Il governo Monti, agendo nella maniera più classica quale ‘comitato d’affari della borghesia’, sulla riforma del mercato del lavoro sta usando la questione dell’aumento della disoccupazione, della precarietà giovanile e femminile, per tagliare il salario operaio come chiedono in maniera pressante i padroni.
Si sta verificando, in modo lampante, quanto Marx ha analizzato e descritto sul rapporto e incidenza disoccupazione e salari operai.
Questo non solo in senso “oggettivo”, vale a dire che, la crisi aumentando i licenziamenti e la disoccupazione porta con sé a sua volta una pressione sui salari operai che agisce da minaccia, ricatto sia per frenare ogni richiesta di aumento salariale, che per subire riduzioni del salario, blocco dei contratti, ecc.; non solo per il fatto che la corsa ancora più affannosa nella crisi dei capitalisti alla riduzione dei costi del lavoro ha portato ad un’espansione, generalizzazione dei rapporti di lavoro precari, a tempo determinato in tutti i settori anche in quelli della grande fabbrica dove erano prima molto rari;
ma ora anche come preciso intervento politico del governo.
Guardiamo al ‘contratto unico’, esso prevede assunzioni, tutte, con contratto di apprendistato, grazie ad esso per 3,4 anni le aziende potranno pagare ai giovani operai un salario di 2 livelli inferiori a quello previsto dal CCNL, con un taglio di 100/150 euro al mese. Di fatto questo porta non solo all’abbassamento del salario per i giovani operai, ma ad una riduzione generale per tutta la classe, il cui salario medio, di riferimento sarà oggettivamente più basso.
Ma soprattutto questo utilizzo della disoccupazione per incidere sul salario operaio, è la ragione che sta accompagnando il dibattito e i provvedimenti in cantiere sulla modifica degli ammortizzatori sociali. L’effetto, se passa il provvedimento di cancellare la cassintegrazione straordinaria (pare anche i contratti di solidarietà) e di sostituire gli attuali ammortizzatori con una unica generalizzata indennità di disoccupazione o salario minimo, sarà, primo, un aumento drammatico dei disoccupati, incrementati dagli operai che finora erano in cigs (o in contratti di solidarietà); secondo, un altrettanto drammatico aumento della pressione di questa massa enorme di disoccupati sul salario dei lavoratori occupati. Per i capitalisti sarà “prendere due piccioni con una fava”: da un lato potranno liberarsi definitivamente degli ‘esuberi’, dall’altra avranno il regalo di una riduzione secca del costo del lavoro, dall’altra ancora potranno tenere sotto ricatto gli operai, aumentando la loro produttività (sfruttamento) e diminuendo il loro salario – operai, a cui, come ha scritto Marx, il capitalista e il governo indicheranno sempre a monito di “pretese salariali”, la massa dei disoccupati.
Questo vuol dire che la cancellazione della cassa integrazione è un attacco all’intera classe, alla sua possibilità di difesa del salario e delle condizioni di lavoro. Per questo non deve passare.
Nello stesso tempo, è giusto invece che i disoccupati, come emerge con forza dalla richiesta dei movimenti organizzati dei disoccupati (da Napoli a Taranto, ecc.) pretendano per loro e per chi perde il lavoro e non ha alcuna forma di reddito, un salario minimo garantito.
Questa richiesta si contrappone alla logica del governo, del Ministro Fornero, dei padroni.
Essa non solo è un interesse, vitale, per i disoccupati – anche per resistere nella lotta per il lavoro e per contrastare uno scivolamento in una condizione e coscienza sottoproletaria – ma è un interesse per tutti gli operai occupati, per il proletariato come classe, per ridurre la pressione nei confronti del salario, ma soprattutto perché i disoccupati – che devono essere considerati dal proletariato come “lavoratori”: o ancora senza lavoro o che hanno perso il lavoro – nella crisi o si uniscono alla lotta degli operai occupati o si contrappongono.
Per questo oggi, difesa del salario, No alla cancellazione della cassintegrazione , No ai licenziamenti e lotta per il salario garantito ai disoccupati sono due fronti della stessa battaglia di classe.
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