(da Il Manifesto del 22.3.14) - Tutti i paesi occidentali, non solo quelli europei, hanno
direttamente o indirettamente interessi energetici fortissimi
in Russia. Ci sono contratti lucrosi di joint ventures con la Shell,
la BP, varie compagnie tedesche, Eni, Statoil, Total, ma anche con
grosse Big americane come Chevron ed Exxon Mobil.
Tutte stanno investendo sulle frontiere artiche russe insieme
a compagnie cinesi, soprattutto per estrarre gas da esportare. Se la
tensione tra occidente e Mosca va avanti al calor rosso, i governi
occidentali dovrebbero applicare sanzioni alla Russia come hanno
fatto all’Iran.
Intanto, per capire il filo delle strategie di terreno che si
stanno sperimentando intorno alla cerniera ucraina, bisogna
partire dallo scenario in cui il flusso di gas russo si blocca per
vari motivi e vedere quali effetti alternativi ne discendono.
Il flusso può bloccarsi per varie ragioni che non dipendono da una
volontà espressa di Mosca visto che ne perderebbe in profitti
finanziari importanti.
Il primo motivo è quello del debito contratto da Naftegas per
forniture di gas pregresse: ma l’Unione europea si è resa
disponibile a contribuire con 500 milioni di euro e forniture
dirette (sic!) per ridurre le quote di dipendenza energetica di Kiev
da Mosca. Difficile capire come, visto che superano i 30 miliardi di
metri cubi/anno. Dunque Mosca potrebbe continuare le forniture
all’Ucraina, anche per non abbandonare le regioni orientali
russofone che hanno industrie ad alta intensità energetica (che
a medio termine verranno sicuramente smantellate su indicazioni
del Fmi). Però quelle all’Europa potrebbero essere sospese per ragioni
di sicurezza: infatti il gasdotto si immette sul territorio
comunitario in quelle regioni occidentali che sono le più ostili
a Mosca.
Lo dimostra il fatto che è partita una minaccia esplicita del
gruppo russofobo di estrema destra Praviy Sektor: «Distruggeremo
le pipeline e priveremo i nostri nemici di un’importante fonte di
denaro». In questo caso si delineano tre categorie di clienti
europei del gas russo.
I clienti importanti di Mosca dell’Europa nord occidentale
(Germania, Olanda, Belgio, Danimarca, Finlandia, Svezia, Gran
Bretagna) non hanno niente da temere. Per Mosca non è un problema
dirottare sul gasdotto North Stream via Mar Baltico le quantità
supplementari che passano oggi dall’Ucraina.
I paesi del centro Europa analogamente potranno usufruire di
quantità aggiuntive via North Stream attraverso l’uso inverso dei
gasdotti di Polonia, Ungheria e Slovacchia (organizzato dopo la
crisi del 2009).
Su questo circuito però si inserisce un altro fattore, quello
delle forniture Eu promesse all’Ucraina. Che paradossalmente
trattano gas russo immagazzinato come scorte commerciali in
Germania e che la compagnia tedesca Rwe sarebbe disponibile
a movimentare. Il connettore di tutte le operazioni di «reverse
flow» diventerebbe la Slovacchia.
Meno felici le alternative di approvvigionamento per il terzo
gruppo di Paesi clienti di Mosca: Austria, Ungheria, Grecia, Italia,
Balcani orientali ed occidentali.
Per essi erano previste due soluzioni: una immediata in caso di
emergenza, rappresentata dal gasdotto russo tedesco Opal (una
bretella sul territorio tedesco) dal Baltico alla frontiera della
repubblica Ceca. Questo permette di portare il gas, sempre via
Slovacchia allo snodo ed hub austriaco di Baumgarten che serve il
mercato sud europeo. Gazprom ha richiesto di poter usufruire
dell’intera capacità del gasdotto Opal per garantire forniture
consistenti sopratutto ai maggiori consumatori, tra cui l’Italia
che nel 2013 ha importato più di 25 miliardi di metri cubi mentre le
importazioni dalla Libia si sono praticamente azzerate.
L’altra soluzione, a partire dal 2016, è rappresentata dal
gasdotto russo South Stream di cui sono state avviate le commesse di
forniture dei tubi e di realizzazione sottomarina nel Mar Nero
(Saipem).
Peccato che la Commissione Europea abbia messo entrambe le
possibilità a bagnomaria il 10 marzo scorso con varie motivazioni
in quanto non rispettano le regole comunitarie della libera
concorrenza.
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