E’ stata una partecipazione costruita abbastanza capillarmente con le assemblee e le iscrizioni agli autobus in fabbrica, con gruppi di mille/mille duecento lavoratori in autobus raggiunti in diverse province.
“Partecipate in tanti, perché ci contano” è stato detto nelle assemblee. Questo fotografa bene la politica delle segreterie sindacali impegnate nel fare pressione sul governo, rappresentando la mobilitazione; con attenzione a non innescare iniziative fuori controllo, nella mobilitazione dei lavoratori.
Con una partecipazione, questa volta, oltre l’apparato, con i lavoratori dietro gli striscioni, ma soprattutto le fasce più ‘sindacalizzate’ o gli iscritti.
Tra i lavoratori in corteo, le dichiarazioni sono a maggioranza del tipo “sono qui perché non ce la
facciamo più, dobbiamo pur cominciare da qualche parte”, “è solo il primo passo, così non basta, altro che una manifestazione al sabato ci vuole uno sciopero…”.Ma tutto nel seno dell’organizzazione sindacale ufficiale.
Oggi anche i lavoratori e le lavoratrici più critiche sulla linea sindacale, su queste iniziative, sui condizionamenti della Cisl, sulla scarsa presenza di lavoratori giovani nella piazza e nel corteo, si esprimono dicendo che bisogna tenere presente le dinamiche dentro l’organizzazione, che sono legate alle relazioni con gli altri sindacati, per dire che sarebbero anche pronti a fare di più, ma senza l’ordine dall’alto non si parte, che sono in piazza per spingere sulle segreterie, convinti che in questo modo a breve ci sarà qualcosa di più forte.
Anche con gli slogan per lo sciopero generale urlati nel corteo, e che alcuni gruppi di lavoratori hanno portato sotto il palco dei comizi.
O con le pressioni che arrivano dalle diverse regioni; ne parlano ad es. lavoratori e delegati dal Veneto, che riferiscono di un territorio più conflittuale, dove le assemblee vanno diversamente, ‘”vedrai che lo faremo lo sciopero, anche senza la Cisl”.
O con quelle dell’area critiche dentro la Cgil, al corteo anche con gli slogan contro la Meloni.
Molto forte l’espressione identitaria, di appartenenza all’organizzazione maggioritaria, che “è nel giusto, anche se deve fare i necessari compromessi”, che non esprime critiche interne.
Queste posizioni vengono rafforzate anche nel legame con le dinamiche nel proprio posto di lavoro, magari con le specifiche vertenze.
In generale a Milano il confronto è sterile, con lavoratori portati a chiedere alle segreterie sindacali di intensificare la lotta, senza per altro poterne decidere i contenuti.
Senza porsi il problema di rompere, in prima persona, come gli studenti, tanto citati, hanno dimostrato concretamente; della necessità di iniziative dirette per rompere con la politica di convergenza e collaborazione sindacale con padroni e governo, del chiedere e restare passivi in attesa, anche nella situazione attuale di crisi, di guerra, del moderno fascismo che sta occupando i centri del potere nel paese.
Da parte nostra è necessario portare l’attenzione sulla guerra, sull’unità delle lotte, su questo governo che non è come gli altri, che avere invitato la Meloni al congresso della Cgil non corrisponde ad un dovere formale (“sono sempre stati invitati tutti i presidenti del consiglio”), perchè la natura fascista del governo deve cambiare l’azione che non può essere la routine ‘come sempre’, ma di scontro aperto a partire dalle fabbriche, dai posti di lavoro con le lotte in prima persona dei lavoratori.
Allo stesso modo occorre dire chiaro che parlare di salari, precarietà, sanità, di cui si riempiono la bocca anche i dirigenti sindacali nelle assemblee, dopo anni e anni di politica sindacale di convergenza e collateralismo con padroni e governo, una politica che è corresponsabile di un peggioramento costante per i lavoratori, è solo demagogia, perchè non sono presenti nella piattaforma ufficiale aumenti salariali di 300, il salario minimo a 10eu l’ora, la rivendicazione del reddito di cittadinanza...
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