Nadine Sayegh, Sari Chreiteh * | palestine-studies.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
13/11/2025

Mentre il genocidio a Gaza è giunto a una tregua instabile, solo ora si sta valutando realmente la distruzione e il tributo in termini di vite umane, salute, benessere e infrastrutture, con stime che vanno dai 60.000 a oltre 100.000 civili uccisi e altri 30.000 dispersi, secondo un rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e del Ministero della Salute palestinese.
Per contestualizzare queste cifre e comprendere appieno la barbarie di questo tentativo di pulizia etnica, abbiamo suddiviso i dati in un bilancio giornaliero delle vittime. Ciò si traduce in una media di 90 civili uccisi ogni singolo giorno: circa 40 uomini, 20 donne e 30 bambini, secondo quanto riportato dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA). Le perdite immediate sono senza precedenti e corrispondono allo sterminio di quasi il 2% della popolazione infantile di Gaza, secondo l'UNICEF. Dati più recenti indicano cifre ancora più elevate: 115.000 morti causate da violenze traumatiche e immediate e, secondo quanto riportato da Counterpuch, "il numero minimo scientificamente plausibile di morti attribuibili al genocidio complessivo è superiore a 460.000". La perdita a lungo termine è ancora poco considerata, poiché questo assalto ha reso Israele la principale causa di morte a Gaza, uno status raggiunto non solo attraverso la violenza diretta, ma anche orchestrando una crisi sanitaria a lungo termine volta a minare la sopravvivenza delle generazioni future. Danni senza precedenti alle case, alle infrastrutture, alla salute e al benessere, alla contaminazione del suolo e dell'acqua, hanno posto le basi per una drammatica e prolungata continuazione del genocidio in Palestina.
In tutta Gaza, circa 436.000 case sono state distrutte, circa il 92% di tutte le strutture abitative, lasciando 2,1 milioni di persone sfollate, circa il 95% della popolazione senza un luogo dove tornare. L'assalto ha sistematicamente preso di mira le fondamenta della vita civile: 518 scuole sono state danneggiate o distrutte (90%), ci sono stati 654 attacchi registrati contro ospedali e oltre 1.700 operatori sanitari sono stati uccisi. La devastazione agricola è quasi totale, con il 97% delle colture arboree, il 95% della macchia arbustiva e l'82% delle colture annuali distrutte.
13/11/2025

Mentre il genocidio a Gaza è giunto a una tregua instabile, solo ora si sta valutando realmente la distruzione e il tributo in termini di vite umane, salute, benessere e infrastrutture, con stime che vanno dai 60.000 a oltre 100.000 civili uccisi e altri 30.000 dispersi, secondo un rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e del Ministero della Salute palestinese.
Per contestualizzare queste cifre e comprendere appieno la barbarie di questo tentativo di pulizia etnica, abbiamo suddiviso i dati in un bilancio giornaliero delle vittime. Ciò si traduce in una media di 90 civili uccisi ogni singolo giorno: circa 40 uomini, 20 donne e 30 bambini, secondo quanto riportato dall'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA). Le perdite immediate sono senza precedenti e corrispondono allo sterminio di quasi il 2% della popolazione infantile di Gaza, secondo l'UNICEF. Dati più recenti indicano cifre ancora più elevate: 115.000 morti causate da violenze traumatiche e immediate e, secondo quanto riportato da Counterpuch, "il numero minimo scientificamente plausibile di morti attribuibili al genocidio complessivo è superiore a 460.000". La perdita a lungo termine è ancora poco considerata, poiché questo assalto ha reso Israele la principale causa di morte a Gaza, uno status raggiunto non solo attraverso la violenza diretta, ma anche orchestrando una crisi sanitaria a lungo termine volta a minare la sopravvivenza delle generazioni future. Danni senza precedenti alle case, alle infrastrutture, alla salute e al benessere, alla contaminazione del suolo e dell'acqua, hanno posto le basi per una drammatica e prolungata continuazione del genocidio in Palestina.
In tutta Gaza, circa 436.000 case sono state distrutte, circa il 92% di tutte le strutture abitative, lasciando 2,1 milioni di persone sfollate, circa il 95% della popolazione senza un luogo dove tornare. L'assalto ha sistematicamente preso di mira le fondamenta della vita civile: 518 scuole sono state danneggiate o distrutte (90%), ci sono stati 654 attacchi registrati contro ospedali e oltre 1.700 operatori sanitari sono stati uccisi. La devastazione agricola è quasi totale, con il 97% delle colture arboree, il 95% della macchia arbustiva e l'82% delle colture annuali distrutte.
