in prima fila in tutte le lotte politiche che attraversano la città, il sud, il paese. Per la prima volta a Taranto il 25 aprile e soprattutto il 1° Maggio è stato festeggiato con i Disoccupati Organizzati in piazza; le elezioni a Taranto sono state terreno di battaglia politica dei Disoccupati Organizzati per il boicottaggio del voto. Tutti sanno che su queste battaglie possono contare su Taranto.
Non ci piacciono, invece, i parassiti politici, propagandisti, le comparse ai teatrini, i clown nei circhi.
Il socialismo ed il mondo nuovo sono parole troppo importanti per lasciarle in mano agli ultimi arrivati della politica nel movimento proletario.
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