Qualche giorno fa il
presidente della repubblica Essebsi aveva annunciato che avrebbe
fatto un discorso alla nazione ieri, mercoledi 10 maggio alle ore
11:00.
Molti pensavano a diverse
opzioni come la destituzione dell'attuale governo Chahed che fa acqua
da tutte le parti con il dinaro tunisino in continua svalutazione,
rivolte e scioperi nei quattro angoli del paese e crisi interna con
alcuni ministri licenziati dallo stesso Chahed nel difficile
equilibrio della compagine governativa tra i suoi due principali
esponenti: Nidaa Tunes (rappresentante l'ancient regime) ed Ennahda (
la branca tunisina del movimento dei Fratelli Musulmani).
Un'altra opzione temuta
era una svolta presidenzialista con l'assunzione di più poteri da
parte dello stesso Essebsi, ipotesi prevista dalla nuova Costituzione
del 2014 e che prevede come passo
preliminare che il presidente si rivolga alla nazione previa consultazione con il primo ministro e con il presidente del parlamento.
preliminare che il presidente si rivolga alla nazione previa consultazione con il primo ministro e con il presidente del parlamento.
Infine il tanto atteso
discorso alla nazione si è sviluppato con un lungo, noioso e
paternalista preambolo che ha preso di mira i manifestanti e gli
scioperanti che da gennaio sono praticamente nelle strade
ininterrottamente.
La conclusione del
discorso è alquanto grave e rappresenta un'ulteriore svolta
autoritaria del paese.
Essebsi ha annunciato che
non saranno più tollerati blocchi alla produzione delle risorse
nazionali del paese (sic!) "Cosa abbiamo noi? Il petrolio, il
gas, i fosfati, il turismo e l'agricoltura con una grande produzione
di olio d'oliva", dopo aver elencato questi settori ha
annunciato che d'ora in poi sarà l'esercito a presidiare questi siti
produttivi.
La reazione dell'esercito
è stata immediata, per bocca del suo portavoce ha annunciato che gli
ordini del presidente (che è anche il comandante in capo
dell'esercito) saranno eseguiti, ma subito dopo un colonnello in
pensione Mokhtar Benasser ha rilasciato una dichiarazione inquetante:
"noi dell'esercito non abbiamo né gas lacrimogeni né gas
urticanti, abbiamo armi da fuoco".
Nella sua paternale
Essebsi ha aggiunto che non si tratta di colpire il diritto di
manifestare ma che è consentito farlo nel rispetto della legge
(sic!) blocchi di fabbriche e alla produzione dei settori strategici
non saranno più tollerati.
In particolare nelle
ultime settimane vi sono stati blocchi nei pozzi petroliferi di
Tataouine nel sud del paese (vedi nostri precedenti report su questo
blog) nelle miniere di fosfati di Gafsa e alla fabbrica di cavi
Coreplast a Kef.
Le reazioni sono state da
più parti negative, molti hanno sottolineato il fatto che l'esercito
debba essere mobilitato solo contro minacce esterne, per preservare
le frontiere e per contrastare i gruppi armati islamisti. Tra l'altro
sui social network alcuni militari per protesta hanno scritto
dichiarazioni di proprio pugno nell'anonimato contrarie a questa
decisione fotografandole con parti della loro divisa e pubblicandole
in rete.
A Kebili (governatorato
di Douz) una marcia di protesta contro il discorso presidenziale, è
stata indetta il giorno stesso ma, soprattutto, il principale
focolaio di resistenza nel paese, i manifestanti di Tataouine hanno
subito convocato un'assemblea popolare in centro città alla fine
della quale è stato rilasciato un comunicato che respinge in toto le
minacce di intervento dell'esercito ed esprime la volontà di
continuare con i blocchi stradali nella regione. Si sottolinea
inoltre che se il presidente fosse veramente preoccupato delle
risorse nazionali, non le svenderebbe alle compagnie petrolifere
straniere che operano a Tataouine, stesso discorso per quanto
riguarda i fosfati.
Come dare torto a questa
analisi?
Da quando si è
insediato, l'attuale governo non ha fatto altro che stringere accordi
con la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale
accettandone le ricette di austerity, di penetrazione del capitale
straniero sotto forma di IDE (investimenti diretti all'estero) e in
materia di politica monetaria di svalutazione della valuta nazionale
seconda la ricetta di economia classica che cio' aumenterebbe le
esportazioni e quindi diminuirebbe il deficit della bilancia dei
pagamenti tra esportazionie importazioni. Ma questo in realtà ha
provocato un aumento dell'inflazione dei beni di prima necessità che
contemporaneamente tendono a non essere più calmierati da prezzi di
stato, o per lo meno in misura sempre minore. Cio' significa che il
potere d'acquisto dei tunisini è diminuito ulteriormente
impoverendoli.