I medici hanno documentato un forte aumento delle malformazioni
congenite, che vanno dalle schisi oro-facciali e dai difetti del tubo
neurale ai neonati nati senza arti o con gravi deformazioni degli
organi. Il dottor Abu Salmiya, pediatra con oltre vent'anni di
esperienza, ha descritto questa escalation come senza precedenti,
collegandola ai residui tossici dei continui attacchi aerei e terrestri.
Il paesaggio stesso è stato costretto a rivoltarsi contro i suoi
abitanti: i metalli pesanti e i residui esplosivi saturano l'aria, il
suolo e l'acqua di Gaza, incorporando la contaminazione nel tessuto
riproduttivo e genetico della vita.
Questi danni ambientali si accompagnano a uno smantellamento deliberato delle infrastrutture sanitarie di Gaza. Gli ospedali operano in condizioni di assedio, senza carburante, elettricità o forniture mediche essenziali, costringendo i medici a eseguire interventi chirurgici neonatali senza anestesia e a riutilizzare attrezzature limitate. Questo degrado non è un sottoprodotto accidentale della guerra, ma parte di un continuum strutturale di espropriazione: una condizione in cui la sopravvivenza stessa diventa una fragile resistenza. Gli studi hanno da tempo dimostrato le conseguenze intergenerazionali di tale esposizione, in cui le tossine persistono e si accumulano nel corso di decenni, oltrepassando i limiti temporali del conflitto.
Ciò che emerge non è solo un'emergenza medica, ma anche ecologica e politica, una violenza lenta e cumulativa che rimodella la nascita, la morte e la stessa possibilità di rigenerazione a Gaza, entrambe autentiche manifestazioni del controllo biopolitico e necropolitico.
Le armi impiegate a Gaza e in tutta la regione sono strumenti ingegnerizzati di distruzione prolungata, che costringono i sopravvissuti a sopportare anni, se non generazioni, di sofferenze fisiologiche, psicologiche e ambientali. Il fosforo bianco (WP), ampiamente utilizzato, provoca conseguenze catastrofiche per la salute: il contatto diretto causa ustioni di terzo grado, mentre l'inalazione del suo fumo porta a gravi disturbi respiratori, danni gastrointestinali, deformità ossee e aumento del rischio di insufficienza cardiaca, renale ed epatica. Coloro che sopravvivono a tali attacchi riportano spesso debolezza cronica, insonnia, paura del buio e traumi psicologici persistenti, che si manifestano sotto forma di ansia, disturbo da stress post-traumatico e depressione, tutti riconducibili allo spettacolo traumatico dei corpi che si disintegrano tra le fiamme bianche. Le conseguenze ambientali sono altrettanto devastanti. L'esposizione al WP riduce la produttività agricola, causando l'essiccamento, il deperimento e l'appassimento delle piante. Una volta che il WP si infiltra nel suolo e penetra nei fiumi e nelle falde acquifere, avvelena interi ecosistemi, contamina l'acqua di irrigazione, minaccia il bestiame, le popolazioni ittiche e, in ultima analisi, la sicurezza alimentare umana attraverso il bioaccumulo tossico, secondo l'Agency for Toxic Substances and Disease Registry e lo studio di Daneshgar e altri. Il degrado del suolo, alimentato dall'accumulo di acido fosforico, ne riduce la fertilità e accelera l'erosione, rendendo la terra inutilizzabile. Oltre a Gaza, Israele ha utilizzato il WP per devastare il sud del Libano, distruggendo 40.000 ulivi e 462 ettari di foreste e campi agricoli, lasciando il suolo avvelenato e la disperazione economica, come riportato dall'HBS Beirut Environmental Justice Programme.
Questi danni ambientali si accompagnano a uno smantellamento deliberato delle infrastrutture sanitarie di Gaza. Gli ospedali operano in condizioni di assedio, senza carburante, elettricità o forniture mediche essenziali, costringendo i medici a eseguire interventi chirurgici neonatali senza anestesia e a riutilizzare attrezzature limitate. Questo degrado non è un sottoprodotto accidentale della guerra, ma parte di un continuum strutturale di espropriazione: una condizione in cui la sopravvivenza stessa diventa una fragile resistenza. Gli studi hanno da tempo dimostrato le conseguenze intergenerazionali di tale esposizione, in cui le tossine persistono e si accumulano nel corso di decenni, oltrepassando i limiti temporali del conflitto.
