Il
movimento popolare contro il governo Erdogan e il suo
liberal-islamismo autoritario è tornato ieri a occupare le piazze
turche dopo una relativa pausa. E lo ha fatto sull’onda della maxi
inchiesta che – pur essendo riconducibile allo scontro di potere
interno allo stesso Akp – ha messo a nudo esattamente
quell’intreccio perverso tra politica, criminalità e speculazione
che il movimento a difesa del Gezi Park di Istanbul aveva denunciato
dalla fine di maggio, investito da una repressione selvaggia che ha
lasciato sul terreno numerosi morti e feriti ed ha riempito le
carceri già stipate di dissidenti politici, militanti dei gruppi
armati curdi ma anche sindaci, parlamentari, giornalisti,
intellettuali, ragazzini.
Anche
ieri le forze di sicurezza agli ordini del governo non hanno mancato
di far sentire la propria asfissiante presenza. A farne le spese
anche le decine di migliaia di persone radunatesi sulla sponda
asiatica di Kadikoy, bastione della Istanbul laica e progressista,
dove ieri sono arrivati in tantissimi per partecipare ad un
appuntamento – all’insegna dello slogan ‘Istanbul è nostra’
- convocato da parecchie settimane, da ben prima che finissero in
manette esponenti politici, imprenditori e banchieri accusati di
corruzione.
Non
sono mancati a Kadikoy canti e slogan contro la cementificazione
delle aree verdi interessate dai progetti di gentrificazione di
Erdogan e dei suoi più stretti collaboratori, così come le feroci
critiche al terzo aeroporto e al terzo ponte di Istanbul, oppure
all’autostrada che il governo vuole far passare all’interno del
campus dell’Università Tecnica del Medio Oriente di Ankara. Tutti
progetti faraonici per lo più inutili e costosissimi oltre che
dannosi il cui scopo è ingrassare le lobby che sostengono l’ascesa
del premier alle prese ora anche con una fronda interna alla sua
stessa maggioranza. La piazza – dove abbondavano anche migliaia di
attivisti dei partiti di sinistra e delle organizzazioni sociali
protagoniste della rivolta estiva – ha chiesto a gran voce le
dimissioni del governo, la punizione dei responsabili della feroce
repressione contro le proteste dei mesi scorsi e lo stop a tutte le
‘grandi opere’ che stanno cambiando in peggio la qualità della
vita in una città che sta rapidamente raggiungendo i 20 milioni di
abitanti.
Contro
la festante ma determinata protesta la polizia è intervenuta
pesantemente con una pioggia di lacrimogeni e con i consueti getti
d’acqua a pressione sparati dagli idranti montati sui Toma e sugli
Scorpioni che da mesi intervengono ogni volta che lavoratori, donne,
attivisti curdi o della sinistra turca tentano di manifestare nel
centro della metropoli sul Bosforo. Ma alcuni dei settori della
piazza erano pronti a resistere alla prevedibile repressione e quando
sono cominciati gli attacchi dei reparti antisommossa i dimostranti
hanno eretto barricate in più parti del centro asiatico della città,
e gli scontri sono durati per molte ore, fino a notte.
Mentre
migliaia di turchi scendevano in piazza in altre città del paese,
nelle regioni del sud al confine con la Siria la giornata è stata
caratterizzata da una forte protesta contro il muro che il governo
dell’Akp sta facendo erigere sulla frontiera. In particolare nella
città curda di Nusaybin, a pochi passi dal confine, a migliaia hanno
assaltato la barriera che divide gli abitanti dai loro vicini di
Qamishli (città curda in territorio siriano). Mentre alcuni
parlamentari del Partito della Pace e della Democrazia intervenivano
dal palco, migliaia di persone si sono diretti in corteo verso ‘il
muro della vergogna’ ed hanno cominciato a colpirlo con picconi,
bastoni e pietre, scatenando la reazione dei reparti antisommossa.
Oltre
a rafforzare la repressione contro le dimostrazioni popolari Erdogan
sta continuando la sistematica opera di rimozione dai loro incarichi
di alcuni dei responsabili dell’inchiesta, coordinata dalle procure
di Istanbul e Ankara, che ha portato all’arresto di decine di
esponenti politici – tra cui i figli di tre ministri – di
banchieri, imprenditori e funzionari legati al suo entourage. Ieri il
premier ha rimosso i capi di ben 25 dipartimenti di Stato, portando
cosi' il totale a circa una settantina in appena quattro giorni. Tra
coloro che sono stati espulsi dal corpo, destituiti o trasferiti ad
altro incarico spiccano i nomi del generale Huseyin Capkin,
comandante della polizia ad Istanbul, e di Ertan Ercikti,
responsabile dell'ordine pubblico nel municipio centrale di Fatih,
distretto europeo della citta' sul Bosforo il cui sindaco, Mustafa
Demir, è finito in manette nei giorni scorsi ed è stato rimesso in
libertà dopo un lungo interrogatorio.
rigiriamo da contropiano
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