La “guerra dei chip”, così oramai viene chiamata da tutti, è
una di quelle guerre “commerciali” che “preparano” le guerre guerreggiate tra
paesi imperialisti come nel caso dell’Ucraina.
Secondo la rivista Limes di questo mese si tratta del “settore
industriale che si occupa di progettare e produrre circuiti elettronici
integrati e miniaturizzati, partendo da materiali che hanno proprietà
elettriche a metà tra i metalli conduttori e gli isolanti (semiconduttori ,
appunto)” che “necessità di ingenti investimenti”. Questo chip “parla anche
italiano”, dice Limes, ma a quanto pare non forte abbastanza da farsi sentire, perciò,
sia Limes che il Sole24Ore si fanno portavoce delle aziende che fanno appello agli
aiuti dello Stato per risolvere il problema della concorrenza internazionale,
sia “degli altri Stati europei (Francia, Germania, Paesi Bassi), degli Stati
Uniti (in particolare Silicon Valley) e dei paesi asiatici (Giappone, Corea del
Sud, Taiwan, Cina).
Per questo “Riportare in Europa – meglio in Italia – una filiera
di microchip è fondamentale” dice il quotidiano dei padroni di ieri, perché, vi
si legge: «Praticamente tutte le nostre produzioni contengono componenti
elettroniche: penso a cellulari, automobili, computer, lavatrici» spiega
Federico Giudiceandrea, fondatore e presidente di Microtec, che dal 1980 a Bressanone
definisce gli standard dell'industria del legno.”
“Microtec produce macchinari – tomografi, scanner - per la
scansione dei tronchi. Significa per ogni pezzo restituire un'immagine completa,
classificare densità e volume sotto la corteccia, descrivere ed esaminare
eventuali difetti e dare indicazioni sulle soluzioni di taglio migliori per
ottimizzare il risultato e ridurre gli sprechi: così migliora la
produttività e aumentano i ricavi e il valore della vendita.” E adesso
bisogna affrontare un’altra sfida: “produrre fronteggiando le difficoltà nella
fornitura dei microchip”.
«Sarebbe assurdo che l'Italia e l'Europa - dice il padrone della Microtec - perdessero
l'occasione di accorciare le catene di fornitura, riducendo i rischi. Nel
nostro caso i chip arrivano soprattutto da Taiwan, una delle molte aree
soggette a periodi di tensione. Il nostro ufficio acquisti ha più volte
cercato di alternative, ma allo stato attuale non ce ne sono».
«Abbiamo le competenze” per progettare le macchine, dice “ma
poi la produzione avviene in Estremo Oriente: serve personale altamente
specializzato, si tratta di componenti miniaturizzati e lì ci sono anche le
fonderie di silicio che forniscono il materiale necessario».
La questione del “personale altamente specializzato” è
sentita particolarmente, quindi non basterebbe, dice, riavviare una produzione in
Italia perché “occorre saper lavorare”.
E qui il capitalista ammette che per anni hanno progettato
con i “centri di ricerca … il cosiddetto cervello”, ma adesso, dopo anni di “delocalizzazione”
(negli altri paesi a basso costo di forza-lavoro) e licenziamenti, sono nei guai
perché hanno “delegato” le “fasi operative” perché “le braccia sono
fondamentali tanto quanto le menti, e non si improvvisano.” Insomma, “c’è un'intera
capacità produttiva da ricostruire».
Anche per il giornalista di Limes c’è un elenco di problemi
che ostacolano la conquista dei mercati e l’affermazione dell’industria del
Paese: “Il sistema italiano manca di competitività sotto questo profilo:
calo delle nascite, limiti del mondo universitario e della ricerca, stipendi
poco competitivi … emigrazione di professionisti nel resto d’Europa, non
bilanciata dall’attrazione di talenti stranieri.” Anche tutto questo è una “sfida”
che “chiama in causa il mondo delle imprese, quello universitario e le istituzioni.”
“Nella futuribile guerra dei semiconduttori – chiude l’articolo
il giornalista - l’Italia dovrà attrezzarsi, di “armi” e soprattutto di “soldati”.”
Come si vede la borghesia, difende i propri interessi in tutti i modi, è molto attenta allo sviluppo della produzione e ha le idee molto chiare sulla necessità della gigantesca ristrutturazione generale del sistema capitalista-imperialista. E questo esige che anche la classe operaia sia sempre più cosciente della necessità di approntare le proprie “armi” e i propri “soldati” per difendere fino in fondo i propri interessi di classe.
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