Si chiamava Rolando Lima Martins ed era di nazionalità portoghese l’operaio morto sui binari un paio di giorni fa poco dopo la mezzanotte alla stazione di Chiari, mentre era al lavoro. Nessuno l’aveva informato, né le Ferrovie né il responsabile del cantiere, che sarebbe passato un treno che poi lo ha travolto.
La strage dei 5 operai di Brandizzo nella notte tra il 30 ed il 31 agosto scorso non ha insegnato nulla.
I giornali cominciano a far calare il silenzio, cominciano il depistaggio, parlano di questa morte sul lavoro come “colpa della nebbia” e nulla si dice di appalti, di mancanza di sicurezza per gli operai della manutenzione. A Brandizzo non c’era la nebbia nella notte di agosto eppure a Chiari è successo ancora come a Brandizzo.
L’operaio era dipendente di una ditta esterna a Rfi, ed è stato investito dal treno Bergamo-Napoli mentre si trovava sui binari per svolgere lavori a un traliccio dell’alta tensione. La Procura di Brescia ha aperto un’inchiesta e attende le relazioni per ricostruire nel dettaglio l’accaduto.
Come a Brandizzo gli operai della manutenzione non hanno salva la vita perché il protocollo sicurezza o non esiste oppure nessuno lo fa rispettare e così sono mandati a morire sui binari al passaggio dei treni.
E se manca la sicurezza è perché per i profitti dei padroni i costi di questa sono fastidiosi, sono un intralcio ai bilanci aziendali.
E poi l’organizzazione del lavoro la fanno i padroni, i ritmi li impongono i capi, i contratti precari agiscono come ricatto sui lavoratori, i salari non bastano a vivere. I lavoratori, date queste condizioni,
non sono liberi di accettare il rischio, sono costretti a lavorare. Ma a lavorare per vivere non certo per morire.E quando accadono incidenti e infortuni i padroni sono i primi a scaricare le loro responsabilità sui lavoratori. E poi dobbiamo subire pure la solita litania, in particolare dalla stampa, della mancanza di “cultura della sicurezza” da parte degli operai!
Così come anche l’arroganza delle Fs sulla morte dell’operaio alla stazione di Chiari che dicono: “Da primi accertamenti c’è un attraversamento indebito”. L’ ennesima arroganza che ancora rimane impunita.
Ma l’indignazione non basta, è necessario fare qualcosa per fermare la strage sul lavoro, fare qualcosa innanzitutto senza delegare a nessuno questa battaglia che è battaglia di civiltà contro un sistema di sfruttamento incivile che tutela i profitti dei padroni e li mette al primo posto mentre la vita degli operai non ha nessun valore.
Le chiacchiere si sprecano ogni volta, dal monito di Mattarella alle dichiarazioni dei confederali che - per carità! - non rispondono con scioperi generali, ma solo con parole di cordoglio e vicinanza alle famiglie.
Ma possiamo continuare ancora così?
La sicurezza sul lavoro non è una priorità certo per i governi dei padroni e men che mai di questo, il governo Meloni. Fanno veramente incazzare le dichiarazioni di Salvini che afferma: "La sicurezza nei cantieri è una priorità".
Ma quando mai? Dove sono i provvedimenti presi da lui da quando è ministro dei trasporti del governo Meloni? Gli unici provvedimenti che ricordano i lavoratori sono le precettazioni dei lavoratori in sciopero che chiedevano più sicurezza!
Il governo Meloni, tramite il ministro Calderone - che è una consulente dei padroni messa a dirigere il ministero del Lavoro - dice che il suo governo investirà 1 miliardo e 500 milioni per la prevenzione, e se lo dice una che è stata sul libro paga dei padroni no possiamo aspettarci niente di buono, forse saranno altri soldi nelle tasche delle aziende che faranno formazione, al massimo, ma che non serviranno di certo a migliorare la sicurezza dei lavoratori.
“Ancora un operaio morto in un cantiere ferroviario in appalto dimostra che la sicurezza in un settore ad altissimo rischio è un lusso” e questo lo dice Bruno Giordano, magistrato presso la Corte di cassazione, già direttore generale dell’ispettorato nazionale del lavoro. “Sembra che chi lavori in questi cantieri non abbia il diritto di tornare a casa. Nel 2023 oltre Brandizzo, ci sono stati incidenti ferroviari a Nocera inferiore (dove 20 vagoni si sono mossi da soli per qualche chilometro e per caso non hanno causato vittime), a Faenza, a Corigliano con due vittime e oggi a Chiari con un altro operaio morto. Mi chiedo quando si vorrà chiarire chi deve effettuare i controlli sulla rete ferroviaria visto che c’è una confusione di competenze tra l’Ansfisa, ispettorato del lavoro, ASL, polizia ferroviaria. E soprattutto quanti morti ci vogliono ancora?”.
Ma non solo le ferrovie sono le uniche scene del crimine dei padroni. Ogni giorno qualche lavoratore o non torna più a casa o ritorna ferito, invalidato.
