Quanto è accaduto a Taranto nei giorni scorsi, e in particolare venerdì 30 marzo, non è solo una attualizzazione della contraddizione: difesa dell’ambiente/difesa dei posti di lavoro, ma una scesa in campo aperto del fascismo padronale che usa mezzi eversivi per imporre i suoi interessi e la sua politica.
Chi legge i fatti come un contrasto tra lavoratori da un lato e cittadini, studenti, ambientalisti dall’altro, o chi esprime posizioni di sapore moralista sugli operai, chi enfatizza la manifestazione Ilva del 30 marzo, non ha capito ancora cosa è oggi il fascismo padronale.
Allora partiamo dai fatti.
Già lunedì 26 avvengono cose strane per gli operai. Vi è una convocazione da parte dei sindacati, con il beneplacido aziendale, di un assemblea di 4 ore con presidio sotto la prefettura sulla questione ambiente/lavoro. “Non è mai successo – dicono degli operai – che si utilizzino 4 ore per un’assemblea, neanche quando vi sono stati scioperi importanti si è fatto; anzi in questi casi a volte non c’è neanche informazione ”. Ma altre cose, che non succedono mai in occasione di scioperi, avvengono: messaggi agli operai sui telefonini per dire di andare all’assemblea esterna, bus messi a disposizione, invito dei capi ad andare, “comandata”, che normalmente viene gonfiata dalla direzione Ilva, ridotta ai minimi livelli. Chi non va all’assemblea viene guardato e trattato male.
Ma il massimo arriva venerdì 30. I dirigenti e i capi si trasformano in attivisti/squadristi. Girano tra i lavoratori dicendo che il 30 devono TUTTI andare alla manifestazione sotto il tribunale, diffondono allarmismo affermando che se il giudice va avanti in questa inchiesta l’Ilva può chiudere; minacciano, ricattano: “vieni, altrimenti…”, “se chiudono dei reparti, il primo nella lista sarai tu”.
Il giovedì precedente poi compaiono nelle bacheche, alle portinerie dei volantini e locandine anonimi, firmati “I lavoratori dell’Ilva” o “lavoratori ILVA (Pensiero LIBERO)” - che fa venire in mente termini normalmente usati dalla destra, dai fascisti. In questi volantini si fa appello a “operai, capi squadra, impiegati, quadri, ditte” ad unirsi “a noi per difendere il tuo posto di lavoro contro le strumentalizzazioni fatte sulla nostra pelle…”, si parla di “offese” che ciascuno di loro subisce da parte di Enti che li chiamano “”assassini” e ci augurano tutti i mali possibili, a noi e ai nostri familiari”, e si fa appello a non farsi condizionare “da chi oggi vuole solo il male del Nostro stabilimento”; quindi passando alla difesa di quanto fatto in termini di sicurezza si parla di “risultati enormi”, di “enormi investimenti (per) rendere ecocompatibile lo Stabilimento” (ma si pensi che appena l’altro giorno gli operai dell’area del porto hanno accertato la presenza di amianto anche negli spogliatoi – solo per dirne una…), si scrive che questi interventi “hanno reso oggi il nostro stabilimento punto di riferimento importante nel panorama internazionale”, che “l’azienda si sta muovendo nella giusta direzione in materia ambientale”; e, infine, si dice che tutti questi attacchi esterni avvengono “solo perché questo Stabilimento lo guida un privato che si chiama “RIVA” e non lo Stato Italiano e non si parla mai di altri siti lavorativi e produttivi…”.
In un altro appello sempre anonimo uscito proprio il 30 marzo viene anche scritto che tutte le perizie fatte sono false e infondate, e si parla di “immorale strumentalizzazione dei bambini… la scuola DEVE essere luogo di studio e non culla di ideologie..”, e via dicendo.
Questi toni, oltre che le cose scritte, si ritrovano solo in materiali e volantini di forze di estrema destra.
A questo martellamento cartaceo, si unisce il martellamento diretto dei capi. Il venerdì 30 è di fatto una “libera uscita” forzata per chi sta in fabbrica. Gli operai sono intimoriti o minacciati, o confusi dall’allarmismo diffuso sul rischio dei posti di lavoro.
Venerdì avviene un incredibile capovolgimento: mentre quando vi sono scioperi sindacali l’Ilva punisce gli operai, togliendogli una parte del premio di produzione, il 30 gli operai rischiano di essere puniti se non partecipano alla manifestazione.
