(Articolo della Repubblica)
i nuovi casi, accertati dopo un lungo processo di
verifiche ed esami, ogni anno sono oltre 400. Con cause che, almeno sei
volte su dieci, sono riconducibili all’ambiente di lavoro. Mentre
secondo gli esperti entro il 2029 si arriverà alla diagnosi, in totale,
di oltre 11.200 casi lombardi, partendo dal 2000. Sono i casi di
mesotelioma maligno, legati all’esposizione ad amianto, in Lombardia:
una malattia che si manifesta a distanza di decenni dall’aver respirato
il minerale. Che oggi uccide ancora, nonostante le bonifiche siano
aumentate molto: “Se nel 2006 – racconta Susanna Cantoni, che dirige il
dipartimento di prevenzione medica dell’Ats di Milano – i piani di
bonifica che ci venivano presentati erano 728, nel 2015 sono diventati
1460. E altrettanti sono stati nel 2016: in dieci anni, il numero è
raddoppiato, grazie a una maggiore sensibilità sul tema”.LE INCHIESTE Amianto, la strage dimenticata
Tra Milano e hinterland, negli ultimi 15 anni sono stati rimosse oltre 49mila tonnellate di amianto. Il
lavoro non è finito: tra la città e la cerchia dell’hinterland, ci sarebbero ancora almeno un milione e mezzo di metri quadri che contengono amianto e che devono essere bonificati. Un’enormità, insomma. Che si rispecchia nei dati del Registro regionale dei mesoteliomi: “Il nostro lavoro – spiega Carolina Mensi, ricercatrice del Policlinico e responsabile del Registro – è accertare la diagnosi e se il caso sia effettivamente da correlare a un’esposizione professionale, o extra-professionale. Si tratta di un processo molto lungo: gli ospedali ci segnalano tutti i casi. E noi, per ognuno, avviamo delle ricerche che proseguono nel tempo. Per questo i numeri, soprattutto degli ultimi tre-quattro anni, non sono ancora definitivi: le valutazioni di completezza devono ancora essere finite”.
Finora, il Registro ha accertato per il 2013, 472 casi di mesotelioma
maligno in Lombardia. Per il 2014, al momento ha contato 430 casi,
mentre per il 2015 ne considera 408. Per il 2016, invece, il lavoro è
appena all’inizio: finora, le ricerche sono state chiuse solo su 191
casi. Ma almeno altrettanti dovranno essere esaminati. I numeri, quindi,
sono destinati a salire. In tutto, dal 2000 (anno di avvio del
Registro) a oggi, i casi accertati sono stati 5.943: “Stimiamo però –
spiega Mensi – di arrivare, entro il 2030, a 11.274 casi, con un picco
concentrato tra il 2019 e il 2020, seguito poi da una lenta decrescita”.
Lo scopo del Registro è però anche individuare nuove possibili cause della malattia. Con indagini da veri e propri detective: per ogni malato, i ricercatori vanno a ritroso nel tempo, per scoprire se nello stesso ambiente di lavoro sono stati registrati altri casi. Fanno interviste e ricerche sugli strumenti utilizzati nella fabbrica, valutano i materiali con cui l’ambiente di lavoro era stato costruito. Sono stati così scoperti casi in ambienti finora mai presi in considerazione. “Abbiamo individuato – spiega Mensi – diversi casi tra ex lavoratori delle industrie tessili, dove abbiamo scoperto che l’amianto veniva utilizzato per insonorizzare gli ambienti, visto che i macchinari sono molto rumorosi. E poi nei freni delle macchine e come isolante termico, per mantenere il calore e l’umidità”. E ancora: sono stati individuati diversi casi, in collaborazione con i servizi di medicina del lavoro delle Ats, “in un oleificio alle porte di Milano, ora chiuso, dove si produceva olio di semi con estrazione a caldo – dice Mensi – E poi in un’azienda in provincia di Como, che produceva termostati, al cui interno venivano montati interruttori in amianto: anche questi casi sono stati inquadrati come malattie professionali”.
Tra Milano e hinterland, negli ultimi 15 anni sono stati rimosse oltre 49mila tonnellate di amianto. Il
lavoro non è finito: tra la città e la cerchia dell’hinterland, ci sarebbero ancora almeno un milione e mezzo di metri quadri che contengono amianto e che devono essere bonificati. Un’enormità, insomma. Che si rispecchia nei dati del Registro regionale dei mesoteliomi: “Il nostro lavoro – spiega Carolina Mensi, ricercatrice del Policlinico e responsabile del Registro – è accertare la diagnosi e se il caso sia effettivamente da correlare a un’esposizione professionale, o extra-professionale. Si tratta di un processo molto lungo: gli ospedali ci segnalano tutti i casi. E noi, per ognuno, avviamo delle ricerche che proseguono nel tempo. Per questo i numeri, soprattutto degli ultimi tre-quattro anni, non sono ancora definitivi: le valutazioni di completezza devono ancora essere finite”.
Lo scopo del Registro è però anche individuare nuove possibili cause della malattia. Con indagini da veri e propri detective: per ogni malato, i ricercatori vanno a ritroso nel tempo, per scoprire se nello stesso ambiente di lavoro sono stati registrati altri casi. Fanno interviste e ricerche sugli strumenti utilizzati nella fabbrica, valutano i materiali con cui l’ambiente di lavoro era stato costruito. Sono stati così scoperti casi in ambienti finora mai presi in considerazione. “Abbiamo individuato – spiega Mensi – diversi casi tra ex lavoratori delle industrie tessili, dove abbiamo scoperto che l’amianto veniva utilizzato per insonorizzare gli ambienti, visto che i macchinari sono molto rumorosi. E poi nei freni delle macchine e come isolante termico, per mantenere il calore e l’umidità”. E ancora: sono stati individuati diversi casi, in collaborazione con i servizi di medicina del lavoro delle Ats, “in un oleificio alle porte di Milano, ora chiuso, dove si produceva olio di semi con estrazione a caldo – dice Mensi – E poi in un’azienda in provincia di Como, che produceva termostati, al cui interno venivano montati interruttori in amianto: anche questi casi sono stati inquadrati come malattie professionali”.
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