Il 20 ottobre vi è stato uno sciopero generale indetto dai sindacati confederali film Fiom Uilm in tutti gli stabilimenti ex Ilva/appalto, a cui si sono aggiunti l'Usb, e anche lo Slai Cobas sia pure, questo, con tutte le distinzioni del caso ma ritenendo che lo sciopero generale era utile e necessario. Le organizzazioni sindacali confederali hanno organizzato la partecipazione a questa sciopero tenendo alcune assemblee, e organizzando una manifestazione a Roma che aveva come obiettivo di raggiungere Palazzo Chigi e qui incontrare, o meglio snidare il governo Meloni a fronte della emergenza della situazione di ex Ilva.
Uno sciopero generale era necessario perché era necessario che gli operai facessero sentire forte e chiara la loro voce con il blocco della produzione. Una manifestazione nazionale a Roma era pure necessaria, non tanto per le risposte che poteva dare il governo ma quanto per unire gli operai dei diversi stabilimenti e portare la loro forza al centro dell'attenzione per dare peso e rilevanza alle loro rivendicazioni.
Lo sciopero è sufficientemente riuscito, la manifestazione ha visto forti delegazioni dai diversi stabilimenti, che si sono ritrovati in più di un migliaio a Roma, un pò pochi rispetto ai 20.000 tra operai diretti e operai dell'indotto. Hanno partecipato soprattutto le parti più sindacalizzate. La gran massa ha aderito allo sciopero, ma a Roma non è andata. Che gli operai a Roma non avessero questa grande intenzione di andarci si era manifestato anche nelle assemblee - in quella esterna dell'appalto a Taranto, per esempio, non solo ha partecipato un numero di lavoratori molto inferiore di quelli che normalmente partecipano a
questo tipo di assemblea, dove, nonostante i rappresentanti sindacali avevano ripetutamente sollecitato, dopo aver spiegato le ragioni dello sciopero e della manifestazione, gli operai a intervenire, nessun operaio è intervenuto. E' sembrato che i sindacalisti stessero facendo tutto il possibile per ottenere risultati, accusando il governo e in particolare l'azienda e la sua amministratrice delegata Morselli, di stare portando lo stabilimento alla rovina, di non rispettare ne i lavoratori ne i sindacati, mentre i lavoratori non stessero facendo nulla.Questo scenario non corrisponde alla realtà. Tutte le volte che gli operai sono stati chiamati a scioperi veri - ricordiamo il 6 maggio in cui oltre lo sciopero riuscito, ci fu anche una contestazione forte alla Morselli e vi furono cortei che raggiunsero le diverse portinerie; uno sciopero importante che fece uscire dai recinti il contrasto esistente. Ma anche lo sciopero di novembre un corteo spontaneo raggiunse la città bloccando una parte di Taranto, trovando un livello di condivisione anche molto alto fra le masse popolari. Il recente sciopero del 28 settembre, che aveva come obiettivo di contestare la cerimonia messa in piedi dalla Morselli che aveva invitato nello stabilimento i cosiddetti "clienti" per dire che la situazione stava andando molto bene. In questa occasione gli operai costrinsero la polizia e gli stessi organizzatori del meeting a spostare in altra parte la cerimonia.
Questi fatti dimostrano che quando i lavoratori vengono chiamati a forme di lotte dure rispondono e sono disponibili a lottare. Ma il 6 maggio fu detto che ci sarebbero state dell'anno scorso. Ci fu, fu detto che ci sarebbero state.
Ma dopo quegli scioperi, nonostante proclamati impegni di continuità della mobilitazione, non è mai successo nulla, con sindacati che fanno prima i fuochisti il giorno dopo i pompieri e tutti gli incontri che fanno sia a Roma sia con l'azienda a livello territoriale non hanno portato alcun risultato. Gli operai si sono visti messi in cassa integrazione permanente con taglio rilevante dei salari; nelle ditte dell'indotto sono proseguiti licenziamenti, cassa integrazioni, peggioramento dei contratti. L'ordinanza della Morselli che aveva messo fuori una parte delle ditte doveva essere sanata entro gennaio 23, e non è stata affatto sanata, ma la Morselli è stata lasciata in pace. Per i sindacalisti, un giorno il "diavolo" della Morselli se ne deve andare assolutamente via da Taranto, nei giorni successivi dicevano che la AD aveva cambiato atteggiamento.