Si parla di ferie forzate per chi osa dire che non andrà alla manifestazione. Agli operai delle ditte dell’appalto Ilva – ai cui padroni la direzione Ilva ha mandato un “messaggio” che fa capire che potrebbero perdere l’appalto se il venerdì lavorano – le aziende hanno dette che è inutile che vanno in fabbrica tanto non si lavora. Vengono richiamati operai in cassintegrazione solo per la giornata del 30 marzo per essere rimessi in cig il 2 aprile, lo stesso vengono richiamati in fabbrica gli operai che hanno il turno di riposo; gli operai che hanno fatto il turno di notte sono costretti a rimanere per andare alla manifestazione; si dice che l’azienda paghi anche gli straordinari.
Di fatto venerdì 30 viene attuata una sorta di serrata aziendale.
In tutto questo i delegati e sindacalisti o sono spariti o sono penose pecorelle. Il giovedì mattina, al 1° turno, mentre lo Slai cobas per il sindacato di classe strappava da tutte le bacheche delle portinerie i volantini dei capi, i sindacalisti della Fiom facevano finta che non stesse accadendo nulla.
Anche all’interno dell’Ilva, solo dove vi sono operai dello slai cobas per il sindacato di classe si contrasta attivamente l’azione dei capi. Un esempio importante è all’area del porto, in cui basta un solo operaio dello Slai cobas che dice “NO”, manda una lettera alla direzione per dire che lui, domani, venerdì, lavorerà normalmente, quindi spedisce il delegato uilm a chiedere al capo con quale rappresentanza sindacale l’Ilva ha stabilito le “ferie forzate”, perché l’ordine viene rimangiato e TUTTO il reparto non va alla manifestazione e lavora normalmente.
L’organizzazione della manifestazione del venerdì è sotto regia aziendale. L’azienda mette a disposizione bus interni ed esterni per cammellare gli operai. Si vedono striscioni tutti della stessa fattura, fatti in serie, fondo bianco e scritte nere, sembrano usciti poche ore prima dalla stamperia (dell’Ilva); non c’è una bandiera rossa; anche i fischietti vengono forniti dai capi; stranamente le tute, i caschi degli operai sono puliti e sembrano nuovi (anche quelli degli operai dell’indotto, che normalmente hanno tutt’altra pulizia).
E comincia la “marcia”. Giacchè il Tribunale è stato vietato (a tutti) dalla questura, la manifestazione dell’Ilva si concentra sotto la prefettura e si mostra poi nelle strade centrali della città. Il clima nei pezzi dei capi ha un esplicito indirizzo eversivo (in cui il paragone è con la marcia dei 40mila della Fiat o peggio). I toni sono da “chiamata alle armi” e sono ben caratterizzati dagli striscioni “a marchio di fabbrica”: “Noi non ci stiamo - giù le mani dal nostro stabilimento”, “…dopo tutti a casa del sindaco e del gip”, “NO alle speculazioni personali sulla pelle dei lavoratori”, “fuori le bugie dalle aule della giustizia”, ecc. ; gli atteggiamenti dei capi sono arroganti e ostentati: un giornalista di “piazza pulita”, Sortino, che anni fa fece un buon documentario sulla situazione di inquinamento dell’Ilva, viene trattato male. Si tratta di un’adunata sediziosa di carattere neocorporativo e fascista, fatta ricattando e minacciando i lavoratori.
Nei pezzi degli operai, invece, sembra la “marcia della paura”, nei due sensi, sia per il clima creato dall’azienda, sia per la confusione/preoccupazione sulla possibile chiusura dello stabilimento.
Il più esplicito elogio alla manifestazione viene dai legali di Riva: “Il dato più importante di questa giornata è emerso dal corteo degli 8000 operai che hanno lanciato un messaggio chiaro alle istituzioni. Un richiamo a non perdere di vista i valori che contano e fra questi c’è il lavoro”.
Ma anche il Prefetto, che il 30 incontra una delegazione della manifestazione, ha parole di elogio “per il senso di responsabilità e per la civiltà dimostrata” (!?).
