(Da je so' pazzo)
Dopo svariati anni da quando avevi fatto la domanda per il
“portalettere”, il postino sul motorino, le Poste ti chiamano e ti
dicono di andare a fare dei test in sede un venerdì di maggio. Quando
entri nell'enorme palazzo delle poste a piazza Matteotti già capisci
dove stanno quelli che si trovano nella tua stessa situazione. Sono in
un angolo ad aspettare, con delle espressioni che sono tra lo speranzoso
e l'arrabbiato. Si comincia a parlottare. Ci fanno salire in un ufficio
e ci fanno accomodare, in attesa di non si sa bene cosa, e ci fanno
compilare un modulo con i propri dati. Ci si comincia a conoscere perchè
il tempo di attesa è tanto. Solo due hanno 25 anni, gli altri dai 30
anni a salire. Tutti plurilaureati: infatti si scopre che il requisito
minimo per essere chiamato per fare solo 3 mesi (contratto a tempo
determinato) il portalettere era avere una laurea con almeno 102\110. I
master e i corsi post -laurea abbondano quando compiliamo i moduli.
Ognuno comincia a raccontare qualche aneddoto. Tutte brutte storie.
Brutte a raccontarle e brutte a sentirle. Colloqui fatti alla Pirelli di
Milano finiti con un “ ci dispiace ma lei è troppo qualificato per
questo lavoro” e centinaia di euro buttati per arrivarci. Storie di
contratti a progetto pezzotti, stage gratuiti e lavoro a nero
sottopagato e super sfruttato. Storie di precariato, altro che
quell'essere flessibili che i politici ci raccontano. Seduti a quel
tavolo, in attesa di un lavoro per soli tre mesi, sembravamo i
personaggi del romanzo di Agatha Christie “10 piccoli indiani” dove i
protagonisti, perfetti sconosciuti rinchiusi su un'isola, cominciano a
morire uno alla volta. E morire, mi direte, è una parola un poco
azzardata. Ma invece è la parola giusta. Perchè arrivare a 30-35 anni,
avendo fatto sacrifici per tutta la vita e non riuscire a trovare un
lavoro, che sia anche il portalettere per soli 3 mesi, non è
assolutamente bello. E' mortificarsi nel profondo. Non avere quel minimo
di stipendio per potersi realizzare, per esprimersi come essere umano,
in fin dei conti è proprio questo: “non vivere”. E a differenza dei
protagonisti del libro, che morivano perchè ognuno era colpevole di
omicidio, noi non abbiamo nessuna colpa. Se non quella di vivere in un
sistema economico malato che in nome del guadagno sfrenato sfrutta la
stragrande maggioranza delle persone per arricchire una minoranza."
Beh, noi abbiamo poco da aggiungere a questa storia di vita vissuta.
Perchè ormai ci resta ben poco da fare. Siamo la maggioranza.
Riconosciamoci, organizziamoci e lottiamo insieme. Perchè da soli siamo
deboli e attaccabili. Ma uniti siamo una forza e possiamo davvero
ottenere tante vittorie e riprenderci tutto quello, sogni compresi, che
ci hanno tolto!
#poterealpopolo
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