Uguale è stato l'atteggiamento verso il. Governo. E' stato dato credito al nuovo governo, alle promesse di Urso, per cui se ArcelorMittal non dava risposte chiare, la governance sarebbe passata nelle mani dello Stato, di Invitalia, con il 60% e che questo avrebbe portato un'inevitabile cambio dell'amministratore delegato. Tutte promesse cancellate nelle settimane successive, ma promesse raccolte delle organizzazioni sindacali dai suoi dirigenti. Che sulla stampa dichiaravano peste e corna, ma negli incontri non era affatto così.
Benaglia, Palombella, Di Palma non sono la soluzione di questa vertenza, ma ne sono parte in causa. Di conseguenza, come si poteva pensare che la massa vera dei lavoratori desse credito agli impegni delle organizzazioni sindacali di condurre una lotta dura e decisiva nei confronti di padroni e governo di strappare risultati sul terreno della gestione della cassa integrazione, sul terreno, dell'integrazione del reddito, sul terreno del miglioramento delle condizioni di sicurezza?
I lavoratori di Acciaierie e appalto di Taranto avevano mesi fa firmato in 600 una piattaforma operaia che chiede l'integrazione all'indennità di cassa integrazione per tutti, che si fosse rigidi su nessun esubero, sul rientro dei cassi integrati in Ilva AS, nell'appalto si insisteva nel bloccare i processi di trasformazione dei contratti a TI in corso in contratti Multiservizi a TD che rendono sempre più precaria la condizione dei lavoratori, contratti Multiservizi che divenivano contratti di somministrazione, uno dei quali ha provocato una recente morte di operaio. Così come è evidente che l'ambientalizzazione della fabbrica segna il passo, e che le grandi promesse di trasformazione green e ristrutturazione annunciate dal governo ai tavoli, in realtà hanno tempi lunghissimi, e dipendono dalla situazione mondiale dell'acciaio. La piattaforma operaia chiede anche prepensionamenti utilizzando tutti gli strumenti, dall'amianto ai lavori usuranti, anche come risarcimento per l'attacco alla salute? La piattaforma dice "25 anni bastano", e all'Ilva di Taranto, con morti da inquinamento, attacchi alla salute, malattie professionali, bastano eccome. Sul fronte della sicurezza, contro l'aver lasciato mano libera ad Acciaierie , si è posta la necessità di una postazioni ispettiva permanente all'interno di questa grande area industriale che due volte Taranto, e se comprendiamo anche il porto, è una "Cittadella operaia" all'interno della città, la più grande "Cittadella operaia" oggi nel nostro paese, in cui il livello dei controlli sulla sicurezza, potevano essere migliorati, fare da deterrenza rispetto al rischio permanente di morte.
Per tutto questo, per non aver portato nello scontro con azienda e governo nessuna di queste rivendicazioni, i sindacati non possono fare gli innocenti. Le direzioni sindacali confederali sono coloro che hanno condiviso, convissuto, cogestito; nessuna opposizione seria e coerente alla condizione quotidiana dei lavoratori.
Come poi meravigliarsi e lamentarsi che dilaghi la sfiducia, l'interesse individuale degli operai che diventa una sorta di frammentazione, libanizzazione tra i lavoratori, tesi a mantenere quello che gli danno e non a ribellarsi rispetto a una situazione sempre più insostenibile?
Queste rivendicazioni giuste e necessarie purtroppo solo noi le abbiamo poste. Certo, alcune di esse sono state anche recepite dal coordinamento nazionale delle RSU e Palombella, segretario Uilm, nei suoi momenti migliori, rivendica alcune di queste cose aggiungendo anche la riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga, ma queste rivendicazioni vengono tutte subordinate alla gestione del padrone, che in questo caso è ArcelorMittal e Stato borghese, che porta avanti sempre la politica di socializzare le perdite e sussidiari i padroni, consegnare le fabbriche ai padroni in maniera che possano fare profitti. Questo è stato fatto dopo la crisi dell'Italsider. con Riva, con ArcelorMittal e ora si vuole rifare.
