lunedì 26 marzo 2012

pc 26 marzo - intervista ad arundhati roy sul movimento maoista in India

Arundhati Roy sul movimento maoista in India – intervista a Free Speech Radio News (FSRN), novembre 2011.

FSRN: il nuovo libro Arundhati Roy's si intitola “Walking with the Comrades”. Esso documenta le settimane trascorse coi guerriglieri maoisti nelle foreste dell’India e dà una visione critica della risposta violenta del governo al movimento. Nelle foreste rurali dell’India le compagnie minerarie e milizie dello Stato hanno lanciato una violenta offensiva contro i guerriglieri maoisti e le comunità tribali senza terra. L’attivista e scrittrice Arundhati Roy ha trascorso alcune settimane con i combattenti maoisti nelle zone di guerra e la sua esperienza è l’argomento del nuovo libro intitolato “Walking with the Comrades”. Un racconto di prima mano del lato nascosto dell’economia globale e un’analisi di un movimento armato che dura da tempo, spesso mal compreso. Ci raggiunge da New York e le diamo il benvenuto su FSRN .

ARUNDHATI ROY: Grazie.

FSRN: iniziamo dalla ragione del Dantekaranya, in India, dove hai trascorso diverso tempo. Descrivici quei luoghi e la gente che ci vive nelle foreste.

AR: è una sorta di ampia fascia ininterrotta di foreste abitate per lo più da diverse tribù indigene. Nell’area che ho visitato c’è principalmente una tribù, chiamata Gonds. E lì, negli ultimi 30 anni, è esistito una sorta di movimento maoista incipiente, che ora è venuto allo scoperto in modo molto tangibile perché il governo indiano ha assegnato molte di queste terre selvagge, i fiumi, le montagne, tutto, alle varie multinazionali perché vi costruiscano dighe, impianti siderurgici e raffinerie di alluminio. Ci sono, in tutta l’India, 100 milioni di indigeni sotto grave minaccia, che vivono una vita assai fragile.

FSRN: parli di accordi, accordi formali, che sono stati stretti tra queste multinazionali e il governo indiano. Una delle compagnie che sta operando nella regione si chiama Vedanta. Puoi parlarci di questa azienda e di come opera nella regione?

AR: Vedanta non sta esattamente nell’area che ho visitato. Ci sta arrivando ora. Ma ha sottoscritto tantissimi accordi per l’estrazione della bauxite nello stato dell’Orissa. Vedanta è una delle più grandi compagnie del mondo. È quotata alla borsa valori di Londra il suo capo vive in quella che era una casa dello Shah dell’Iran. Sta realizzando miniere nelle aree in vivono queste tribù indigene, i Dongria e i the Gonds. Ed è una delle più spietate compagnie minerarie del mondo, direi. Infatti, il processo di estrazione della bauxite e della sua trasformazione in alluminio è uno dei processi più tossici al mondo. L’alluminio è una sorta di cuore dell’industria della armi. Perciò, per questa sua tossicità, il processo è stato esportato fuori da Europa e America in altri paesi, come l’India. Ma questo processo richiede tali quantità di acqua ed elettricità e produce tali quantità di scorie tossiche che devasta interamente l’ambiente là dove sia realizzato un impianto di produzione di alluminio. Vedanta è una delle compagnie, ma ce ne sono anche molte altre.

FSRN: e gli effetti di un’attività come questa dell’estrazione della bauxite, non solo invade le terre ed espelle la popolazione ma, come hai segnalato, crea acque tossiche. Nel tuo libro c’è una fotografia che mostra gli effetti di questo tipo di miniere e di che che cosa fanno alle terre. E una di queste aree, come descrivi nel tuo libro, e un luogo sacro per il popolo indigeno che ci vive.

AR: sì, è un luogo sacro e uno di questi e è una montagna chiamata Niyamgiri, che soignifica “monte della giustizia”. Per loro è sacra come una chiesa per un cristiano o una moschea per un musulmano. Ma dato che sono il popolo più povero del mondo ciò che è sacro per loro non sembra importare molto.

FSRN: un altro aspetto, oltre quello dell’azione delle multinazionali e delle miniere, è la campagna militare. Il governo indiano ha lanciato contro le forze maoiste una campagna chiamata “Operazione Green Hunt”. Viene decisa dopo che il primo ministro Manmohan Singh le aveva definite la maggiore minaccia alla sicurezza nazionale per il paese.come funziona sul campo la “Operazione Green Hunt”?

