Da decenni assistiamo a processi di deindustrializzazione, chiusure e ristrutturazioni portate avanti dai padroni per salvaguardare i propri profitti.
In tale contesto l’opposizione alle ennesime privatizzazioni è una battaglia fondamentale e allo stesso tempo è naturale come – in un contesto di privatizzazioni che hanno via via regalato direttamente nelle mani del capitale interi settori della produzione strategica – venga spontaneo denunciare ciò che i padroni fanno nel tutelare i propri privati interessi.
Ma fronte di ciò, è davvero la strada giusta invocare l’intervento dello Stato per pensare di risolvere le “situazioni di crisi” del mondo del lavoro e cercare di contrastare le politiche dei padroni?
La verità è che lo Stato e la proprietà pubblica su questo non danno alcuna speranza di una gestione alternativa. Questo Stato è sempre direttamente uno Stato al servizio dei padroni e che agisce in loro nome e secondo i loro interessi. Chi gestisce oggi lo Stato, i funzionari della borghesia che ne hanno le redini, perseguono sul piano generale la logica del profitto come e con la stessa determinazione con la quale la perseguono i padroni privati nei singoli contesti produttivi. Non basta che la proprietà sia dello Stato perché si agisca perseguendo l’interesse pubblico.
Questo errore è parte di quella “superstiziosa idolatria dello Stato” di cui ci parla Engels in queste righe tratte dalla sua introduzione all’edizione tedesca del 1891 de “La Guerra Civile” in Francia.
“Di qui una superstiziosa idolatria dello Stato e di tutto ciò che ha relazione con lo Stato, idolatria che si fa strada tanto più facilmente in quanto si è assuefatti fin da bambini a immaginare che gli affari e gli interessi comuni a tutta la società non possano venir curati altrimenti che come sono stati curati fino ad ora, cioè per mezzo dello Stato e dei suoi bene istallati funzionari. E si crede d'aver già fatto un passo estremamente audace, quando ci si è liberati alla fede nella monarchia ereditaria e si giura nella repubblica democratica. In realtà però lo Stato non è che una macchina per l'oppressione di una classe da parte di un'altra”
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