Qual è il famoso "piano B" di cui si è parlato anche nell'incontro a Roma del 20? Sulla stampa il Presidente della Federacciai, Gozzi, dice apertamente che così non va e attacca la Morselli, tanto che la Morselli dice che lo querelerà perché non può essere che chi li dovrebbe rappresentare e difendere invece li attacchi, e dice che la siderurgia italiana può fare a meno di ArcelorMittal e fare una nuova operazione, con una nuova cordata, Arvedi, ecc. Non solo, in questa cordata potrebbe metterci piede un grande monopolio dell'acciaio presente in Ucraina, dove vi era il più grande stabilimento d'Europa dell'ArcelorMittal, bombardato nella recente guerra, che sta guardandosi intorno e sta venendo in Italia, ed è sul punto di prendersi Piombino, ha chiesto Trieste e oggi la Federal manager parla del suo interessamento sull'ex Ilva di Taranto.
Quindi è la lotta tra i padroni che blocca la situazione attuale. E i governi sono al loro servizio. Il governo Meloni difende i padroni italiani della siderurgia, è questa è la loro forma di sovranismo.
E' in corso una trattativa segreta, in cui o ArcelorMittal prende l'intera fabbrica o la nuova governance sarebbe garantita da altri industriali dell'acciaio che stanno lavorando perché la situazione vada sempre peggio, proprio per poterla rilevare con facilità, trovarsela consegnata su un piatto d'agente.
Peraltro, chiunque prende l'ex Ilva in questo momento deve fare i conti con la crisi di sovrapproduzione dell'acciaio che esiste da tempo, sovrapproduzione per il profitto chiaramente, accentuata, accentuata dagli effetti della guerra, della guerra commerciale e della ripartizione dei mercati. Ripartizione dei mercati tra i grandi monopoli, di cui ArcelorMittal è uno ma ce ne sono anche altri.
In questa guerra tra capitalisti, come dice lo stesso Gozzi, gli industriali si sono messi al sicuro, potrebbero non avere più bisogno dell'acciaio italiano.
E mentre i padroni conducono questa guerra fra bande e i governi la conducono al loro interno e tra governi e altre forze politiche, le direzioni sindacali partecipano di fatto a questa guerra tra banditi.
Guerra tra banditi che si riflette anche nell'appalto Acciaierie, dove una parte dei padroni e padroncini hanno cercato con uno sciopero/serrata, promettendo il pagamento della giornata ai lavoratori, di entrare in campo per pretendere una loro presenza ai tavoli romani, ma soprattutto per pretendere che il governo intervenga subito con liquidità finanziaria a sostegno di ArcelorMittal, una parte di quale vada a loro. Quindi si pongono al servizio di Acciaierie d'Italia, al servizio di un ruolo del governo come bancomat dei padroni e tentando di legare gli interessi dei lavoratori a questo.
Gli operai hanno comprensione che li stanno prendendo per il culo e che questa guerra ricade su di loro, ma purtroppo questo non produce ancora la ribellione necessaria; e in certi casi si realizza uno schieramento in forme aziendalistiche e corporative. In questa situazione il governo può marciare tranquillo nella sua direzione.
In questo senso è stato importante lo sciopero generale come la manifestazione nazionale a Roma. E' un'immagine della lotta, unità operaia che giustamente andava portata.
Ma c'è da dire che questa unità non corrisponde alla realtà. A Roma durante la manifestazione vi è stata una continua forte polemica, quasi scontro, tra gli operai di Genova che pretendevano la testa del corteo e in qualche maniera si sentono depositari della linea di classe (anche se con notevoli debolezze di natura localistica e corporativa, che i lavoratori di Genova ogni volta che si misurano sulla vertenza tirano fuori), e le componenti sindacali provenienti da Taranto, in particolare della Uilm e Fim, che anche per i numeri erano molto maggiori e pretendevano che testa del corteo fosse loro.