AR: la “Operazione Green Hunt” è stata annunciate nel 2009, e le quotazioni delle compagnie minerarie schizzarono in alto. E allora qualcosa come 200.000 paramilitari, forze paramilitari pesantemente armati hanno iniziato a entrare nella foresta. Ma ora, mentre parliamo, sono in corso i preparativi perché sia l'esercito a entrare in campo. E così stiamo per assistere a un’India, che si autodefinisce la più grande democrazia del mondo, ma che diverse volte ha già impiegato l'esercito in diversi stati del nord-est e in Kashmir, Telengana, Goa, Punjab, che ora lo impiega contro i più poveri. L'India ha una spesa militare tra le più grandi del mondo. E tutto questo potere sta per essere indirizzato contro i più poveri del paese, perché quei protocolli di intesa sono stati firmati e la pazienza delle società si sta esaurendo.

FSRN: quando parli dell’operazione in corso ora, segnali che nel 2010, il capo negoziatore del Partito Comunista dell’India è stato ucciso dalla polizia dello Stato dell’Andhra Pradesh, quando si era all’inizio di un giro di colloqui di pace. C’è un processo di pace oggi? A che punto siamo oggi?

AR: No, non c’è affatto un processo di pace oggi. L’India è disposta a dialogare con il Pakistan, a parlare con chiunque altro, ma non con i poveri. Ora, come ho detto, penso che ... quando una parte uccide l’emissario di pace dell'altra parte, è abbastanza chiaro che non vogliono avere colloqui di pace. Ma sta guadagnando tempo per dispiegare nella zona un gran numero di soldati. E dall’esercito c’è una sorta di rifiuto a essere impiegato a meno che non abbia l’impunità garantita dalla legge per i poteri speciali delle forze armate (Armed Forces Special Powers Act), che consente ai soldato di uccidere chiunque sia sospetto. Questa legge li copre in Kashmir, nel nord-est, ed è questa la causa delle fosse comuni che oggi lì si stanno scoprendo. Ma l'esercito non vorrà muoversi a meno che non abbia la copertura di questa legge. Altrimenti, ci saranno processi e ogni tipo di denunce, ecc. In India ci sono molte reazioni contro questa legge, quindi credo che faranno finta di abrogarla per poi inserirne le disposizioni in qualche altra legga e farla applicare in tutto il paese. Perché, in effetti, ci sono molte turbolenze in tutto il paese, che si sta sempre più militarizzando. Non si possono imporre queste politiche liberiste senza impossessarsi delle terre comuni, senza privatizzarle, senza costruire dighe e così via. Per controllare una popolazione recalcitrante, è necessario militarizzare. E per militarizzare occorre l’impunità delle forze di sicurezza. Credo quindi che su questo si sta negoziando ora, c’è quindi una sorta di quieto silenzio inquietante, direi.

FSRN: Arundhati Roy, uno degli aspetti del tuo nuovo libro “in marcia con i compagni” libro è il suo porsi domande, l’indagare, l’esplorare gli stessi compagni, scrivi: “Chi sono i compagni?”. E mentre il governo dipinge spesso il movimento maoista con tratti allarmanti, tu scrivi di come il movimento comunista si è evoluto. Di come, all'inizio, ai tempi del fondatore del movimento naxalita, esso era legato ad una ideologia rigida e fedele alla Cina anche quando in Cambogia venivano perpetrate le atrocità dei Khmer Rossi o i massacri in Bangladesh. Ma, almeno nella zona in cui sei stata, qualcosa è cambiato. Naxaliti sono in gran parte profughi di guerra tribali. Fondamentalmente, sono le questioni locali piuttosto che un’ideologia globale a motivarli. Come è cambiato nel tempo il movimento?

