Aggiornamento ore 9:00: inizierà tra poco un'assemblea alla tendopoli
allestita stanotte davanti all'ex-mobilificio Aiazzone per decidere come
prendere posizione. La morte di Ali non è una tragica fatalità ma l'infame
conseguenza del sistema italiano di "accoglienza" dei migranti e
dell'ipocrisia delle istituzioni davanti ai senza casa. Mai più morti come
questa!
Alì Moussa,
rifugiato politico somalo, è morto durante l'incendio dell'ex-Aiazzone.
Si era salvato dalle fiamme che hanno distrutto la
struttura, ma poi ha deciso di rientrare dentro. Non era pazzo. E' rientrato
perchè voleva portare in salvo i suoi documenti. Quei pezzi di carta a cui la
vita di ogni migrante è appesa. Pezzi di carta da sudare per ottenere il
proprio diritto ad esistere qui in Italia.
Alì Moussa è stato ucciso dalle leggi dello Stato
Italiano, dagli arbitrari ritardi e dinieghi delle questure, dal ricatto continuo
che viene esercitato nei confronti dei migranti attraverso la minaccia
della clandestinità. Noi questo non lo dimenticheremo. La stampa aspettava un morto per accorgersi di come sono costretti a vivere nella tanto decantata “culla del rinascimento” i rifugiati. La stampa può pure fingere di non sapere. Ma le istituzioni no. Queste sanno benissimo da due anni che all'interno dell'ex-mobilificio, in condizioni più che precarie, vivevano più di cento richiedenti asilo somali. Gli stessi che hanno sgomberato dall'occupazione di via Slataper. Gli stessi che hanno rimandato in mezzo ad una strada dopo i soliti tre mesi di “progetto”. Ali Moussa è stato ucciso da un sistema dell'accoglienza finalizzato ad arricchiere le cooperative che lo gestiscono. Che l'unica “integrazione” che offre è quella del lavoro gratuito per i profughi tanto sponsorizzato dal “socialista” (!) Enrico Rossi. Un sistema che usa-e-getta i migranti, come ha fatto con Ali Moussa. Noi questo non lo dimenticheremo.
della clandestinità. Noi questo non lo dimenticheremo. La stampa aspettava un morto per accorgersi di come sono costretti a vivere nella tanto decantata “culla del rinascimento” i rifugiati. La stampa può pure fingere di non sapere. Ma le istituzioni no. Queste sanno benissimo da due anni che all'interno dell'ex-mobilificio, in condizioni più che precarie, vivevano più di cento richiedenti asilo somali. Gli stessi che hanno sgomberato dall'occupazione di via Slataper. Gli stessi che hanno rimandato in mezzo ad una strada dopo i soliti tre mesi di “progetto”. Ali Moussa è stato ucciso da un sistema dell'accoglienza finalizzato ad arricchiere le cooperative che lo gestiscono. Che l'unica “integrazione” che offre è quella del lavoro gratuito per i profughi tanto sponsorizzato dal “socialista” (!) Enrico Rossi. Un sistema che usa-e-getta i migranti, come ha fatto con Ali Moussa. Noi questo non lo dimenticheremo.
In due anni, le istituzioni si sono ricordate dei
rifugiati dell'ex-aiazzone solo quando si è trattato di portare operai, ruspe e
reparti di polizia in assetto anti-sommossa per sabotare l'allaccio
dell'energia elettrica degli occupanti. Per rendere ancora più precaria (e pericolosa)
la fornitura, oltre che la vita degli abitanti. Noi questo non lo
dimenticheremo. Alì Moussa è stato ucciso da uno Stato – quello dell'art.5 e
degli sgomberi - che ha deciso di fare la guerra a chi è costretto ad occupare
invece di fare quello che dovrebbe: garantire una casa e una vita dignitosa a
tutti.
Un uomo è morto, come nessuno mai dovrebbe morire. Da
parte nostra tanta tristezza, indignazione rabbia. Altrettanta la convinzione
che sono questi i momenti in cui c'è bisogno di schierarsi. Perchè non accada
mai più.
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