Un disastro e una strage annunciata.
Quindici giorni fa, più
o meno nelle stesse zone dell’Emilia Romagna colpite oggi, c’è stata la prima
alluvione che aveva messo sott’acqua più della metà della regione. Il
monitoraggio del clima per fare previsioni a distanza di 2 settimane avrebbe
dovuto spingere amministrazioni comunali, provinciali, regionali così come il
governo a prendere provvedimenti per prevenire, per impedire che una nuova
pioggia torrenziale causasse danni enormi alle popolazioni e al territorio.
E poi non dimentichiamo che era successo anche ad Ischia
qualche mese prima.
Invece è andata peggio di prima.
14 persone morte (6 a Ravenna), 10 mila di sfollati, persone intrappolate ai piani alti senza luce né linee telefoniche, in alcuni casi senz’acqua potabile, le città e i centri minori di Forlì, Cesena, Ravenna,
Faenza, Imola, Rimini, Bologna i più colpiti, campi e case sott’acqua. E gli allagamenti si stanno estendendo per le esondazioni di fiumi e dei canali, e le frane.Sicuramente una delle cause che hanno pesato su questa alluvione sono i cambiamenti climatici: ci sono stati lunghi periodi di siccità seguiti da piogge torrenziali che in poche ore hanno concentrato l’acqua di mesi.
No, tutto questo non è normale che accada. Innanzi tutto questi non solo cambiamenti “naturali”.
I cambiamenti climatici derivano da questo sistema con al
centro il Profitto del Capitale che altera/distrugge l’ambiente e il clima,
crea le condizioni per la diffusione di pandemie, e che ora ci sta portando ad
un’altra guerra con l’uso di armi sempre più micidiali.
Non sono “naturali” le Grandi opere che devastano il
territorio, gli allevamenti e l’agricoltura intensivi che determinano emissioni
e l’inquinamento del suolo, la cementificazione. A Ravenna si vuole costruire
un rigassificatore e un nuovo metanodotto e l’ENI, nel nome della
decarbonizzazione, vuole realizzare uno dei più grandi centri di stoccaggio del
carbonio (CCS), al mondo sostenuto dalla Regione con Bonaccini e dal Comune,
oltre che dal governo centrale.
Ma se crolla un argine il problema è la manutenzione, non è certo
un “castigo di Dio”. In Romagna non si sono costruite le casse di espansione, ad esempio, bacini che servono a contenere enormi masse d'acqua dei fiumi che raggiungono la piena.
Lo dicono gli stessi padroni: "Un Paese di paradossi. È tra i più piovosi d’Europa, ma riesce a immagazzinare appena il 4% dell’acqua, complici infrastrutture obsolete, perdite sulla rete, dighe bloccate o da sfangare". (Sole 24 ore)
C’è n’è abbastanza per capire che le scelte politiche non
vanno in direzione delle masse. Per i padroni e per salvarli dalla loro crisi e
per le scelte di guerra i soldi i governi, quello centrale e quello locale, li
fanno invece scorrere come un’alluvione.
Così come anche il governo locale è responsabile del
disastro di questa alluvione.
L’Emilia Romagna è passata da “regione rossa” a “zona rossa”
per l’alluvione che l’ha colpita. Quella che un tempo era la punta avanzata di
un governo riformista che aveva unito stato sociale, servizi efficienti e
pianificazione urbanistica, ora è franata sotto il peso dell’acqua perché è da
tempo che aveva scelto di rappresentare gli interessi dei padroni delle
industrie, dell’agricoltura e degli allevamenti intensivi, delle banche, del
turismo e su di essi destinare risorse economiche.
Bonaccini chiede la nomina rapida di un commissario
straordinario per gestire questa ennesima emergenza: ma lui dov’è stato fino ad
oggi per prevenire quello che è successo?
Per le masse nessuna preoccupazione per la tutela, la messa in
sicurezza del territorio. Questo non è nell’agenda della politica borghese,
quella al servizio di padroni, petrolieri, finanzieri, palazzinari.
Le lotte che pure ci sono state nei territori, come a
Ravenna con l’opposizione al rigassificatore, sono espressione della volontà popolare
di prendere nelle proprie mani la propria salute e sicurezza, la difesa del
territorio. Ma questo non basta evidentemente.
C’è tutto un sistema contro fatto di interessi capitalistici
e scelte politiche da rovesciare, non c’è altra soluzione.
Altri profitti deriveranno pure dalla ricostruzione mentre
le masse vengono abbandonate a sé stesse.
Questa alluvione chiama a una lotta popolare dal basso
autorganizzata per la difesa dei territori, così come la lotta e l’unità delle
organizzazioni del sindacalismo di base e di classe per contrastare il piano “ristori”
del governo che pensiamo sia l’ennesimo provvedimento “di classe” che non sia a
beneficio dei lavoratori e delle loro famiglie, una lotta per tutelare il
reddito delle lavoratrici e lavoratori, per tutelare gli avventizi in
agricoltura, con la piena copertura salariale per le giornate di inattività e garantendo
reddito anche ai precari nei settori come quello del turismo e del lavoro
agricolo.
Così come non lasciamo fare tutto a loro, al governo centrale e locale, a loro che sono i principali responsabili di quest’ennesimo disastro, organizziamo comitati popolari per non delegare a governo nazionale e locale la mobilitazione per la messa in sicurezza di territorio e popolazione.
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