AR: Come ho detto, avevo tantissime riserve ideologiche e morali circa le loro posizioni del passato. Il loro epicentro era la Cina, non certo i problemi del paese in cui vivevano. Così rimasero in silenzio davanti al genocidio in Bangladesh, su quello che stava accadendo in Cambogia. Un disastro. Ma oggi la vera domanda è: quanto maoisti sono i maoisti?
Poiché in realtà il 99,9% dell'esercito guerrigliero sono indigeni, quelli che noi chiamiamo adivasi, e il 45% di loro sono donne. In passato il partito non aveva una buona reputazione circa i modi in cui trattava le donne nei suoi ranghi. Ma quando sono stata lì ho pensato che questo era cambiato, sono rimasta impressionata dalle donne che ho incontrato e da come parlavano liberamente dei loro problemi e di quello che stavano cercando di fare. Ma credo che la domanda principale che mi faccio in questo momento è: che battaglia è questa? È una battaglia per una ridefinizione di che cosa significa del progresso, che cosa significato di civiltà, di che cosa è fatta la felicità dell’umanità? E in passato, in Russia o in Cina, i partiti comunisti non hanno mostrato grandi differenze nel modo in cui si approcciavano all’ambiente o ad altre cose. E così domando ai compagni: oggi state resistendo contro gli espropri a favore di queste compagnie, ma, teoricamente, se si doveste arrivare al potere, lascereste la bauxite sulle montagne? Avete una visione diversa dello sviluppo? Credo che sia necessario che noi tutti manteniamo questo tipo di attenzione perché è una questione che tutto il mondo intero deve prendere in considerazione. Oggi il pianeta è in crisi e si dovrebbe mettere radicalmente in discussione ciò che sta accadendo. Proprio come l'America, in America trovi che 400 persone possiedono tanta ricchezza quanta la metà della popolazione americana. In India abbiamo 100 persone che possiedono patrimoni pari a un quarto del PIL. E abbiamo l'80% della popolazione che vive con meno di 50 centesimi al giorno. Quindi, qualcosa deve cambiare radicalmente. L’idea del capitalismo, del progresso, la misura di queste cose legate al consumo, tutto questo deve cambiare. Mentre appoggio la resistenza nelle foreste, credo che sia tempo di cominciare a chiedersi che cosa esattamente stanno combattendo.

FSRN: Beh, non ci sono solo queste grandi questioni, questioni filosofiche, ma anche alcune pratiche. Le pratiche delle esecuzioni sommarie, omicidi per errore di cui sono stati vittime civili. Non è un movimento esente da critiche in India. E anche tu hai sollevato questi temi.

AR: Sì. Il punto è che uno dei problemi è che il modo in cui il governo e le forze di sicurezza indiane stanno cercando di spezzare il movimento è infiltrandosi con informatori, spie, ecc. E anche il fatto che il sistema legale indiano, i tribunali, è completamente fuori dalla portata della gente comune. Così, mentre ciò accade, o quando, mettiamo, mille paramilitari vanno a bruciare un villaggio per le informazioni ricevute da qualcuno, ci si chiede a chi possono rivolgersi gli abitanti di quel villaggio. Perché non possono andare a sporgere denuncia alla polizia, non possono andare a un tribunale, tutta la macchina della democrazia è rivolta contro di loro. In India la democrazia esiste solo per la classe media. Per questo allora emerge quel tipo di sistema giustizia sommaria e, naturalmente, a volte funziona ma a volte è completamente sbagliato. Che fare? Certamente queste non sono questioni nuove. Sono questioni che la resistenza armata e le lotte armate hanno di fronte da sempre. Diventa responsabilità di quanti di noi che non le condannano in blocco fare pressione e mettere in discussione queste cose.

FSRN: Alcune delle persone più memorabili con cui hai parlato e che hai conosciuto quando eri nella foresta, e che noi veniamo a conoscere come lettori, sono donne. Hai segnalato che il 45% dei combattenti sono donne e che la discriminazione e la violenza tradizionali presenti in alcune delle comunità tribali hanno spinto alcune di queste ad aderire al movimento, ma anche che, una volta all'interno del Partito Comunista, per anni le donne hanno subito discriminazioni. Ci puoi raccontare di una delle donne che hai incontrato?