Ma alla fabbrica nei giorni prima è diverso. Basta parlare con gli operai, basta che gli operai possano parlare liberamente, e il buon senso di classe viene fuori, come viene fuori la denuncia del clima interno, dei sindacati confederali e dei sindacalisti conniventi o latitanti. I compagni dello slai cobas per il sindacato di classe alle portinerie fanno capannelli, comizi volanti, discussioni, gli operai appoggiano e dicono che è vero che i primi ad essere colpiti nella salute e a volte nella vita sono loro, che è giusto che Riva paghi, che l’allarme che l’Ilva può chiudere è stato usato anche quando i sindacati hanno accettato una ingiustificata cassintegrazione, che se si molla su un diritto, si molla su tutto, ecc. Davanti alla fabbrica sono stati isolati e ridicolizzati imbarazzati e pavidi sindacalisti, soprattutto della Fiom.
Alcuni operai scrivono che si sono vergognati di vedere loro compagni di lavoro piegare la testa, di vedere stracciati diritti democratici; altri dicono orgogliosi che loro hanno scelto di non andare alla manifestazione; altri ancora denunciano il clima di ansia in fabbrica e l’inquinamento in fabbrica che “si taglia con il coltello, molte volte abbiamo difficoltà a respirare a causa dei cattivi odori provenienti da strane sostanze… per non parlare della presenza un po’ ovunque dell’amianto…”.
In questi giorni l’inquinamento più grave non sta tanto nell’aria, negli scarichi a mare e nei terreni, ma in ciò che sta succedendo in fabbrica, nell’azione combinata azienda/capi; ed è questo fascismo in azione che va contrastato a tutti i livelli.
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Ma in questi giorni, come in una tragica e pericolosa sceneggiata, tutti gli attori hanno preso il loro posto, già fissato dal regista.
I primi attori, che da essere protagonisti sono poi passati a trovarsi “dietro le quinte”, sono i sindacati confederali: Fim, fiom, uilm, e cgil, cisl e uil.
I loro segretari il lunedì precedente il 30 marzo, nel presidio alla Prefettura, organizzato con benevola concessione aziendale, fanno interventi assolutamente non in contrasto con la linea e le posizioni dell’azienda, e consegnano al prefetto un documento che se non avesse riportato le sigle sindacali avrebbe potuto essere firmato dallo stesso Emilio Riva, dato che in molte parti sembra ripetere le dichiarazioni padronali: “positività dei percorsi sin qui avviati… notevoli risultati raggiunti…”, ecc.
Ma chiaramente i servi restano sempre servi, e dopo un pò è il padrone a prendere nelle mani direttamente la situazione convocando attraverso i dirigenti, i capi, la manifestazione “autoconvocata e spontanea” (!?) di venerdì 30. Imbarazzo dei sindacati! Prima dichiarano che non è stata convocata da loro, avallando la presunta “spontaneità” dell’iniziativa, poi messi alle strette via via che l’attività dei capi diventa palese, fanno dichiarazioni di dissociazione.
La Uil il 30 si inventa all’ultimo momento un attivo provinciale dei metalmeccanici Uilm, cercando di sfilarsi “elegantemente” ma di fatto contribuendo a svuotare la fabbrica come vuole Riva. Il segretario nazionale della Uilm, Palombella (che ha fatto carriera grazie al suo ruolo all’Ilva di efficiente braccio/megafono aziendale, firmando accordi che hanno anticipato la Fiat di Marchionne), si comporta come uno che vede piovere le bombe e dice che va tutto bene, e dichiara: “I lavoratori e gli ambientalisti che hanno manifestato contemporaneamente questa mattina lottano per lo stesso obiettivo: la salvaguardia del lavoro e della salute”.
La realtà è che i sindacati confederali sono stati scavalcati, si sono cacciati con le loro stesse mani nella trappola aziendale; l’Ilva ha dimostrato che può benissimo fare a meno di loro per imporre con i suoi strumenti ai lavoratori di scendere al suo fianco, per la “difesa dello stabilimento”.
Quindi vi è il sindaco di “sinistra” di Taranto, che fino a ieri ha stretto la mano a Riva e oggi, in prossimità delle elezioni e per non farsi scavalcare a sinistra dalla magistratura, “spara” un bel po’ di provvedimenti contro l’Ilva, sapendo bene che resteranno senza alcun effetto. L’unico risultato è di far aizzare la destra aziendale. Ma il 30 marzo pensa bene di allontanarsi dalla città.
Il Presidente della Provincia tace, per prudenza sua. Mentre Vendola? Come viene scritto in uno dei volantino anonimi (dei capi): “Non dimenticate che lo stesso Vendola aveva definito i risultati ottenuti come “straordinari”.
