Dal blog tarantocontro
Partiamo da alcuni fatti, che sono certezze:
Primo - Il Circolo Ilva di Bagnoli dice: “Nella nostra esperienza - e non solo - alla chiusura di importanti centri di produzione industriale, non ha corrisposto una magnifica e progressiva sorte per i territori e le popolazioni che li abitano nella transizione ecologica dell'economia. Proprio l'eredità della fabbrica, la cultura del lavoro e della solidarietà sociale, è il bene più prezioso da salvaguardare. Dopo lo smantellamento dell'ILVA di Bagnoli, ultimato all'inizio di questo secolo, sono trascorsi 25 anni e ancora si attende la rigenerazione sociale, economica e ambientale che è stata promessa”. Lo smantellamento e la Bonifica di Bagnoli ha una superficie di 1.200.000 mq costerà 1.750ML; Per l’ILVA di Taranto che ha una superficie di 15.450.000 mq (quasi 13 volte in più) anche il costo dello smantellamento e della bonifica deve essere aumentato per 13 volte, col risultato - dice qualcuno – che si spenderebbe meno ad investire per rendere eco-compatibile lo Stabilimento.
Chi, e anche noi su questo, si preoccupa dei tempi indicati dal governo per la decarbonizzazione - 12 anni, poi, non sappiamo se per tenere buoni i sindacati, ha parlato di 8 anni – ed esperti parlano di circa 10 anni tra spegnimento degli attuali altoforni e costruzione di nuovi impianti; chi parla di “chiusura della fabbrica subito”, e che così tutti i problemi di ambientalizzazione si risolveranno, fa bassa demagogia. Invece di battersi perché le bonifiche inizino subito in fabbrica, in area industriale, nei quartieri – bonifiche che sarebbero anche una risposta seria alla tenuta occupazionale degli operai dell’Ilva che si vuole invece buttare fuori insieme ai 1600 già fuori e in cig dal 2018.
A Bagnoli dalla chiusura dello stabilimento ad oggi sono passati più di 30 anni, e, nonostante siano in tutti questi anni passati governi di ogni tipo: da centrosinistra, a centrodestra, a destra, non esiste ancora una “rigenerazione sociale, economica, ambientale”. E a Taranto, invece, con una realtà 13 volte più grande di Bagnoli, tutto sarebbe risolto in pochi anni?
Anche a Bagnoli gli operai, messi fuori dalla fabbrica chiusa, i cittadini, associazioni in tutti questi anni si sono battuti perché ci fosse la bonifica, e anche alternative di lavoro, ma hanno dovuto sbattere la testa contro un muro. Ma qui a Taranto ci si compiace di fare del populismo illusorio, di risolvere problemi seri con slogan.
Secondo - Come hanno detto alcuni esperti in un recente convegno il 15 novembre alla Biblioteca Acclavio, "Oltre il bluff della decarbonizzazione": non esiste inquinamento zero - "Emissioni zero non
esistono" ha detto per esempio il Prof. Mauro Solari, ingegnere chimico, esperto in valutazioni ambientali, "i limiti di legge tecnologici non portano a salubrità dell’aria" - ma una significativa riduzione del grave inquinamento attuale è possibile, con eliminazione degli impianti più inquinanti: cockerie, impianti di agglomerazione che emettono gli uni benzoapirene e gli altri diossina, eliminazione altoforni, e sostituzione con forni elettrici con uso però di idrogeno green.Ma chiaramente ci vuole volontà politica del governo e molti finanziamenti. Anche altri esperti hanno detto che “servono investimenti statali, non privati”; così come la delocalizzazione dei nuovi impianti lontano della città è un passaggio serio, necessario.
