Stefano Mauro | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
05/01/2024
Lunedì la settima vittima nel carcere di Megiddo. "Abdel Rahman Bassem Al-Bahsh, 23enne di Nablus, è il primo martire del 2024 e il settimo prigioniero ad essere assassinato nelle carceri israeliane dal 7 ottobre", hanno dichiarato lunedì in un comunicato congiunto la Commissione per gli affari dei prigionieri e la Società per i prigionieri palestinesi (PPS).
Qaddoura Fares, portavoce della Commissione, ha dichiarato che "al momento si conosce la sorte di questi sette martiri, ma ci sono centinaia di testimonianze di violenze e torture che provengono da tutte le prigioni, con il sospetto di altre vittime e prigionieri di cui non sappiamo nulla".
Le due organizzazioni palestinesi - specializzate nel monitoraggio delle condizioni di detenzione dei prigionieri - hanno affermato che l'omicidio di Al-Bahsh è avvenuto "contemporaneamente alla morte di un numero imprecisato di detenuti di Gaza nel campo di Sde Teman", noto come "la Guantanamo di Israele" - che detiene oltre 3.000 civili dati per dispersi durante le incursioni a Gaza - per la brutalità delle "violenze e delle esecuzioni sommarie" descritte dall'Ong Euro-Med Human Rights Monitor. Anche Human Rights Watch (HRW) ha denunciato la "detenzione illegale di migliaia di lavoratori a Gaza, senza alcuna accusa specifica", sottoposti a "umilianti maltrattamenti, percosse e torture", in un rapporto pubblicato ieri. Michelle Randhawa, responsabile di HRW, ha affermato che "la ricerca di combattenti di Hamas non giustifica l'abuso su lavoratori che avevano ottenuto il permesso di lavorare in Israele", aggiungendo di non aver ricevuto "alcuna risposta dalle autorità israeliane sulla loro sorte".
Secondo HRW, sembra che Israele non abbia "più linee rosse" nei maltrattamenti che ha inflitto ai prigionieri palestinesi dal 7 ottobre. Le testimonianze dei prigionieri rilasciati durante la tregua lo confermano e riguardano tutte le prigioni: Megiddo, Gilboa, Ofer, Beer Sheva e Damon in particolare.
Lo conferma anche il reportage del quotidiano israeliano Haaretz, che parla di "continue aggressioni, umiliazioni e maltrattamenti nei confronti di tutti i prigionieri: uomini, donne e minori", con proteste deliberatamente ignorate dai funzionari del servizio carcerario israeliano.
Ruqayah Amra, una delle prigioniere palestinesi rilasciate nello scambio del mese scorso, ha dichiarato che "le donne vengono picchiate o palpeggiate nei bagni della prigione e costantemente minacciate di violenza sessuale". Tra le denunce "sulla repressione contro le donne detenute" - più di 200 - c'è anche quella della militante e parlamentare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Sinistra palestinese) Khalida Jarrar, arrestata il 26 dicembre per la quarta volta consecutiva dalle autorità israeliane per "propaganda sovversiva".
Anche Mahmoud Katnani, un altro prigioniero rilasciato, ha descritto le violenze, confermando le "incursioni quotidiane di unità antisommossa nelle sezioni" e l'uso di numerose misure punitive: celle sovraffollate con più di 25 detenuti, drastica riduzione delle forniture di acqua, elettricità e cibo, divieto di visite da parte di avvocati e familiari e negazione delle cure ai prigionieri malati.
Hasan Abadi, uno dei pochi avvocati ad aver visitato un gruppo di prigionieri a Damon, ha raccontato al giornale Middle East Eye di "torture fisiche e psicologiche dei prigionieri", rinchiusi in celle senza vedere la luce del sole per più di 30 giorni consecutivi, o costretti a rimanere come cani a quattro zampe per ore con la bandiera israeliana sulla schiena".
HaMoked, una ONG israeliana, ha riferito che l'uso sistematico della violenza nelle carceri segue le "direttive" del Ministro della Sicurezza Nazionale e della Polizia, l'ultra-radicale Itamar Ben Gvir, che ha dato precise istruzioni per "vendicarsi sui prigionieri palestinesi", al punto da dichiarare pubblicamente che "per ogni giorno che passa senza il rilascio di un prigioniero israeliano, un prigioniero palestinese dovrebbe essere giustiziato".
Dal 7 ottobre, il numero dei prigionieri palestinesi è salito a oltre 7.000, compresi circa 2.000 palestinesi detenuti in via amministrativa senza accusa né processo. La morte di Al-Bahsh porta a 244 il numero di prigionieri palestinesi uccisi nelle carceri israeliane dal 1967.