Ma ci sono altri attori, o meglio, attorucoli:
Vi sono alcuni “antagonisti”, riunitisi in una sigla “assemblea popolare tarantina”, e “capetti” di studenti che dichiarano con il petto gonfio che: per la salute e la tutela dell’ambiente bisognava trovare “alternative economiche che sarebbero state più congeniali al nostro territorio (turismo “amichevole” ed ecocompatibile, miticultura, agricoltura, allevamento, valorizzazione del patrimonio artistico e storico); che la “vita dello stabilimento tarantino, ormai obsoleto – ma quando mai!? – volge al termine…”; che “occorre un diverso modello d’occupazione …” – e via con queste stupidaggini…
L’Ilva dovrebbe chiudere e tutti gli operai dovrebbero trovare un’occupazione alternativa? Ma di quale film stanno parlando? Hanno la minima idea di cosa significa perdere circa 17mila posti di lavoro in una città del sud? Pensano che l’industria del turismo sia già in un sistema socialista? Non sanno che anche il turismo segue le regole selvagge del capitale che stravolge, privatizza intere zone di territorio con l’unico obiettivo del suo profitto? Vogliono far tornare una città industrializzata come Taranto agli anni ’50 con solo le pecore e l’uva?
Si tratta si stupidaggini pericolose, che si travestono del “romanticismo” da piccola borghesia per rivolgersi nei fatti contro gli operai, e quindi sono reazionarie!
A queste posizioni si accompagna l’altra faccia della medaglia. Gli “antagonisti”, gli “estremisti” da centro sociale il 30 marzo sono stati poi molto ligi alle disposizioni della questura. Appena le lavoratrici e disoccupati dello Slai cobas per il sindacato di classe si sono allargati sulla strada e rallentato il traffico denunciando la illegale “zona rossa” davanti al Tribunale imposta dalla Questura, gli “antagonisti” invece di arrabbiarsi con la polizia, si sono arrabbiati con i lavoratori dello Slai cobas, gridando agli studenti di rimanere rigidamente sul marciapiede; la loro rabbia è aumentata quando hanno visto la bandiera rossa dello slai cobas portata da una lavoratrice, e hanno strillato: “non vi devono essere bandiere!”.
E, infine, si sono tenuti ben lontano quando, solo, le disoccupate, lavoratori dello Slai cobas hanno protestato, fronteggiato la polizia, e grazie a questo hanno imposto che una delegazione, tra cui operai Ilva, entrasse in Tribunale a presentare un esposto contro le illegalità della manifestazione dell’Ilva.
Poi venerdì vi sono stati gli esponenti ambientalisti “responsabili”. I quali, a fronte dell’illegittimo divieto del questore di manifestare davanti al Tribunale, hanno dichiarato: “per responsabilità… ci uniformiamo alle direttive della Questura che si sta adoperando per garantire il regolare e sereno svolgimento delle udienze nel Tribunale” – la stessa questura che invece garantiva il corteo sovversivo dei capi che esplicitamente voleva NON garantire il “sereno svolgimento” delle udienze.
Quindi questi esponenti ambientalisti hanno invitato gli studenti, i cittadini a “non manifestare in prossimità del Tribunale, per non offrire alcun pretesto… a chi punta oggi ad una strategia della tensione”, favorendo concretamente il rischio (per fortuna non avvenuto) che l’unica manifestazione fosse quella organizzata dall’Ilva!
Visto poi che il loro “consiglio” non era stato seguito, alcuni esponenti più di spicco si sono presentati davanti al Tribunale – si stanno avvicinando le elezioni e loro sono candidati…
Il loro “candidato sindaco”, è Bonelli, il presidente nazionale dei Verdi il quale, senza avere il senso del ridicolo, dichiara ai giornalisti che loro a Taranto vogliono “fare la storia”, ma evidentemente la storia medioevale visto che ciò che il candidato sindaco ambientalista ha in mente è “una Taranto senza Ilva e senza le altre aziende della zona industriale”. E i 17mila operai? Nessun problema, “gli operai comprenderanno”, saranno tutti riconvertiti “per molti anni nell’attività di bonifica”. Ci fa o è? Verrebbe da chiedersi. Sappia Bonelli che gli operai sanno farsi un po’ di conti, e non gli tornano 17mila posti di lavoro nella bonifica e per una manciata di anni. E’ passato, poi, Bonelli da Bagnoli, ha visto il “risanamento” dell’Italsider dove la zona ora è più pericolosa di prima?
E’ vero, per combattere il fascismo padronale, occorre comunque fare piazza pulita di tutti questi fastidiosi pagliacci!
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