È anche per questo che le elezioni di Taiwan, all'altro angolo dell'Asia, erano considerate importantissime. Innanzitutto, dall'imperialismo americano, che in un certo senso le hanno guidate, le hanno sostenute politicamente e diplomaticamente, economicamente e militarmente e che non ha
esitato, come sua abitudine, a fare manovre di provocazione in quel Mar cinese meridionale, dove sono possibili continui “incidenti”.Le elezioni di Taiwan, quindi, sono state vinte per la terza volta dal Partito Democratico progressista, il cui leader si dichiara indipendentista. Una posizione osteggiata dal governo cinese, che considera che “esiste una sola Cina e Taiwan ne fa parte”. Una posizione non accolta a livello internazionale per fare pressioni costanti sulla Cina, e quindi ogni tentativo di dichiarazione di Stato indipendente mette in pericolo i cosiddetti “equilibri nell'area”. Per questo alcuni commentatori, giornalisti e politici (che hanno costantemente richiamato in maniera, diremmo, terroristica verso l'opinione pubblica, come possibile sbocco, l'esempio dell'attacco all'Ucraina della Russia imperialista, fascista di Putin) ripetono adesso la frase dello “status quo”, del lasciare le cose come stanno, che le elezioni non hanno di fatto alterato i rapporti con la Cina.
Biden ha formalmente gettato acqua sul fuoco dicendo che gli Stati Uniti non sostengono l'indipendenza di Taiwan, mentre nel gioco delle parti il Segretario di Stato Blinken si è congratulato ufficialmente, tanto per continuare con le pressioni, anche diplomatiche.
Ma il problema vero è che lasciare le cose così come stanno fa il gioco proprio degli Stati Uniti che rappresentano loro sì, la minaccia più pericolosa attiva nell'area. Innanzitutto, è chiaro che se questa indipendenza venisse portata fino in fondo, Taiwan, che è già piena delle armi che i capitalisti statunitensi vendono al paese, si trasformerebbe definitivamente in una stabile portaerei nucleare, con armi nucleari, davanti la Cina. Ma questo progetto per adesso, visto l'esito delle elezioni, deve aspettare. Perché se è vero che le elezioni sono state vinte da questo Partito Democratico progressista, è anche vero che non ha ottenuto la maggioranza in Parlamento, per cui non può far passare agevolmente leggi che possano mettere in pericolo questo cosiddetto status quo, appunto.
Mentre il progetto vero, portato avanti con ostinazione dagli Stati Uniti, è quello dell'accerchiamento della Cina. E possiamo dire per niente mascherato, l'unica maschera che continuano ad usare è quella dell'”aiuto ad un paese democratico come Taiwan”. Ancora un'ottima occasione per la propaganda borghese di che cosa sarebbe la democrazia.
Ma Taiwan non è solo un baluardo fisico a due passi dalla Cina, è anche uno dei paesi più industrializzati al mondo, con una esportazione di prodotti finiti e soprattutto di produzione di altissima tecnologia come i chip, i semiconduttori della TMSC che vengono comprati e utilizzati praticamente da tutti i capitalisti del mondo. E come tutti i paesi capitalisti avanzati, Taiwan sfrutta un proletariato che gli permette enormi profitti e che a sua volta sta sempre peggio, dai giovani disoccupati con salari bassi alle donne che oltre che essere fortemente impiegate in fabbrica e nei luoghi di produzione, subiscono fortemente i ruoli altamente tradizionali, come scrivono i giornali, e quindi fanno il lavoro familiare per l'80%, oltre al pesantissimo lavoro svolto in fabbrica con orari annuali altissimi.
Ricordiamo inoltre che sui chip comunque c'è un'altra guerra in corso a livello mondiale che è giocata a fior di investimenti miliardari: Stati Uniti, Unione europea, la Cina… l'ultimo annunciato è quello della Corea del Sud, che dice di stare per stanziare 470 miliardi di dollari per diventare il luogo di produzione di semiconduttori più importante del mondo.
Taiwan, quindi, è un bastione per il capitalismo/imperialismo mondiale e parte dei progetti di accerchiamento della Cina nel contesto della concorrenza mondiale per la spartizione dei mercati, delle materie prime essenziali al quale partecipano non solo gli Stati Uniti, i veri organizzatori, che hanno le portaerei che passeggiano davanti alle coste cinesi, ma anche la Gran Bretagna, la Francia, la Germania, l'Italia, tutti con navi militari che arrivano e stazionano in quel Mar cinese meridionale.
E per quanto riguarda l'Italia, la fascista Meloni ha dichiarato che per lei il Mediterraneo arriva al Mar cinese meridionale. La missione italiana è composta da almeno 5 navi, è guidata dalla portaerei Cavour e costa 5 milioni di euro al giorno, per quello che si sa.
L'imperialismo americano, alle costanti provocazioni fatte di aerei che svolazzano in quei cieli, di navi militari che si sfiorano, attua un accerchiamento fatto anche da un costante aumento di accordi politici ed economici internazionali dentro cui vengono coinvolti tanti paesi come Australia, Giappone, India, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito. I nomi di questi accordi sono diversi e alcuni fantasiosi: Quad, Five eyes, 5 occhi, per il controllo generale dei mezzi di comunicazione e Aukus; di essi fa parte la Corea del Sud, fortemente legata all'imperialismo americano. Insomma, si tratta di un cosiddetto “avvicinamento progressivo”, che ricorda esattamente quello che la NATO, ha fatto e fa verso la Russia.
L'attenzione per le elezioni a Taiwan, quindi, aveva come sfondo il contesto del vero scontro di fondo, quello più emblematico dell'attuale crisi imperialista, cioè lo scontro fra Cina e Stati Uniti per il dominio dell'economia mondiale, e cioè per il controllo e il dominio del profitto dei padroni del mondo. E sebbene la classe dominante taiwanese si senta sicura perché appunto ha il sostegno, la “garanzia” la chiamano, degli Stati Uniti, ogni movimento in questa zona del mondo, come si è visto, fa entrare in fibrillazione tutti i paesi. Quello che chiamano equilibrio è un filo sottilissimo che può spezzarsi in qualsiasi momento, lanciando le masse popolari in una carneficina mondiale mai vista.
Per questo l'opposizione, forte e costante all'imperialismo, non può che essere l'unica risposta delle delle masse proletarie, delle masse popolari, e in particolare quella al proprio imperialismo.
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