Quindi non c'è unità tra le organizzazioni sindacali, ciascuno va per la sua strada all'interno degli interessi parziali che difende, espressione di un'aristocrazia dei lavoratori sindacalizzata e burocratizzata che raramente riesce ad essere rappresentante generale dei lavoratori. Durante la manifestazione di Roma, insieme a slogan che giustamente rivendicavano: "Basta alla cassa integrazione", richiedendo una soluzione che salvaguardi l'occupazione, il lavoro, l'esistenza stessa di una delle più grandi fabbriche che noi riteniamo fondamentale per questo paese, anche per la forza materiale della classe operaia che può e deve contribuire al cambiamento generale della società; insieme a tutto questo però ognuno serve interessi particolari. La fim/cisl è da tempo fiancheggiatrice del governo, ha firmato accordi svendita, ne rivendica tutte le malefatte. La stessa fiom ha firmato l'ultima cassa integrazione, nonostante la sua evidente illegittimità. La stessa questione della Morselli, che viene fortemente agitata per il suo carattere odioso nel rapporto, in particolare con i lavoratori di Taranto e perfino con la città. Taranto, e di cui viene rivendicata la cacciata, questi slogan contro la Morselli non trovavano in generale adesione nello spezzone organizzato degli operai di Genova.
La richiesta che il governo intervenga rispetto a un'emergenza che, peraltro, Bernabé nei giorni precedenti in una audizione alla Camera aveva reso effettivamente drammatica dicendo che l'ex Ilva marcia verso la consunzione, dichiarazioni al servizio di una richiesta immediata di almeno 100 milioni di euro per fronteggiare i costi energetici, trova parte del sindacato unicamente a chiedere che fine hanno fatto i precedenti finanziamenti ad AdI, quando nulla di questo è andato alla risoluzione dei problemi dei lavoratori, a partire dalla riduzione della cassa integrazione.
Quindi, in questa situazione i lavoratori non vengono uniti, sono divisi, e ancora di più sono divisi le organizzazioni sindacali che non sono in grado di tutelare effettivamente l'interesse degli operai in nessuno degli stabilimenti.
Nella manifestazione di Roma, lo "scontro" più negativo era tra gli slogan che rivendicavano soluzioni per Taranto e gli slogan degli operai di Genov. anche delle componenti sindacalizzate in senso classista che pensano che starebbero meglio senza Taranto, e che un accordo che mettesse in sicurezza Genova e lasciasse Taranto al suo destino, sarebbe alla fine una soluzione che può rientrare nel cosiddetto piano B del governo.
Quindi, a fronte di questo cos'hanno i lavoratori nelle mani? È possibile ancora cambiare lo stato delle cose?
Sì, ma serve l'autonomia operaia. Serve la riorganizzazione delle file dei lavoratori. Non è solo un problema di una sigla sindacale, ma anche di una unità sindacale dal basso che possa togliere potere alle organizzazioni sindacali collaborazioniste per restituire questo potere di rappresentanza ai lavoratori.
Senza costruire questa autonomia, non si può fronteggiare un'emergenza che viene considerata ai limiti della catastrofe sociale, industriale.
Nelle assemblee si è detto: non sappiamo se dopo dicembre avremo un lavoro. Però quale risposta viene data a questo? Non si blocca. Negli altri paesi quando è stato messo a rischio il lavoro, si è condotta una rivolta, una vera battaglia, una vera insurrezione operaia - che in generale ha perso, per altre ragioni, ma che sostanzialmente dimostrava che gli operai possono essere la linfa della trasformazione in positivo della fabbrica, anche a fronte di gravissimi problemi come ad Acciaierie di Taranto.
Serve una lotta autonoma, prolungata e generale sulla propria piattaforma operaia che sia da trincea della lotta dei lavoratori. Questa piattaforma può essere sostenuta con le assemblee di lavoratori.