Mentre si discuteva di
tutto cio' nella regione di Grande Tunisi e in particolare nel
governatorato di Manouba, a un giovane ambulante veniva sequestrata
la merce di fronte alla sede del municipio della città di Tebourba.
Quest'ultimo poco dopo, tornato con della benzina ha provato a darsi
fuoco. Subito è scoppiata una rivolta nelle strade della cittadina
vicina la capitale con scontri con la polizia.
Dopo quasi 7 anni dalla
rivolta popolare, eventi come questi che ricordano l'episodio di
Mohamed Bouazizi, che diedero vita alla rivolta stessa, si ripetono.
Il discorso presidenziale
di ieri rappresenta un nuovo passo che allontana il paese delle
conquiste ottenute dalla rivolta popolare del 2010/2011. Lo stato di
polizia torna sempre più pressante invadendo la società tunisina
con continui abusi impuniti e ritorsioni, da segnalare che nel
discorso presidenziale Essebsi ha anche difeso l'operato delle forze
dell'ordine e "ha invitato" a non criticarne l'operato;
intanto si susseguono arresti arbitrari, tra gli ultimi casi
eclatanti il direttore del giornale di inchiesta online "nawaat.org",
un giovane che indossava una maglietta a detta del giudice che lo ha
condannato offensiva verso le forze dell'ordine, e numerosi sono gli
arresti contro gli omosessuali e le donne che escono la sera con le
amiche oggetto di molestie e arresti arbitrari da parte della
polizia.
Davanti a questa
situazione appare fuorviante che alcune forze politiche progressiste
sia tunisine che straniere (alcune delle quali resiedenti in Tunisia
e facenti parte di ong o testate giornalistiche indipendenti) ancora
si riferiscano alla fase politica attuale del paese con la locuzione
"transizione democratica" (ammesso e non concesso che ci
sia mai stato l'inizio di tale transizione).
È il caso di alcuni
italiani residenti che sotto il nome di "Tunisia in Red",
in occasione di questo discorso presidenziale, in una breve nota
continuano a parlare di "momento più difficile e pericoloso per
il suo (della Tunisia n.d.a.) percorso democratico".
Quale percorso
democratico?
Le stesse elezioni
dell'Assemblea Costituente e la Costituzione stessa (osannata non a
caso dai principali paesi imperialisti e organizzazioni
internazionali loro espressione) rappresentano un tentativo di
normalizzazione degli esiti della rivolta popolare del 2010-2011 e di
progressiva restaurazione.
Anche in questa occasione
"Tunisia in Red" si scalda sulla questione delle prossime
elezioni municipali che si dovrebbero tenere in dicembre e scrive:
"Le
decisioni di Essebsi vengono prese in un momento in cui l’ISIE,
l’organismo costituzionale che si occupa di organizzare e seguire
le elezioni, vive un momento delicato, all’indomani delle
dimissioni del suo Presidente e di altri membri e collaboratori. Solo
qualche giorno dopo aver proclamato finalmente la data delle prossime
elezioni municipali (17 dicembre 2017) , Chafik Sarsar, presidente
dell’ISIE ha annunciato le proprie dimissioni. Qualche minuto fa ha
finito la sua audizione presso la Commissione parlamentare e ha
rivelato gravi interferenze nel lavoro dell’Instance e violazioni
della privacy di alcuni suoi componenti."
Se
è giusto e sacrosanto denunciare l'operato di alcuni apparati dello
Stato che intendono colpire alcuni orpelli della democrazia borghese
come per l'appunto l'ISIE (che è un altro apparato dello stesso
Stato in ogni caso), non si puossono riporre illusioni elettoraliste,
da cretinismo parlamentare per l'appunto, in queste elezioni
municipali, pensando che esse possano produrre cambiamenti materiali
positivi per le masse. Come in Italia questo approccio riformista
spande illusioni ed è ostacolo al cambiamento reale, lo abbiamo
visto recentemente con il fenomeno Grillo o con alcune liste
elettorali di "sinistra" appoggiate da questo tipo
esponenti della "sinistra radicale". Le stesse forze
rivoluzionarie della sinistra di classe tunisina (che sicuramente non
sono rappresentate dal Fronte Popolare che invece è prossimo alle
posizioni dei nostri italiani di T in R) non si fanno illusioni
sull'attuale ipotetica "democrazia" tunisina che al
contrario sembra sempre più un misto di ancient regime con elementi
di integralismo religioso moralista tipico dei paesi del Golfo che
si traduce in ulteriore repressione giustificata dalla difesa della
"morale musulmana".
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