Quindi, due questioni:
da un lato, coloro che auspicano in questo sistema capitalista “inquinamento zero” dicono che non si deve mai più produrre acciaio – cosa impossibile e fuori dalla realtà (per tantissime cose, anche per le pentole in cui cuciniamo, serve l’acciaio); o peggio, come affermano anche alcuni ambientalisti a Taranto, “da noi NO… che venga prodotto da altri paesi…”, con una logica razzista (come hanno detto a proposito della nave rigassificatrice: a Taranto no, se volete mettetela a Gioia Tauro…);
dall’altro, nel sistema del capitale che produce solo per il profitto, tutte le produzioni sono nocive, perché i padroni, lo stato, il governo puntano a tagliare costi su salute e sicurezza che per loro sono inutili – tant’è che le morti operaie avvengono in tutti i settori (anche nella famosa “agricoltura”, auspicata come una delle alternative produttive all’acciaio a Taranto); così come l’inquinamento ambientale c’è eccome anche in zone in cui non ci sono impianti siderurgici (vedi le battaglie nel napoletano - terra dei fuochi..., vedi la mobilitazione degli abitanti di Casale Monferrato); anche l’economia turistica è certamente inquinante dei mari, dei territori, ecc.
Ma nessuno di coloro, ambientalisti o alcuni esperti professori, che denunciano la situazione ambientale a Taranto, mette in discussione questo sistema capitalista, i governi al suo servizio.
In un altro sistema sociale, che si chiama socialismo, in cui i proletari, le masse popolari hanno il potere politico ed economico nelle loro mani, è possibilissimo che anche una produzione di acciaio non sia inquinante, perché pone al centro la sicurezza degli operai, delle masse, perché indirizza lo sviluppo delle forze produttive, la scienza, i progressi tecnologici, la sanità a risolvere i problemi vecchi e nuovi delle popolazioni, perché fa della principale forza produttiva – la forza-lavoro operaia liberata dalle catene di sfruttamento del capitale - la forza motrice del cambiamento, del rapporto positivo natura/umanità.
Nocivo è il capitale non le fabbriche. Ma una cosa così evidente, semplice, ci si ostina a non volerla capire.
Alcune associazioni ambientaliste, dai “Lavoratori e cittadini liberi e pensanti”, a “Giustizia per Taranto”, hanno fatto un “gran lavoro” producendo un elenco infinito di attività lavorative alternative, che potrebbero occupare addirittura ben più dei 15 mila operai dell’Ilva e dell’appalto/indotto; si sono semplicemente “dimenticati” di dire che anche questa “economia alternativa” alternativa non è, perché sarebbe sempre e comunque gestita da padroni o da un governo dei padroni che ha sempre come scopo il profitto. Si tratta di spargere illusioni, meglio dire “stupidaggini”, perché, a parte tutto, se a Taranto chiude l’Ilva, si chiudono tanti altri settori lavorativi, e i nuovi non vengono, perché sempre è l’industria grande che attira intorno quelle medie/piccole.
Ci rivolgiamo anche a coloro che parlano – l’hanno fatto anche nel convegno del 15, per es. il prof. Giua – della necessità da parte delle Istituzioni del “coinvolgimento della città, dei cittadini”. Sembra una cosa che dovrebbe essere normale, ma anche qui chi auspica questo sembra non comprendere minimamente la realtà.
Perchè mai questo governo, queste Istituzioni che attaccano i diritti democratici dei lavoratori, delle masse popolari, che lavorano per una “dittatura quasi personale” (Meloni, insegna), che marcia verso un moderno fascismo, dovrebbero volere che i cittadini contino nelle decisioni, nei piani?
Ancora, anche qui, dire queste cose senza dire che la reale partecipazione dei lavoratori, delle masse popolari è nella lotta per rovesciare questa situazione, per rovesciare il governo (tutti i governi dei padroni) che non vogliono dare soluzioni né ai lavoratori, né ai cittadini di Taranto; che non vuole mettere soldi per questo, che se le persone si incazzano seriamente risponde con la polizia; di fatto, che lo si voglia o no, si fa demagogia, o si spargono illusioni impotenti.
Guardate che oggi come oggi è molto più concreta e può portare a risultati questa battaglia, che non l'elenco di economie alternative.
Noi pensiamo che gli “esperti”, i professori dovrebbero mettere il loro sapere, le loro ricerche al servizio di una reale comprensione della realtà e del ‘che fare’, non per “accompagnare il morto” delle denunce e lamenti.

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