I sindacalisti di Fim, Fiom, Uilm hanno usato anche la manifestazione di Roma per riprendersi, più potere sui lavoratori. Per proporsi come salvatori della patria, mentre sono causa della situazione in corso. Si tratta di linee e strutture sindacali, di apparati di aristocrazia operaia e di burocrazia che in tutto il mondo operaio fanno da tappo alle rivendicazioni dei lavoratori. Ma i nodi stanno venendo al pettine.
I lavoratori in queste condizioni devono necessariamente percorrere un'altra strada rispetto a quella che è stata percossa.
Il 20 alla manifestazione i sindacalisti hanno parlato esplicitamente di "ultima spiaggia", che tutti rischiano il lavoro, che in una realtà come Taranto significa creare uno scenario Bagnoli potenziato per mille che lungi da risanare e bonificare territorio e ridare salute e sicurezza sarebbe unire alla alla gravità delle morti sul lavoro, da inquinamento, la devastazione di una crisi industriale che metterebbe sulla strada decine di migliaia di lavoratori, le loro famiglie senza alcuna prospettiva di risanamento.
A Roma i sindacati non hanno incontrato neanche i Ministri incaricati, ma dei capi dei gabinetto dei ministeri che non potevano che dire, che terranno conto del loro parere, che ne informeranno e li convocheranno il 7 novembre per farli parte della discussione segreta in corsa fra governo e ArcelorMittal.
Ma le dichiarazioni avventurose del presidente della Federacciai significa che a questo tavolo romano si stanno prendendo decisioni al di fuori dei canali normali di relazioni tra padroni, governo, organizzazioni sindacali. Ed è abbastanza imbarazzante sentire i dirigenti sindacali come. De Palma, come Palombella, come Benaglia, magnificare il risultato della grande manifestazione di Roma, e l'incontro. Ma ciò che hanno ottenuto è il minimo sindacale, l'aggiornamento a un tavolo il 7 novembre.
Non avete spostato nulla in avanti, non vendete fumo, non continuate a ingannare i lavoratori su questa strada. Fino al 7 novembre non succederà nulla se non l'eterna trafila, si riuniranno le segreterie, si riuniranno il coordinamento nazionale, ecc.
Da questo scenario occorre ripartire.
Lo Slai cobas chiama gli operai, alla necessità che le avanguardie operaie trasformino il dissenso in organizzazione seria, classista e combattiva, che possa anche esercitare una pressione verso i sindacati confederali. Questo in altri paesi ha pagato, pensiamo a quello che è avvenuto in Francia con i recenti scioperi.
Noi siamo parte del sindacalismo di base, di classe, abbiamo sostenuto e appoggiato lo sciopero del 20 ottobre dei sindacati di base. Chiaramente non ha ancora influenza nella realtà industriale delle grandi fabbriche dei grandi gruppi. La decisione dello sciopero generale degli stabilimenti ex Ilva è stata da noi considerata positivamente perché ci dava un'acqua su cui noi potessimo nuotare come pesci. Però è ben chiaro che occorre che anche le forze che sono critiche verso i sindacati confederali comprendano la centralità delle grandi vertenze operali. E su questo, purtroppo, non esiste ancora consapevolezza. Si pensa davvero che si possano piegare padroni e governo senza l'ingresso della classe operaia, attraverso le sue grandi concentrazioni, che siano poi da traino del dell'arcipelago della nuova geografia industriale, della classe operaia?
La questione ex Ilva è ben dentro la situazione mondiale, la guerra, l'economia di guerra. Con l'acciaio si fanno le armi; quindi esiste un nesso tra la produzione dell'acciaio e la guerra. Da un lato la guerra è un'opportunità per l'acciaio, per lavorare per la guerra, dall'altro la crisi generale che la guerra comporta, compreso l'aggravamento della questione energetica è una mina interna alla crisi generale dell'industria dell'acciaio.
In questo terreno la lotta operaia conta tantissimo, ma gli operai non hanno sufficiente consapevolezza di avere anch'essi un'arma nelle loro mani e che l'arma della loro lotta è quella che può incidere non solo all'interno della vicenda industriale dell'ex Ilva, ma può incidere nella dinamica generale delle grandi vicende.
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