sabato 8 novembre 2025

pc 8 novembre - Interventi nella giornata della Rivoluzione d'Ottobre - 3 - "...per mantenere il costante dominio lo Stato non lesina mai l’esercizio della violenza..."


Da un operaio ex Ilva in Cisg

Ben oltre cent’anni fa Lenin ci avvertiva del fatto che ciò che sarebbe divenuta l’Unione Europea, allora definita Stati Uniti d’Europa, non sarebbe stata altro che l’unione di stati coloniali pronti a spartirsi le colonie; ed oggi gli accadimenti (ma basterebbero le criminali parole di Merz sul lavoro sporco di Israele) mettono in luce come quelle parole profetiche si siano di fatto avverate. 

Ma l’acutizzazione delle mire coloniali dell’Occidente cosiddetto democratico, la sua aumentata ferocia e, di conseguenza, il suo totale disprezzo per i popoli ed il loro diritto alla vita ed all’indipendenza, sono segnali inequivocabili della profonda crisi del sistema capitalista che ci governa e degli imperialismi da esso generati. I crimini regolarmente commessi dalla Nato, il genocidio spettacolarizzato in diretta TV del popolo palestinese così come i massacri in India da parte del regime di Modi, l’immane tragedia dei migranti, i conflitti nel continente africano, dalla Libia alla Repubblica Democratica del Congo passando per il Sudan, l’imposizione dei dazi da parte degli USA e delle sue mire espansionistiche verso il Canada e la Groenlandia e le minacce di attacco al Venezuela, o ancora il riemergere dei neonazismi e dei neofascismi, con tutto il carico di odio e di violenza che si portano appresso, stanno qui a dimostrare, per l’ennesima volta, come l’unico vero fine di chi tende le redini del potere sia nient’altro che l’interesse economico e la fame di dominio che ne scaturisce. 

Non c’è alcuna ragione di miglioramento sociale in questo, ma anzi tutto il suo opposto. La violenza è dunque insita nella natura stessa degli Stati, i quali esercitano il potere attraverso il dominio della forza. 

La retorica identifica nel concetto di Stato l’insieme di tutti coloro i quali ne possiedono la cittadinanza,

dunque dalla carica più alta sino all’ultimo tra i poveri, perseverare in questo errore rende arduo raggiungere l’obiettivo di rovesciare per sempre il capitalismo col fine di edificare una nuova società. Non considerare esso come l’organo attraverso il quale la classe dominante esercita il proprio dominio sulla classe dominata ha la conseguenza nefasta dell’accettazione della naturalezza della divisione delle classi, e perciò della perpetuazione di questo sistema tanto doloroso quanto ingiusto. 

Per mantenere questo costante dominio lo Stato non lesina mai l’esercizio della violenza nei confronti di chi dissente verso questa iniquità, da sempre la repressione statale è caratteristica fondante della sua supremazia sul popolo: Marx ce la descrive nei suoi tre libri di carattere storico aventi come tema i tumulti francesi della sua epoca; ne abbiamo contezza nell’insurrezione di Milano del Maggio 1898 repressa nel sangue e nella persecuzione che ne seguì ai familiari ed amici di Gaetano Bresci; la ritroviamo nel terrore del ventennio fascista; così come nei fatti della Diaz durante il G8 di Genova del 2001; per arrivare ai giorni nostri con le innumerevoli ed infami cariche poliziesche ai manifestanti che si oppongono ad un genocidio nel quale molti Stati, tra cui il nostro, sono complici. Ma la violenza statale si manifesta anche solo nelle parole, come quelle che vorrebbero paragonare l’antisemitismo all’antisionismo nel delirante disegno di legge a firma Gasparri. 

Ecco, tutto questo non fa altro che mettere in discussione la ormai stantia favola delle proteste pacifiche. Per troppo tempo i mezzi di propaganda del potere statale hanno demonizzato la difesa propria dei manifestanti contro gli attacchi criminali delle forze dell’ordine. 

Idranti, manganelli, fumogeni sparati ad altezza uomo, non sono altro che la risposta attraverso la forza che puntualmente lo Stato esercita verso il dissenso, e proseguire con la narrazione del pacifismo non fa altro che facilitare regolarmente il lavoro repressivo di chi ha il potere nelle mani, continuare ad illuderci che la via pacifica sia quella corretta, da seguire, non farà altro che farci continuare ad essere perdenti, o tutt’al più a conseguire dei risultati al di sotto delle aspettative. 

