giovedì 13 ottobre 2022

pc 13 ottobre - Delocalizzazioni: la tendenza costante dei padroni porta all’estero in due anni quasi 600 aziende con migliaia di lavoratori licenziati

La delocalizzazione è uno dei modi che i padroni adottano per produrre a costi più bassi, normalmente costi relativi alla forza-lavoro, e fare così più profitti,. Si tratta di una tendenza costante nei paesi imperialisti che non prevede “crisi”!

In un articolo di una rivista che prova a fare meglio dei padroni gli interessi del “capitalismo italiano” e che riprende dati Istat ed Eurostat, vengono riportati alcuni dati che “certificano che nel periodo più recente esaminato, tra 2018 e il 2020, includendo quindi anche l’anno peggiore della pandemia,

hanno delocalizzato 594 aziende italiane con più di 50 addetti.”

594 aziende con più di 50 addetti significa migliaia di lavoratori coinvolti… ma questa, per chi fa gli interessi dei padroni, “non è un’emergenza”!

E “Dove portano i propri affari queste imprese?” si chiede lo scribacchino: “A quanto pare la maggioranza in altri Paesi UE. Nel caso italiano 409 aziende hanno scelto tale destinazione, mentre 117 altre realtà europee non appartenenti all’Unione.”

Questo dato la dice piuttosto lunga sugli interessi che i padroni del capitalismo-imperialismo italiano hanno in Europa! E siccome il fenomeno funziona anche al contrario, e cioè diversi Paesi hanno le loro industrie in Italia, si capisce quanto l’economia sia intrecciata! Come, in particolare, quella italiana e tedesca.

Le aziende che delocalizzano e che hanno una funzione produttiva, dice l’articolo, “sono186 aziende, il 31,3% del totale, mentre in Germania … 624, più della metà.”

E infatti un dato che accomuna Italia e Germania “è la preponderanza di aziende manifatturiere rispetto a quelle dei servizi tra le realtà che vengono spostate all’estero, o di cui viene trasferito qualche comparto. Sono 357 contro 238 nel nostro caso, e 631 contro 397 in quello della Germania. Altrove, per esempio nei Paesi Bassi, in Irlanda, in Finlandia, in Ungheria, prevalgono i servizi.”

“Quanti perdono il lavoro quando vi è una delocalizzazione? E chi lo perde?” continua l’articolo “Sotto questo aspetto tra il 2018 e il 2020 la situazione italiana appare molto meno tragica di quello che potrebbe apparire ascoltando i media. Sono state, secondo Eurostat, circa 4.600 le posizioni lavorative che hanno subito il trasferimento di tutte o alcune funzioni aziendali fuori dall’Italia.”

A parte il fatto di cambiare le definizioni per renderle costantemente neutre per cui i posti di lavoro, e quindi i lavoratori, si chiamano “posizioni lavorative”, definire 4.600 licenziamenti “situazione meno tragica” chiarisce il punto di vista del padrone!

Non solo ma quelli che perdono il lavoro in genere sono quelli che più difficilmente ne troveranno uno, perché: “A questo proposito vi è un elemento importante da sottolineare: in Italia la maggioranza di quanti perdono il proprio impiego, il 69,5%, è definito low skilled, a bassa specializzazione.” E per continuare con il paragone con la prima economia europea per prodotto interno lordo e capacità produttiva “Anche in Germania vi è una maggioranza di questo tipo”.

E infine, dopo che il giornalista chiama questo fenomeno “doloroso, e più doloroso in Italia che altrove, perché a essere colpiti sono soprattutto quanti faranno più fatica a ricollocarsi”, ricorda che non è utile fare leggi che allontanano i capitali e possono portare alla “fuga delle imprese” ma piuttosto “il nostro sistema economico beneficerebbe di politiche che rendano attrattivo il capitale umano e il sistema Paese” e cioè, si ripete sempre la stessa richiesta ai governi: più soldi per i padroni e meno leggi che “impediscono” gli investimenti che permettono grandi profitti!

[l'articolo citato su: linkiesta.it/2022/10/delocalizzazione-aziende-italia]

Nessun commento:

Posta un commento