AR: nella foresta ho incontrato donne che avevano visto il loro compagno catturato, torturato e ucciso. Ho incontrato donne che avevano visto le loro famiglie massacrate, o che avevano visto le loro sorelle e madri stuprate, e poi avevano preso il fucile. Quando ero lì ho incontrato una donna straordinaria di nome Padma, che aveva l’abitudine di frequentare i maoisti. Era poi stata arrestata e picchiata così tanto che i suoi organi interni erano stati tutti pestati. Hanno dovuto rimuoverne la maggior parte. Le hanno spaccato le ginocchia perché, ha detto la polizia: “così non andrai di nuovo a spasso nella foresta”. Quando l’ho incontrata aveva sui trent’anni, ma si trascinava sui suoi passi. Ora sta lavorando con un’organizzazione di genitori e parenti di persone assassinate. Attraversa lo stato con qualsiasi veicolo riesce a procurarsi per raccogliere e riportare a casa i cadaveri di persone troppo povere per permettersi questo viaggio (il viaggio da un capo all’altro del loro stato per riprendersi i loro cari uccisi).

FSRN: Ci sono numerose scene vivaci di quando eri lì che ci hai riportato e una di queste è un momento in cui guardi attraverso un computer portatile, se non sbaglio, i media che erano usciti. E trovi una tua video-intervista, con te che spieghi il tuo lavoro. Mi interessava sapere come ti vedeva quella gente con cui sei stata nella foresta, come vedevano la tua visita e che cosa speravano che avresti portato al mondo esterno?

AR: Il fatto stesso di essere stata invitata ad andare nella foresta richiedeva una certa fiducia da parte loro. Perché, come ho detto, spie e informatori infiltrati era una delle tattiche più importanti utilizzate servizi di sicurezza e intelligence. Credo che nel mio caso è successo che mi hanno visto come qualcuno che non aveva intenzione di andare lì solo per compiacerli, e dire “io sono maoista”, “sto dalla tua parte”, “sono convinta di tutto ciò che fate”, ma piuttosto come una pronta a tenere aperte le sue idee e pronta anche a criticare, ma da una posizione di onestà, non per interesse precostituito o da una posizione per cui in realtà lavoravo per qualcun altro, o su istruzioni di qualcun altro. Pronta anche a non essere superficiale, perché quello che succede è che, nell’analizzare questo tipo di atrocità, dove entrambe le parti fanno cose terribili, si tende a dimenticare ciò che sta realmente succedendo. Non si può equiparare la violenza di una resistenza con la violenza strutturale dello stato indiano, che si traduce in 250.000 contadini che si uccidono, l’80% della popolazione che vive in povertà. Proprio non si possono equiparare. Ma è ciò che molti fanno. Gli intellettuali liberal indiani dicono semplicemente: “il male sta qui e là, e i poveri sono presi in mezzo, quindi non ce ne occupiamo”. Anche l’idea della non-violenza, a un certo punto, diventa immorale, quando assisti a un attacco violento contro un popolo che risponde, e dici solo “no, costi quel che costi, devi essere non-violento”. Un conto sarebbe se lo dicessi trovandoti nel mezzo di quel conflitto. Ma dirlo standosene seduti a distanza di sicurezza, credo sia inaccettabile. Credo che sia stato per questo. Mi hanno visto come qualcuno che non era in cerca di popolarità né intendeva compiacere l’establishment, una che avrebbe pensato con la sua testa, anche se ciò mi avrebbe portato a criticarli.

FSRN: le domande riempiono la tua scrittura in questo libro. Domande sui preconcetti, sul ruolo dei militari o delle aziende, sull'idea della lotta armata, della giustizia, della povertà. È un interrogare continuo e mirato che anima questo libro. Quali domande hai ancora a questo punto?

AR:
La domanda di ora non è una domanda analitica, quanto una domanda sul che fare di qualcosa che sappiamo essere un modo assolutamente distruttivo di pensare, di vivere? Che cos'è che collega Occupy Wall Street al popolo della foresta? E io credo che ciò che li connette sia leesclusione assoluta della maggioranza delle persone nel mondo a favore dell’osceno benessere di pochissimi. Così, dopo un percorso di dieci-dodici anni di viaggi, riflessioni, scrivere di queste cose, arrivo a qualche conclusione piuttosto semplice. Uno delle quali è che ci deve essere un limite all’accumulo di ricchezza per un individuo o società. Credo che questa proprietà incrociata di imprese deve finire, come una società mineraria non può possedere un giornale e una università e una ONG e un ospedale e una scuola di diritto e alcune compagnie televisive. Sarebbe semplicemente suicida. Penso proprio che dobbiamo aprire un’epoca in cui si comincia a mettere un limite a tutto ciò, un limite a tutto questo per la sopravvivenza non solo dell’essere umano, ma dello stesso pianeta.

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