martedì 25 novembre 2025

pc 25 novembre - Ancora sui solidi rapporti tra Cina e Israele dopo l'astensione cinese sul piano Trump



[Nella foto: l’ambasciatore della Cina in Israele, Xiao Junzheng, e il ministro sionista dell’economia e dell’industria Nir Barkat]

 voi l’astensione di Pechino sul piano Trump su Gaza, contro la popolazione palestinese e le sue forze della Resistenza, come la definite?

Su Naked Capitalism del 6 giugno 2025 Nick Corbishley scrive: “The People’s Republic of China (…) is actually seeking to strengthen its ties with Israel” [sta realmente cercando di rafforzare i suoi legami con Israele”]. E ci informa che “just four days ago, as Israel’s Defence Forces were unleashing coordinated attacks on aid depots, China’s ambassador to Israel Xiao Junzheng discussed “deepening China-Israel economic and trade cooperation” with Israel’s Minister of Economy and Industry, Nir Barkat. “In a world where economic resilience and innovation matter more than ever,” said Xiao Junzheng, “building meaningful partnerships is key.”. Questo non significa che ci sia un allineamento politico della Cina ad Israele – la Cina, ricordiamolo, si è rifiutata di condannare l’azione del 7 ottobre e continua a sostenere la tesi dei “due popoli, due stati”, ma nello stesso tempo, come ha dichiarato Xiao Junzheng, “The war continues, but the war is not the theme of Israel-China bilateral relations. [La guerra continua, ma non è la guerra il tema delle relazioni bilaterali tra Cina e Israele.] For more than 33 years, China-Israel relations have withstood the test of history and always maintained stable development.”. Siamo alla fine di maggio di quest’anno, e – come nota Corbishley – Gaza è diventata inabitabile, dato che il 92% delle sue unità abitative e il 70% delle sue strutture è stato distrutto o danneggiato. Lo è diventata grazie anche all’aiuto di Pechino, che dichiara in modo esplicito che “la guerra continua, ma non è la guerra il tema delle relazioni bilaterali tra Cina e Israele”, la guerra è solo un tema da dare in pasto all’opinione pubblica internazionale… Del resto, rivendica Xiao, “Chinese companies in Israel have not evacuated or stopped their business. They have been sticking to their posts and fulfilling the contracts” [Le imprese cinesi non hanno annullato, e neppure sospeso le loro attività. Sono rimaste ben salde ai loro posti e stanno adempiendo ai contratti]. Gli affari, il denaro, il profitto al di sopra di ogni altra cosa.

Guerra o non guerra, tutto come prima, quindi. Anzi nel 2024, a genocidio in corso, le importazioni israeliane dalla Cina sono cresciute del 20% rispetto al 2023. Per il capitale made in China gli investimenti fatti in Israele sulle tecnologie di avanguardia in agricoltura, gestione delle risorse idriche, energia “pulita”, sanità, auto a guida autonoma, sono troppo rilevanti per metterli in discussione a causa di quattro straccioni di palestinesi (per giunta ribelli). E che siamo, nella “folle” Rivoluzione Culturale?

Il portavoce del ministero degli esteri cinese, Lin Jian, protesta educatamente perché Israele non ferma gli insediamenti illegali in Cisgiordania. Ma l’Adama Agricultural Solutions, ex-azienda israeliana, ora di proprietà esclusiva dell’impresa di stato cinese China National Chemical Corporations, e la Bright Food, altra azienda di stato cinese che controlla il 56% della israeliana Tnuva, cooperano tranquillamente con i coloni degli insediamenti illegali, consolidandoli contro il popolo palestinese espropriato e oppresso. Contano più le parole (di circostanza) o i fatti?

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