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Osservatorio Repressione
Genova, Barcellona, Oackland, Tacoma, Sidney. I lavoratori portuali si rifiutano di caricare le navi con le armi per Israele
L’appello lanciato lo scorso 16 ottobre dai sindacati palestinesi per “smettere di armare Israele” è stato raccolto dai sindacati in diversi paesi.
Diverse organizzazioni di lavoratori portuali hanno indetto mobilitazioni e iniziative per protestare contro i bombardamenti della striscia di Gaza. Venerdì prossimo a Genova si svolgerà il presidio indetto dai portuali del capoluogo ligure. La mobilitazione raccoglie l’appello lanciato lo scorso 16 ottobre dai sindacati palestinesi per “smettere di armare Israele”. I lavoratori dello scalo genovese si rifiutano di gestire l’imbarco di carichi di armi diretti in Israele (e non solo).
“Mentre da quasi due anni in Ucraina si combatte una guerra fra blocchi di paesi capitalisti, mentre lo stato d’Israele massacra i palestinesi, mentre la guerra nucleare è dietro l’angolo, il Porto di Genova
continua a caratterizzarsi come snodo della logistica di guerra: imbarchi di camion militari diretti alla Tunisia per il contrasto dei flussi migratori, passaggio di navi della ZIM, principale compagnia navale israeliana, nuovi materiali militari per l’aeronautica Saudita pronti per la prossima Bahri. Questo è quello che sta dietro ai varchi del porto di Genova. Basta traffici di armi in porto. Solidarietà internazionalista agli oppressi/e palestinesi. Il nemico è in casa nostra. Guerra alla Guerra” si legge nel comunicato che invita alla partecipazione.Anche i lavoratori del porto australiano di Sidney, stanno protestando contro l’attracco di una nave della compagnia israeliana Zim. All’appello dei sindacati palestinesi hanno aderito ieri anche i portuali dello scalo di Barcellona, annunciando che impediranno “le attività delle navi che portano materiale bellico”.
In Belgio già da alcune settimane a rifiutarsi di caricare armi sono i lavoratori aeroportuali che nel comunicato spiegano “caricare e scaricare ordigni bellici contribuisce all’uccisione di innocenti“. Solidarietà con i lavoratori palestinesi è arrivata inoltre dal sindacato francese Cgt, così dal sindacato greco Pame che il 2 novembre ha bloccato l’aeroporto di Atene per protesta contro i bombardamenti israeliani.
Negli Stati Uniti, nei pressi di Seattle, sono invece stati un centinaio di attivisti a bloccare il porto di Tacoma, mossi dal sospetto che la Cape Orlando, nave statunitense alla fonda, trasportasse munizioni ed armamenti per Israele. La nave era già stata fermata alcuni giorni prima nello scalo di Oakland, nella baia di San Francisco. Iniziative di questo genere si stanno moltiplicando. Nei giorni scorsi gli attivisti avevano bloccato tutte le entrate di un impianto della statunitense Boeing destinato alla fabbricazione di armamenti nei pressi di St Louis.
Manifestazioni si sono svolte alla sede londinese di Leonardo, gruppo italiano che ad Israele fornisce gli elicotteri Apache. Il 26 ottobre scorso un centinaio di persone avevano invece bloccato l’accesso alla filiale britannica dell’azienda di armi israeliana Elbit Systems.
Di fronte al genocidio dei palestinesi in corso a Gaza, in tutto il mondo sta montando un’ondata di indignazione che chiede il boicottaggio degli apparati militari ed economici di Israele, con un movimento che somiglia molto a quello che portò alla fine del regime di apartheid in Sudafrica.
A livello internazionale da anni è attiva in tal senso la campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) verso Israele che le autorità di Tel Aviv temono moltissimo e contro cui hanno creato un apposito dipartimento, lanciando una contro campagna di criminalizzazione del Bds in vari paesi europei e negli USA. Un tentativo evidentemente destinato a fallire.
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