Alcuni esempi della scorsa settimana:
Il 22 gennaio un operaio albanese (ho cercato il suo nome sulla stampa ma non lo trovato, e questo è un altro segnale di quanto sia alta la considerazione della stampa in particolare quando muoiono operai immigrati), un operaio albanese 53enne muore sul lavoro cadendo dal tetto di un’azienda a Bareggio, nel Milanese.
Il 26 gennaio Raffaele Massa di 50 anni, operaio, muore sul lavoro schiacciato dal rimorchio del macchinario usato per movimentare i container nel porto di Cagliari, i portuali dichiarano uno sciopero di 72 ore.
Ma l’elenco potrebbe continuare ancora.
“Oltre mille morti sul lavoro – 1.041 per la precisione - nel 2023, crescono le patologie di origine professionale” documenta l’INAIL (e va ricordato sempre che il conteggio dell’INAIL esclude i lavoratori in nero). Aumentano gli infortuni in itinere, avvenuti cioè nel tragitto di andata e ritorno tra l'abitazione e il posto di lavoro, hanno fatto registrare un aumento del 4,7%, da 89.967 a 94.191.
Sono ancora in aumento le denunce di malattia professionale protocollate dall'Inail nel 2023 che sono state 72.754, circa 12mila in più rispetto allo stesso periodo del 2022 (+19,7%).
Le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell'orecchio continuano a rappresentare le prime tre malattie professionali denunciate, seguite dai tumori, dalle patologie del sistema respiratorio e dai disturbi psichici e comportamentali (dati INAIL).
I lavoratori non sono tutelati nei luoghi di lavoro, i controlli sono inesistenti: lo stesso Ispettorato ammette che il numero di ispezioni rispetto al numero di aziende presenti farà sì che “ogni azienda ha la possibilità di essere sottoposta ad ispezioni ogni 18 anni!”
Ma non è solo questo. La giustizia dei padroni è vera giustizia?
Quanti padroni stanno pagando per avere negato la sicurezza sul lavoro, per avere causato la morte di operai nelle fabbriche, nei cantieri, per avere risparmiato sulla messa in sicurezza dei macchinari?
Per Luana D’Orazio il padrone aveva manomesso l’orditoio per “aumentare la produttività a discapito sicurezza” come dice la sentenza, e lo stesso è avvenuto nella fabbrica in provincia di Modena dove lavorava Laila El Harim.
Anni e anni di processi, reati prescritti per i padroni, impunità. Per la strage di Viareggio quasi 15 anni di processi. Per la ThyssenKrupp il padrone Espenhahn non ha ancora scontato un solo giorno di carcere, nonostante il tribunale tedesco avesse confermato la sentenza italiana del febbraio 2020. E oggi dopo 18 anni di processi e una sentenza definitiva per omicidio colposo il padrone dell’Umbria Olii ha avuto il coraggio di chiedere il risarcimento alle famiglie dei 4 operai morti di 35,3 milioni! Operai uccisi da un’esplosione che per spegnere le fiamme i vigili del fuoco furono impegnati per giorni.
Molto ancora ci sarebbe da dire ma ora è sempre più urgente agire, autorganizzandoci, impegnandoci in prima persona.
Questa battaglia non si può delegare, continuiamo a ribadire che è più che mai necessaria una Rete nazionale per la salute e sicurezza che veda uniti tanti soggetti che su questo già si impegnano o si vogliono impegnare: delegati, rls, ma anche avvocati, giornalisti, artisti, studenti, associazioni di famigliari, così come facciamo appello anche a chi si è organizzato in altre Reti che si impegnano su questo fronte di lotta e ad altri ancora ad unirsi e organizzarsi in una Rete che faccia sentire la sua voce su un piano nazionale perché è su questo terreno che la battaglia può avere un senso. A livello solo aziendale e locale non potremo avere risultati.
Abbiamo bisogno di potere operaio in fabbrica, di rovesciare i rapporti di potere nei luoghi di lavoro, di leggi, di tutela di chi rappresenta veramente i lavoratori nei luoghi di lavoro e che devono essere messi in condizione di potere agire liberamente e non subire ricatti o ritorsioni, abbiamo bisogno di controlli: tutto questo è possibile solo con una mobilitazione ed una organizzazione nazionale.
Anche i processi devono essere un terreno di scontro di classe dove dobbiamo intervenire.
E poi, in definitiva, sono le cause che devono essere eliminate se non vogliamo più morti sul lavoro, non possiamo illuderci di potere cambiare le cose nella prospettiva di intervenire prima che le morti o gli infortuni accadano: è tutto il sistema capitalista, i padroni e i loro governi che li rappresentano che sono la causa delle morti sul lavoro. Profitto e vita e sicurezza dei lavoratori, ce lo dimostrano i padroni ogni giorno, sono incompatibili, inconciliabili.
Organizziamoci per una battaglia che abbia come fine il rovesciamento di questo sistema basato sul profitto dei padroni responsabile delle morti ed infortuni nei luoghi di lavoro.
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