di David Lifodi
Dal prossimo 21 novembre, in Qatar, si terrà una delle edizioni più controverse della “Coppa del Mondo” di calcio.
Da un lato il gran numero di operai morti nei cantieri per la costruzione degli stadi e, dall’altro, le violazioni dei diritti umani che avvengono quotidianamente nel piccolo e ricchissimo stato del Golfo persico non sono servite a far recedere i vertici del calcio mondiale dall’organizzare i mondiali nel paese governato dalla famiglia al-Thani.
Nel suo libro Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento, Riccardo Noury ha indagato in particolare sugli aspetti legati allo sportwashing e al whitewashing, il sistema utilizzato da molti regimi autoritari per ripulire la loro immagine a livello internazionale, a partire da un dato incontrovertibile: il calcio professionistico è vorace.A sottolinearlo è il giornalista e radiocronista sportivo Riccardo Cucchi che, nella sua prefazione, sottolinea che lo sport dovrebbe essere esportatore di valori e ricorda come in un’edizione di Radio Anch’io sport, curata per Radio 1, già diversi anni fa, avesse denunciato le morti di operai provenienti dall’Asia e impiegati nei cantieri per la costruzione degli stadi in condizioni di vera e propria schiavitù.
Sempre Cucchi evidenzia le contraddizioni tra il lavoro del settore della Responsabilità sociale del calcio istituito dall’Uefa per il periodo 2021-2030, all’insegna dell’uguaglianza, della lotta al razzismo, del benessere e salute, solidarietà e diritti e quella che, innegabilmente, si appresta ad essere una Coppa del Mondo decisamente sanguinosa.
Definito da Noury come la «casa assai precaria di oltre due milioni di lavoratori e lavoratrici migranti, provenienti dall’Asia e dall’Africa, che hanno pagato grandi somme alle agenzie di impiego – spesso
illegali – per trovare lavoro nel settore delle costruzioni, dell’ospitalità, della logistica e dell’assistenza domestica», il Qatar ha aggirato con facilità l’articolo 2 del Programma di cooperazione sottoscritto nel 2017 con l’International Labour Organization, in base alla quale, in favore dei lavoratori, avrebbe dovuto essere applicata una politica di sicurezza e salute, un registro degli incidenti sul lavoro e delle malattie occupazionali.Astutamente, gran parte dei decessi sono stati stati classificati come “cause naturali”, “sconosciute” o “arresto cardiaco”, senza alcun riferimento alle condizioni di lavoro. Eppure, nota Noury, se così facendo il Qatar ha evitato di farle passare come “morti sul lavoro”, possono essere senza dubbio definite come “morti di lavoro”.
E così, di fronte agli operai costretti a lavorare con temperature altissime, sette giorni su sette per dodici ore, la Fifa si è voltata dall’altra parte, mentre grazie a questo stratagemma le famiglie dei lavoratori deceduti non hanno potuto nemmeno chiedere un risarcimento. È stata Amnesty International a invitare la Fifa a risarcire con almeno 440 milioni di dollari le famiglie degli operai.
E ancora, è stato grazie al rapporto di Amnesty International “Verifica 2021: a un anno dai Mondiali di calcio 2022”, che è emersa la storia di sei lavoratori partiti da Bangladesh e Nepal verso il Qatar deceduti in circostanze mai chiarite.
Noury descrive bene il sistema di schiavitù che costringe i lavoratori a tacere denunciando il sistema della kafala, un meccanismo capestro che obbliga gli operai giunti in Qatar a dover accettare la confisca del passaporto e l’autorizzazione, vincolante, a lasciare il paese, attraverso un “certificato di non obiezione”.
A questo proposito, è significativo quanto accaduto in relazione alla costruzione e alla consegna dello stadio “al-Bayt”, di cui era responsabile Aspire Zone Foundation (Aspire), un’organizzazione
finanziata dal governo del Qatar. Affidata l’edificazione a Gsic-Joint Venture, che nel 2017 ha subappaltato a Qatar Meta Coast la costruzione di alcune parti dell’impianto, quest’ultima si è adoperata per assumere un centinaio di operai migranti che, da agosto 2019 a marzo 2020 non sono stati più pagati.
In questo caso, evidenzia Noury, al termine dei Mondiali lo stadio diventerà una struttura di Aspetar, società di servizi di medicina sportiva che ha una partnership con il Paris Saint-Germain.
Qui emerge un altro aspetto poco edificante legato alle proprietà di grandi club e non solo. Qual è il tifoso che non sogna di vedere la sua squadra del cuore acquistata da uno sceicco del Qatar o dell’Arabia saudita per vederla ai vertici del calcio? Il rovescio della medaglia, in questo caso, è rappresentato dai crescenti profitti sulla pelle dei lavoratori. Da due anni, anche la nostra finale di Supercoppa italiana si gioca in Arabia saudita per volere della Lega Calcio con l’accondiscendenza delle squadre italiane che la disputano.
Il compito del giornalista è quello di svolgere il ruolo di sentinella, ha ricordato Riccardo Cucchi: sarebbe bello se la stampa sportiva (e non solo), oltre a raccontare l’esito delle partite e le gesta dei calciatori, parlasse di questi Mondiali insanguinati. Lo deve ai lavoratori migranti e alle loro famiglie.
Nessun commento:
Posta un commento