Ciò che emerge non è solo un'emergenza medica, ma anche ecologica e politica, una violenza lenta e cumulativa che rimodella la nascita, la morte e la stessa possibilità di rigenerazione a Gaza, entrambe autentiche manifestazioni del controllo biopolitico e necropolitico.
Le armi impiegate a Gaza e in tutta la regione sono strumenti ingegnerizzati di distruzione prolungata, che costringono i sopravvissuti a sopportare anni, se non generazioni, di sofferenze fisiologiche, psicologiche e ambientali. Il fosforo bianco (WP), ampiamente utilizzato, provoca conseguenze catastrofiche per la salute: il contatto diretto causa ustioni di terzo grado, mentre l'inalazione del suo fumo porta a gravi disturbi respiratori, danni gastrointestinali, deformità ossee e aumento del rischio di insufficienza cardiaca, renale ed epatica. Coloro che sopravvivono a tali attacchi riportano spesso debolezza cronica, insonnia, paura del buio e traumi psicologici persistenti, che si manifestano sotto forma di ansia, disturbo da stress post-traumatico e depressione, tutti riconducibili allo spettacolo traumatico dei corpi che si disintegrano tra le fiamme bianche. Le conseguenze ambientali sono altrettanto devastanti. L'esposizione al WP riduce la produttività agricola, causando l'essiccamento, il deperimento e l'appassimento delle piante. Una volta che il WP si infiltra nel suolo e penetra nei fiumi e nelle falde acquifere, avvelena interi ecosistemi, contamina l'acqua di irrigazione, minaccia il bestiame, le popolazioni ittiche e, in ultima analisi, la sicurezza alimentare umana attraverso il bioaccumulo tossico, secondo l'Agency for Toxic Substances and Disease Registry e lo studio di Daneshgar e altri. Il degrado del suolo, alimentato dall'accumulo di acido fosforico, ne riduce la fertilità e accelera l'erosione, rendendo la terra inutilizzabile. Oltre a Gaza, Israele ha utilizzato il WP per devastare il sud del Libano, distruggendo 40.000 ulivi e 462 ettari di foreste e campi agricoli, lasciando il suolo avvelenato e la disperazione economica, come riportato dall'HBS Beirut Environmental Justice Programme.
Numerosi studi dimostrano che l'esposizione a conflitti armati non solo influisce immediatamente sulla salute mentale, ma lascia anche tracce epigenetiche misurabili attraverso le generazioni. Una ricerca condotta da Frontiers in Neuroscience cita il trauma da guerra come fattore determinante di modifiche nei geni regolatori chiave, osservando che l'alterazione della metilazione del DNA nel gene NR3C1 dell'asse HPA è stata rilevata sia nel personale militare che nei civili, il che implica conseguenze biologiche ereditarie. Una ricerca empirica sulle famiglie di rifugiati siriani ha individuato posizioni metilate in modo differenziale (DMP) associate alla linea germinale, all'esposizione prenatale e all'esposizione diretta alla guerra in tre generazioni, nonché prove di accelerazione dell'età epigenetica nei bambini esposti prima della nascita (PubMed). Una sintesi pubblicata sul BMJ afferma che tali cambiamenti epigenetici legati alla guerra "lasciano un segno nella mente e nel corpo attraverso modifiche epigenetiche che possono essere trasmesse di generazione in generazione". Questi risultati suggeriscono che i gazawi sottoposti a ripetuti bombardamenti, assedi e sfollamenti devono affrontare non solo una morbilità acuta, ma anche una crisi sanitaria latente e biologicamente radicata, che si manifesta con disturbi della regolazione dello stress, disfunzioni metaboliche e invecchiamento epigenetico ereditato dai discendenti. La regione è inoltre saturata di ordigni inesplosi (UXO), che trasformano Gaza in un campo minato mortale che richiederà 20-30 anni per essere bonificato.
Quando queste munizioni esplodono, rilasciano metalli pesanti nell'aria, nel suolo e nell'acqua, causando avvelenamento cronico e una maggiore esposizione cancerogena. Di conseguenza, milioni di palestinesi non hanno ora accesso ad acqua potabile, servizi igienici e infrastrutture sanitarie, con tassi di malnutrizione acuta tra i bambini di età inferiore ai due anni che superano il 30%, una diretta conseguenza della distruzione ambientale a lungo termine, del collasso dell'agricoltura e dell'uso della fame come arma di guerra.