Sappiamo cosa questo comporta, non siamo certo degli sprovveduti, ma sappiamo anche che quello che abbiamo da guadagnarne va ben al di là di quello che abbiamo da perderne.

Ne era ben consapevole un compagno il giorno in cui, mentre la SeaSalvia caricava impunemente il greggio per la guerra di Israele, riprese alcuni compagni che arrivati davanti al punto dove la nave era attraccata decisero di non oltrepassare la recinzione della raffineria per timore delle conseguenze. Ovvio che non si stia assolutamente dicendo di partire ciecamente alla carica come dei novelli Don Chisciotte della Mancia, bensì è necessaria l’organizzazione ed il confronto tra le tante realtà in gioco, ma i tempi sono assolutamente maturi per un cambio di passo che vada oltre le fiaccolate ed i fischietti e stendardi alla CGIL maniera. 

La menzogna è caratteristica conclamata della classe dominante, e i mezzi di comunicazione di regime ne vomitano quotidianamente la propaganda. Essere in grado di mettere le masse in condizione tale da prendere coscienza e saper riconoscere cosa è giusto e cosa è sbagliato, è compito dei comunisti, e sappiamo perfettamente che le masse sono con noi solo se noi siamo forti, ma per essere forti dobbiamo ricominciare a portare dei risultati che siano compatibili con i nostri obiettivi. 

Qui a Taranto questo è ben lungi dall’essere raggiunto, come sta a dimostrare il fallimento dell’opposizione all’attracco della SeaSalvia di cui si accennava poco sopra, fallimento che ha visto sbeffeggiare un intero territorio da parte del colosso Eni, un totale disprezzo delle ragioni e della volontà del popolo in ragione dei profitti derivanti dalla cosiddetta economia del genocidio. Si sono tenuti vari presidi di protesta oltre ad un blocco dell’ingresso alle autocisterne in raffineria, ma col senno di poi ci si rende conto che molto è stato sbagliato. Questo perché tenere presidi dove non si intaccano le attività dello stabilimento porta, come di fatto è stato, ad un nulla da fatto. Ciò che era giusto fare, e cioè bloccare i camion e dunque il flusso di carburante all’esterno, ha tenuto banco per pochissime ore riducendosi semplicemente ad un’azione simbolica, che poco o nulla ha inciso nelle casse di Eni. 

È nei profitti che bisogna colpire, sempre, e non a caso gli scioperi sono temuti dai padroni, essi sono l’arma che gli operai, i lavoratori, il proletariato ha per poter iniziare a scardinare l’ordine precostituito fatto da classe dominante e classe lavoratrice, da chi possiede i mezzi di produzione e chi invece ha solo la propria forza lavoro. 

E questa è un’altra delle questioni spinose in questo piccolo angolo di mondo, la questione dell’ex Ilva. Essa è diventata la pietra angolare della divisione tra lavoratori e cittadinanza, una sorta di guerra tra poveri dove i veri responsabili non pagano mai i loro crimini mentre tra gli strati più bassi della popolazione ci si accusa a vicenda deresponsabilizzando così padroni e loro comitati d’affari, cioè i governi. Tutto questo non sarebbe accaduto se a guidare la classe operaia ci fossero stati dei veri sindacati e non semplicemente delle organizzazioni del compromesso al ribasso. 

Quello che è mancato in tutti questi anni sono delle organizzazioni sindacali che potessero realmente essere definite tali, è mancata l’organizzazione dello sciopero come arma in mano agli operai e non come mezzo di autopropaganda per il sindacalismo confederale. 

Questi sono solo un paio di esempi che stanno a dimostrare come si dovrebbe lavorare meglio, forse anche facendo meno ma in maniera più efficace; perché si, ritengo che a volte si sia fatto troppo e male, che una organizzazione più oculata delle iniziative di lotta avrebbe portato dei risultati più concreti sul piano pratico e, riallacciandomi a quanto sopra, ci avrebbe reso più credibili e, di conseguenza, ci avrebbe portato un maggiore consenso. 

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