05/01/2024
Lunedì la settima vittima nel carcere di Megiddo. "Abdel Rahman Bassem Al-Bahsh, 23enne di Nablus, è il primo martire del 2024 e il settimo prigioniero ad essere assassinato nelle carceri israeliane dal 7 ottobre", hanno dichiarato lunedì in un comunicato congiunto la Commissione per gli affari dei prigionieri e la Società per i prigionieri palestinesi (PPS).
Qaddoura Fares, portavoce della Commissione, ha dichiarato che "al momento si conosce la sorte di questi sette martiri, ma ci sono centinaia di testimonianze di violenze e torture che provengono da tutte le prigioni, con il sospetto di altre vittime e prigionieri di cui non sappiamo nulla".
Le due organizzazioni palestinesi - specializzate nel monitoraggio delle condizioni di detenzione dei prigionieri - hanno affermato che l'omicidio di Al-Bahsh è avvenuto "contemporaneamente alla morte di un numero imprecisato di detenuti di Gaza nel campo di Sde Teman", noto come "la Guantanamo di Israele" - che detiene oltre 3.000 civili dati per dispersi durante le incursioni a Gaza - per la brutalità delle "violenze e delle esecuzioni sommarie" descritte dall'Ong Euro-Med Human Rights Monitor. Anche Human Rights Watch (HRW) ha denunciato la "detenzione illegale di migliaia di lavoratori a Gaza, senza alcuna accusa specifica", sottoposti a "umilianti maltrattamenti, percosse e torture", in un rapporto pubblicato ieri. Michelle Randhawa, responsabile di HRW, ha affermato che "la ricerca di combattenti di Hamas non giustifica l'abuso su lavoratori che avevano ottenuto il permesso di lavorare in Israele", aggiungendo di non aver ricevuto "alcuna risposta dalle autorità israeliane sulla loro sorte".
Secondo HRW, sembra che Israele non abbia "più linee rosse" nei maltrattamenti che ha inflitto ai prigionieri palestinesi dal 7 ottobre. Le testimonianze dei prigionieri rilasciati durante la tregua lo confermano e riguardano tutte le prigioni: Megiddo, Gilboa, Ofer, Beer Sheva e Damon in particolare.
Lo conferma anche il reportage del quotidiano israeliano Haaretz, che parla di "continue aggressioni, umiliazioni e maltrattamenti nei confronti di tutti i prigionieri: uomini, donne e minori", con proteste deliberatamente ignorate dai funzionari del servizio carcerario israeliano.
Ruqayah Amra, una delle prigioniere palestinesi rilasciate nello scambio del mese scorso, ha dichiarato che "le donne vengono picchiate o palpeggiate nei bagni della prigione e costantemente minacciate di violenza sessuale". Tra le denunce "sulla repressione contro le donne detenute" - più di 200 - c'è anche quella della militante e parlamentare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Sinistra palestinese) Khalida Jarrar, arrestata il 26 dicembre per la quarta volta consecutiva dalle autorità israeliane per "propaganda sovversiva".
Anche Mahmoud Katnani, un altro prigioniero rilasciato, ha descritto le violenze, confermando le "incursioni quotidiane di unità antisommossa nelle sezioni" e l'uso di numerose misure punitive: celle sovraffollate con più di 25 detenuti, drastica riduzione delle forniture di acqua, elettricità e cibo, divieto di visite da parte di avvocati e familiari e negazione delle cure ai prigionieri malati.
Hasan Abadi, uno dei pochi avvocati ad aver visitato un gruppo di prigionieri a Damon, ha raccontato al giornale Middle East Eye di "torture fisiche e psicologiche dei prigionieri", rinchiusi in celle senza vedere la luce del sole per più di 30 giorni consecutivi, o costretti a rimanere come cani a quattro zampe per ore con la bandiera israeliana sulla schiena".
HaMoked, una ONG israeliana, ha riferito che l'uso sistematico della violenza nelle carceri segue le "direttive" del Ministro della Sicurezza Nazionale e della Polizia, l'ultra-radicale Itamar Ben Gvir, che ha dato precise istruzioni per "vendicarsi sui prigionieri palestinesi", al punto da dichiarare pubblicamente che "per ogni giorno che passa senza il rilascio di un prigioniero israeliano, un prigioniero palestinese dovrebbe essere giustiziato".
Dal 7 ottobre, il numero dei prigionieri palestinesi è salito a oltre 7.000, compresi circa 2.000 palestinesi detenuti in via amministrativa senza accusa né processo. La morte di Al-Bahsh porta a 244 il numero di prigionieri palestinesi uccisi nelle carceri israeliane dal 1967.
Nessun commento:
Posta un commento