La distruzione a lungo termine a Gaza è sostenuta da una violenza strutturale che ha effetti letali anche molto tempo dopo i bombardamenti attivi. Nel febbraio 2024, è stato riferito che tutti gli ospedali di Gaza erano stati danneggiati, distrutti o resi non funzionanti a causa della mancanza di carburante, e nuovi dati dell'ottobre 2025 specificano che solo 14 dei 36 ospedali sono parzialmente funzionanti, mentre gli altri sono resi totalmente inutilizzabili. Una valutazione del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) ha rilevato che le infrastrutture idriche, compresi i sistemi di acqua potabile, acque reflue e fognature, sono state sistematicamente distrutte, con un conseguente aumento di 25 volte dei casi di malattie diarroiche rispetto ai livelli prebellici. Il collasso dei servizi igienico-sanitari ha consentito alle malattie infettive di proliferare rapidamente: oltre 40.000 casi di epatite A sono stati confermati nei 10 mesi successivi alla guerra, con 800-1.000 nuovi casi registrati ogni settimana tra le popolazioni sfollate. Cinque dei sei impianti di gestione dei rifiuti solidi a Gaza sono stati distrutti, lasciando accumularsi 1.200 tonnellate di rifiuti al giorno e costringendo i civili a bruciare legno, plastica e detriti tossici per cucinare, rilasciando particelle pericolose nell'aria già soffocata dalla polvere.
Questo degrado prolungato è aggravato dalle condizioni di assedio storico: dall'elezione di Hamas nel 2006, Gaza ha subito otto grandi offensive israeliane sotto un blocco durato 17 anni che ha paralizzato la capacità sanitaria, culminando nel collasso dell'intero sistema durante il genocidio del 2023-2025. La ricostruzione rimane quasi impossibile a causa dell'instabilità politica, della carenza di forniture mediche, della distruzione degli ospedali e dell'uccisione di massa di professionisti sanitari, come sottolineato nei rapporti dell'OMS e del CICR. Quasi 300 operatori sanitari delle Nazioni Unite e dell'OMS sono stati uccisi, molti altri sono rimasti feriti o psicologicamente debilitati, erodendo in modo permanente la forza lavoro medica di Gaza e smantellando ogni prospettiva di ripresa. L'emergere di malattie ha già preso piede: la ricomparsa della poliomielite, precedentemente eradicata dal 1999, minaccia ora 7.000-10.000 bambini in zone difficili da raggiungere con paralisi e disabilità a lungo termine. In questo contesto di carestia forzata, acqua contaminata, malattie infettive e collasso medico, la morte lenta diventa un'arma. La mortalità indiretta, causata dalla distruzione delle infrastrutture, dalle malattie non curate e dall'abbandono medico, è destinata a superare le morti dirette causate dai bombardamenti, inserendo la sopravvivenza a lungo termine in un quadro di controllo necropolitico continuo.
All'inizio di ottobre, il giorno prima dell'annuncio del cessate il fuoco, gli operatori sanitari di Gaza e della diaspora hanno pubblicato la Dichiarazione sulla salute nel tentativo di riportare al centro l'autodeterminazione palestinese come preludio alla ripresa dal genocidio. La Dichiarazione afferma che la salute e la sovranità politica sono inseparabili e che i palestinesi, una volta liberati dal giogo coloniale, possono definire i propri bisogni e sostenere i propri sistemi. Riconoscendo il colonialismo di insediamento come causa fondamentale della cattiva salute e della violenza, la Dichiarazione richiede un'azione collettiva per porre fine alla complicità, isolare Israele attraverso sanzioni e restituire il controllo alle istituzioni e alla dirigenza palestinesi. L'impegno ridefinisce la solidarietà sanitaria come un atto di allineamento politico, che colloca la guarigione nel più ampio contesto della lotta per la liberazione, la giustizia e la sovranità duratura.
Note: palestine-studies.org
*) Nadine N. Sayegh è una scrittrice e ricercatrice palestinese multidisciplinare che si occupa del mondo arabo. Il suo lavoro spazia dal genere alla geopolitica, dalla sicurezza umana ai Territori palestinesi occupati. Ha conseguito un master in Media e Medio Oriente presso la SOAS di Londra e un dottorato in filosofia presso l'Università di Tolosa (Jean-Jau
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