giovedì 29 marzo 2012

pc 29 marzo - Meglio tardi che mai! Un articolo del Manifesto su Arundhati Roy e la situazione in India

Meglio tardi che mai! Riportiamo questo articolo del Manifesto che ammette l’ignoranza dei media dei paesi imperialisti e soprattutto di quelli italiani sulla situazione nei paesi come l’India, ma potremmo aggiungere le Filippine, il Perù, la Turchia per rimanere ai paesi oppressi dall’imperialismo.
Naturalmente si tratta di una ignoranza anche voluta dato che i temi di popoli in lotta per la propria liberazione dal dominio imperialista, soprattutto se condotti secondo l’ideologia del proletariato che ha raggiunto lo stadio del marxismo-leninismo-maoismo, non sono tra i più accreditati dai borghesi grandi medi e piccoli.


DEMOCRAZIAKMZERO

Arundhati Roy tra i maoisti
Pierluigi Sullo

Confesso la mia ignoranza: quando ho letto che due italiani, Claudio Colangeli e Paolo Bosusco, erano stati rapiti nello stato indiano dell'Orissa dai guerriglieri maoisti, o naxaliti, ho pensato a un gruppo sopravvissuto come un fossile di altre epoche, magari simile ai Khmer rossi cambogiani. Colangeli è stato liberato e di Bosusco, valsusino e No Tav, si sa che sta bene. Probabilmente il rapimento, la trattativa per liberarli, forse (come dice il Correre della sera citando l’antiterrorismo indiana) una disputa tra fazioni diverse del Partito Comunista indiano (maoista), sono segmenti della complicata e lunghissima guerra nelle aree centrali del continente indiano.
Anzi lo sono di sicuro. Ma di che guerra si tratti non è affatto chiaro, stando alle poche informazioni che i media italiani forniscono. L’ultimo libro di Arundhati Roy, la scrittrice indiana che viene citata sempre per il suo magnifico romanzo “Il dio delle piccole cose” e che da molti anni conduce una campagna civile su quel che accade nel suo paese per mezzo di libri, reportage, conferenze, partecipazione ad eventi come il Forum sociale mondiale che si tenne a Mumbai diverso tempo fa, si chiama “In marcia con i ribelli” (Guanda) ed è in gran parte il racconto di come lei, Arundhati, ha trascorso del tempo nelle foreste dell’Orissa su cui lo stato indiano non riesce a esercitare potere, che invece è nelle mani dell’esercito maoista, delle milizie di villaggio e dei consigli popolari che assicurano l’(auto)governano. Ed è una lettura sorprendente, oltre che affascinante. Noi immaginiamo l’India come un paese sì con una frattura, tra ricchi e poveri, enorme ma che “cresce” al ritmo del 6 o 7 per cento l’anno, quasi come la Cina, e che sta producendo il suo sforzo per modernizzarsi. Lo scenario che Arundhati Roy racconta, guardandolo dal fondo della foresta mentre cammina accanto a giovani donne e uomini armati di fucile, è infinitamente più drammatico. In particolare, il governo indiano ha offerto pre-concessioni minerarie (bauxite e molti altri minerali) a grandi imprese multinazionali. Nonostante la Costituzione indiana vieti lo sfruttamento delle “terre tribali” (gli adivasi, gli indigeni, sono circa cento milioni), le autorità stanno conducendo una guerra che comporta distruzione di villaggi, arresti arbitrati, uccisioni, stupri e deportazioni. Le cifre sono impressionanti. Così, il movimento naxalita, con la sua ideologia anchilosata e i suoi metodi militari spesso cinici, si è via via affiancato alla resistenza degli adivasi, espandendosi in tutta l’India centrale. Di forme di resistenza a questa “crescita” che è in verità una guerra contro i poveri, dice Arundhati, in India ve ne sono di moltissimi tipi, e forse, conclude, la capacità di ricacciare indietro come pure è accaduto in qualche caso, lo “sviluppo” violento, viene proprio da questa pluralità.
Leggete questo libro, vi farà riflettere. Ad esempio quando cita la “lezione magistrale” ad Harvard di uno dei politici indiani più potenti, il quale afferma: “La democrazia - o meglio le istituzioni democratiche - … hanno in effetti reso più difficile la sfida dello sviluppo.

Il manifesto
29/3/12

Nessun commento:

Posta un commento